I Bambini muoiono

Non é il caso di rivedere il nostro trend e il nostro modello di consumi?

Si sente sempre più spesso dire che la situazione italiana è
difficile e complessa; che ci stiamo impoverendo, che stiamo
diventando un popolo di meticci, che sempre più veniamo
contaminati da culture a noi estranee.

La nostra classe dirigente, ormai in campagna elettorale, sta
alimentando polemiche sui matrimoni gay, sul riconoscimento
giuridico delle coppie di fatto, sulla tutela o meno
dell’embrione, eccetera. Non parliamo poi degli strascichi
lasciati dai risultati del recente referendum sulla fecondazione
assistita.

Aspre polemiche ammantate di ideologismo fasullo e
propagandistico tra laici e cattolici, hanno sviato e continuano
a sviare l’attenzione della gente su questioni molto secondarie
rispetto ai problemi veri che invece meriterebbero di essere
meglio conosciuti da tutti e più diffusi dai mass-media, perché
interessano tutti e perché tutti in qualche modo ne sono vittime
o ne portano delle responsabilità.

Che fa da sfondo alla situazione politica - economica - sociale
italiana ed europea è diventato, ormai da qualche anno, il
fenomeno dell’immigrazione. L’Italia e l’Europa del XXI° secolo
stanno diventando per i Paesi del terzo e quarto mondo, quelle
che furono per l’Europa le Americhe e l’Australia all’inizio del
secolo scorso, quando milioni di europei per sfuggire alle
persecuzioni, alla miseria e alla fame, abbandonarono le loro
contrade per cercare nuovi lidi che garantissero loro migliore
sopravvivenza.

Quindi l’immigrazione è diventata il problema dei problemi,
perché porta con se una serie di conseguenze collaterali tra cui
il terrorismo ad opera dei fondamentalisti islamici, spesso
aggravate da situazioni di emergenza, difficilmente
riscontrabili nel costume e nella cultura dominante, sia in
Italia che in Europa.

E sono proprio queste “conseguenze collaterali” che in qualche
modo fomentano le tensioni nei rapporti tra fazioni politiche.
Tensioni che, per la loro sensibilità sociale e per le misure di
sicurezza che richiedono, comprese alcune restrizioni alle
libertà personali, trovano terreno fertile nell’opinione
pubblica in generale.

Nei dibattiti ufficiali, dicevo poc’anzi, si parla d’altro; si
parla di quisquilie legate esclusivamente alle crisi interne al
nostro modello di vita; si discute cioè di sofismi nel tentativo
di spiegare i distinguo che differenzia l’uno o l’altro
schieramento. Nessuno, per amore di parte, indugia sulla gravità
della crisi che l’Europa e tutto l’occidente sta attraversando e
nessuno si sbilancia con proposte coraggiose per avvertire
l’opinione pubblica che se non cambia rotta; se non tenta di
“cambiare il modello di vita”, fatto di individualismo e
consumismo esasperati; alimentato da egoismi con venature sempre
più esplicite di xenofobia quando non di razzismo, rischia di
precipitare nel baratro della dissoluzione.

L’occidente infatti (per occidente intendo il club dei paesi più
ricchi: [G8]) non può continuare a restare insensibile nei
confronti di 843 milioni di persone che soffrono in
continuazione la fame; di un miliardo e 300.000 che sono
costretti a vivere con meno di un dollaro al giorno (dati ONU
pubblicati il 12 settembre 2005), mentre da noi si continua a
produrre migliaia di tonnellate di rifiuti per eccesso di
consumo.

Tanto meno può continuamente chiudere gli occhi di fronte al
fatto che più di 12 milioni di persone, secondo i dati del
rapporto dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro)
esaminato a Torino il 19 maggio 2005, sono coinvolte in lavori
forzati, schiavitù e sfruttamento umano.

Circa 360.000 persone sul totale di 12,3 milioni si trovano
dentro i confini dei Paesi più ricchi, tra cui il nostro. Ma c’è
di più. Di queste 360.000 persone, il 75% (270.000 circa) è
vittima del traffico illegale di esseri umani impiegati nel
lavoro nero anche nostrano e di queste, più della metà sono
state costrette allo sfruttamento sessuale commerciale.

Infine, ma non come problema residuale, vale la pena menzionare
i circa 300.000 minori, cosiddetti “bambini soldato”, impiegati
nei teatri di guerra in Africa e in Asia; rapiti alle loro
famiglie, abusati sessualmente, terrorizzati, drogati per poter
uccidere chiunque, persino i propri famigliari. Di fronte a
tutto ciò viene da chiedersi se non sia il caso di rivedere alla
base il nostro trend e il nostro modello di consumi.

Spesso, molto spesso, noi usiamo scarpe, indumenti, articoli
sportivi, articoli tecnici, giocattoli, provenienti da Paesi in
cui si pratica la schiavitù e non si rispettano i più elementari
diritti umani. Altrettanto spesso, come capita per i Paesi
dell’Africa, sotto forma di aiuti umanitari noi forniamo armi ai
signori della guerra che, per arricchirsi personalmente e
detenere il potere le impiegano in atti di distruzione e morte e
per togliere a migliaia di esseri umani il diritto di essere
bambini.

Un affare colossale denuncia sempre l’OIL, che genera un volume
d’affari stimato intorno ai 52 miliardi di dollari. Più della
metà di questi guadagni sono realizzati nei Paesi più ricchi del
mondo.

A questo punto c’è da chiedersi fino a quando noi saremo in
grado di difendere il nostro paniere ben fornito chiudendo gli
occhi di fronte a questi scempi e fino a quando saremo in grado
di sopportare le conseguenze di questo colossale peccato di
omissione che ci verranno inesorabilmente scaricate addosso se
non pensiamo già da ora ad impostare un modello di sviluppo
alternativo. Quei bambini ci guardano!!!
Valerio Dalle Grave


GdS 20 IX 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Valerio Dalle Grave
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