BIENNALE: Sognare ieri ed oggi

Al secondo posto - L?incontro con il regista - La storia - Scheda tecnica Curiosità

AL SECONDO
POSTO


The Dreamers - i Sognatori di Bernardo Bertolucci, stimato
maestro del cinema mondiale, che a Venezia '60 ha riscosso
critiche piuttosto aspre, attualmente al Borsino dei Top Ten
è al secondo posto (ottobre 2003).

Perché tra i cinefili di Venezia e il pubblico nelle sale,
vi è un comportamento così difforme?

A cosa è dovuto ciò? Forse al ’68, per molti il tempo più
rivoluzionario e fecondo della nostra storia, “tradito”, per
così dire dal regista che centra il suo obiettivo su tre
adolescenti, amanti del cinema (i sognatori) che giocano con
il sesso e le loro ingenue attese del domani, mentre per
altri, il '68 è stata l'unica epoca in cui l'idea e l'utopia
di cambiare il mondo era globale (senza dimenticare che
anche oggi assistiamo a piccole e grandi rivoluzioni in cui
si pensa di cambiare il mondo, magari a livello locale).


L’incontro con il regista

-
Il titolo del film è suggestivo . Cosa sognano questi «dreamers»?
I film che vedono, un altro futuro, diventare adulti? E di
questi sogni sono protagonisti attivi o passivi?


Sei sempre attivo quando sogni, anche quando ne diventi
vittima. Per i tre ragazzi il grande sogno è il cinema, un
sogno che fai al buio però a occhi aperti. Possono salvarsi
in qualsiasi situazione perché possiedono questo sogno:
attraverso il cinema si sono creati un sistema, un metodo
per vivere come vogliono, per trasformare tutto attraverso i
film. Per questo si mettono in scena. Ricordate l’inizio?
Matthew incontra Isabelle incatenata a un cancello come
Giovanna d’Arco, ma lei fa solo finta di essere incatenata.
In tutti e tre c’è questo desiderio di mettersi in scena,
anche nel modo di vestirsi. I ragazzi di oggi hanno ancora
questo piacere, ma se si vogliono vestire in modo bizzarro o
trasgressivo c’è un designer che gli dà le cose già fatte,
mentre allora se le inventavano da soli.
-
Perché il '68 suscita giudizi tanto contrastanti?


C'è, secondo me, ancora molto vivo nelle persone il
tentativo di archiviare quel periodo rivoluzionario come
qualcosa di profondamente negativo. E' un grosso errore
questo, un errore storico ed un'insultante ingiustizia.

Cos'è che secondo lei rendeva il '68 così universale?

Quello che è importante nel film e nel romanzo è un 'dato'
spazio-temporale. Si parla tanto di città 'post': post-
moderna, post- ideologica, post tutto; siamo consapevoli di
vivere 'dopo' una grande convulsione. Il momento ricostruito
nel film - marzo- aprile del '68 - è quello del 'pre'. Si
cattura, si coglie qualcosa che sta per verificarsi, l'alba
di un cambiamento indefinibile, e penso che non sia un caso
che a Venezia i due principali film italiani presentati
siano stati proprio The Dreamers e Buongiorno, notte, Uno
che torna all'origine di quell'esperienza straordinaria,
agli albori, e l'altro che descrive in qualche modo come
quell'esperienza si è conclusa.
-
Perché secondo Lei è stata quella l'ultima grande
rivoluzione internazionale?
Perché questo titolo, "I sognatori"? : cosa sognavano questi
ragazzi?


Come ogni sogno, anche il film contiene un'esperienza
vivida, intensa e così difficile da comunicare: il 'dopo',
il risveglio. E' vero: tutti credevamo di aver fallito, che
il mondo fosse sempre lo stesso e che nulla era cambiato. I
meccanismi che il '68 ha innescato sono stati molto sottili,
quasi impercettibili, non come gli effetti delle grandi
catastrofiche rivoluzioni della Russia o della Cina, ad
esempio. I valori del '68 si sono inseriti insidiosamente
nella società e si sono fatti strada lentamente, per poi
trasformarsi e dare vita a molti movimenti. Il seme di tutto
è stato piantato in quell'epoca e ha dato vita al movimento
femminista, a quello della liberazione dei gay, al movimento
ecologista e, direi, anche all'antiglobalizzazione dei
giorni nostri. Sono vari semi che sono germogliati
gradualmente dal '68 ai giorni nostri.
-
Cosa ha reso quel periodo così profondamente affascinante?



Non vorrei sembrare nostalgico ma, obiettivamente, penso che
non ci siano stati altri momenti storici pervasi da questa
specie di "ambizione eroica". Io nel '68 ero già grande,
avevo 27 anni, e quindi avevo passato queste emozioni e
vissuto quel tipo di avventure estreme già qualche anno
prima, ai tempi del mio secondo film prima della
rivoluzione. Quando poi è arrivato il '68, tutti hanno
vissuto cose che io avevo personalmente già superato e forse
per questo ho potuto esaminarle e viverle con più serenità.


Certe reazioni un po’ sconsiderate, in cui si dice che nel
’68 non c’era nessuna utopia, che l’unica era quella della
lotta armata, che in realtà erano ragazzi annoiati di buona
famiglia in cerca di emozioni. Non si rendono conto che
fanno un’enorme ingiustizia, un immenso errore storico: la
libertà che ognuno di noi ha oggi è stata tutta guadagnata
dal ’68. L’esplosione del femminismo viene da lì e il
femminismo è una delle cose più importanti degli ultimi
30-40 anni! Si sono dimenticati che l’Italia, prima del ’68,
era piena di impercettibili autorità: a casa i genitori, a
scuola i professori e sopra di loro i presidi. Senza
tralasciare il fatto che i poliziotti ti fermavano per
strada se baciavi una ragazza. Era un’altra vita. Cominciò a
sentirsi allora quel profumo di libertà a cui sembra ci
siamo troppo abituati e non siamo più capaci di apprezzare
nel suo pieno valore.
-
Qual è la caratteristica che lei ama di più del suo film e
che, secondo Lei, lo rende così acutamente retrò?


"The Dreamers" non è un film "storico", nel senso in cui uno
immagina un cinema che racconta accuratamente la storia di
quel periodo. Mi sono chiuso in una macchina del tempo
insieme ai miei attori e collaboratori e ho cercato sempre
di coniugare il '68 insieme con il presente. Non ho mai
chiesto ai tre ragazzi di camminare come si camminava nel
'68, volevo che loro restassero quello che sono: ragazzi di
oggi che si trovano a confrontarsi con i ragazzi descritti
nel libro da Gilbert Adair(l’autore del libro e
sceneggiatore del film) da cui ho tratto il film. Speravo si
creasse un'alchimia tra loro ed era per me la cosa più
importante. Non mi interessa più fare film semplicemente
'storici', mi importa sempre e solo che il passato venga
messo a confronto con il presente.
-
Come pensa si possa collegare quel periodo alla storia
odierna?


Il film è molto avaro di scene in esterni ed in quelle poche
occasioni in cui si sfugge alla claustrofobia (voluta)
dell'appartamento parigino si vede, a sprazzi, nelle strade
qualcosa che cresce e che poi esplode nel finale. Quella
carica della polizia nelle scene finali che io ho molto
esteso con il digitale, avrei voluto allungarla fino ad
arrivare ai tempi di Genova 2001. E' questo il cordone
ombelicale esistente tra il presente e il passato che volevo
si sentisse nel film.
-
Perché secondo Lei è stata quella l'ultima grande
rivoluzione internazionale?


I valori del '68 si sono inseriti insidiosamente nella
società e si sono fatti strada pian piano per poi
trasformarsi e dare vita a molti movimenti. Il seme di tutto
è stato piantato in quell'epoca e ha dato vita al movimento
femminista, a quello della liberazione dei gay, al movimento
ecologista e direi anche all'antiglobalizzazione dei giorni
nostri. Sono tutti semi che hanno germogliato lentamente dal
'68 ai giorni nostri. Oggi la libertà è sacra. Ma da dove
viene, chi se lo chiede?
-
Cosa l’ha ferita di più nelle critiche piuttosto aspre dopo
la prima di Venezia 60?


Questo voler impedire ai giovani di oggi di essere
contagiati da un certo spirito del ’68 che c’è nel film.
Attaccarlo dicendo che il ’68 non è esistito, che non conta
niente, è un tentativo di impedire questo contagio. Uscendo
da due proiezioni del mio film a Venezia, un giornalista ha
fatto un piccolo sondaggio, e ha scoperto che chi ha tra i
18 e i 30 anni ha amato il film al 100%. Questo mi ha
incoraggiato molto: spero che i giovani lo vadano a vedere,
è la cosa che mi interessa di più.

Il finale del film, cioè il sasso che irrompe dalla finestra
dell'appartamento significa la realtà che irrompe nel sogno
dei tre ragazzi?

E' la vita che li sveglia dal sogno, ma allo stesso tempo è
proprio lo scambio tra il sogno e la realtà a giocare il
ruolo più importante. Il primo si nutre della seconda e la
condiziona. Mi sembrava proprio necessario che a quel punto
succedesse qualcosa di molto forte. La realtà entra nella
stanza e trascina i tre ragazzi per la strada, arriva un
messaggio dalla strada che urla "dans la rue! dans la rue!"
e loro vanno, vedono e ascoltano. E' il momento in cui si
rompe questa specie di perfezione, questa armonia tra i tre.
Il messaggio verso i giovani sta tutto in quello che loro
vorranno leggerci.
-
A chi è rivolto The dreamers?


A tutti, ma – in particolare - ai giovani. La mia idea è
quella di contagiare i giovani con l'idea che è ancora
possibile sognare. E' un'ingiustizia storica il fatto che
loro non sappiano nulla o quasi di quegli anni. E' il mio
modo di dire loro che è ancora giusto ribellarsi così come
lo era trentacinque anni fa. Del resto non mi sorprende il
fatto che sia nelle proiezioni collaterali di Venezia, sia
nelle rassegne di Venezia a Roma che Venezia a Milano siano
stati soprattutto i giovani e i giovanissimi ad interessarsi
del film. Pare, invece, che ci sia un qualche problema con
quelli che, invece, quegli anni li hanno vissuti… Forse per i miei coetanei c'è un po' l'imbarazzo della
nostalgia. Quando scatta una molla del genere qualcuno si
dice: "No, il 68 era molto diverso."

La storia

Parigi 1986. Henri Langlois, direttore della Cinémathèque
Française viene licenziato: è l’inizio di una sommossa.
Studenti ed intellettuali iniziano una dura battaglia di
protesta che sfocerà nel noto maggio francese. In questo
contesto Isabelle e Theo, due fratelli gemelli,
terribilmente legati affettivamente, spregiudicati e
sovversivi delle regole, conoscono l’americano Matthew,
educato rigidamente secondo i canoni protestanti, che si
unirà a loro, dando inizio ad un’amicizia profonda che
sfocerà in un amore a tre, passionale e senza limiti.

Mentre fuori il mondo cambia, i tre giovani adolescenti si
rinchiudono nella loro lussuosa casa e danno il via ad
un’iniziazione sessuale, così le inibizioni non esistono
più, il pudore lascia subito spazio alle pulsioni di corpi
impazienti, pronti ad abbandonare per sempre il tempo della
fanciullezza. Ma all’evoluzione delle pulsioni non
corrisponde la maturità della mente: i tre sentono le voci
per strada, teorizzano ideali rivoluzionari ma non scendono
in via, non lottano per difendere quello in cui credono.
Solo in un finale provocatorio, i tre giovani scendono in
piazza, si uniscono a un corteo di manifestanti e …tirano
molotov come se fossero da sempre stati in prima linea.
Risulta anche ridicolo mettere in bocca all’americano
Matthew parole di indignazione e di pacifismo, come se
l’America potesse dare lezioni di pacifismo!!!

Insomma il ’68 c’è, ma le conclusioni che se ne traggono per
quanti hanno vissuto quell’epoca in fermento, sono
intollerabili. Se è vero che il regista parmense non voleva
fare un film storico sul ’68, forse sarebbe stato più
opportuno non scegliere questo finale così arrogante.

Per il resto, la pellicola è di ottima fattura, dalla regia,
agli interni, alla scelta degli attori esordienti, escluso
Michael Pitt (Bully di L. Clark). I tre protagonisti reggono
bene la loro parte, risultando disinibiti e naturali davanti
alla invadente telecamera( sembra quasi un voyeur).
Certamente le citazioni, cinematografiche e musicali
affascinano maggiormente in questo affresco non
completamente riuscito.

Un film sicuramente adatto al nutrito popolo di cinefili: le
immagini cult del passato invadono la scena collegando
l’amore dei tre ragazzi per la celluloide. Da “Schok
Corridor” di Sam Fuller a “La venere bionda” di Sternberg
…Chaplin e tanti altri maestri di cinema. Tant’è che in un
gioco dei mimi, Isabelle, Theo e Matt decideranno di
ripetere la corsa nel Louvre che Anna Karina, Sami Frey e
Claude Brasseur correvano in “Bande à part” di Godard. Alla
fine, i tre protagonisti non fanno altro che rievocare tutto
quello che non sentono o non vedono sullo schermo; una serie
di indovinelli cinefili che diventano anche lo spunto per
giochi erotici ai quali è impossibile sottrarsi.

Il sesso c’è e si vede nelle sue angolazioni, nulla viene
nascosto, ma non è sicuramente l’estrema carnalità a
irritare lo spettatore, tutto sommato non c’è nulla di così
scandaloso che il mondo del cinema non abbia già
immortalato. In questo molti critici hanno visto una
vicinanza del film a Ultimo tango a Parigi, un film
sicuramente estremo nella visione dei rapporti sessuali ma
che a differenza di “The Dreamers”, aveva un occhio cupo e
pessimista nei confronti della vita e dei rapporti di
coppia.

Dopo le immagini dei film, sono sicuramente le canzoni che
compongono la colonna sonora ad attirare l’attenzione della
platea. Ricca di hit degli anni Sessanta, le immagini
viaggiano sulle note di Hendrix, Bob Dylan, The Doors, fino
al “Non, je ne regrette rien” di Edith Piaf.

Più che la storia e le immagini di Bertolucci si può dire
che è la musica trascinante a condurci indietro nel tempo, a
quel 1968 che, forse, avrebbe potuto raccontare di più.

Scheda
tecnica


The Dreamers

Regia: Bernardo Bertolucci

Sceneggiatura: Gilbert Adair

Fotografia: Fabio Cinachetti

Interpreti: Michael Pitt, Eva Green, Louis Garrel, Robin
Renucci, Anna Chancellor, Florian Cadiou, Jean-Pierre Leaud


Nazionalità: Italia, 2003

Durata: 1h. 50'

Curiosità

Il romanzo di Adair ha riportato alla mente di Bertolucci
dei ricordi fantastici. «Non mi riferisco tanto agli eventi
del '68, alle manifestazioni di piazza e alla violenza,
quanto allo spirito dell'epoca».

Tanto, per ricordare, Bertolucci aveva esordito nella poesia
e aveva poi scoperto il suo amore per il cinema grazie al
cinema francese degli anni 30 e poi ai registi della
Nouvelle Vague. Per lui : «Gli anni 60 avevano qualcosa di
magico, perché tutti noi "sognavamo" se vogliamo usare
questa parola. Fondevamo cinema, politica, musica, jazz,
rock'n'roll, sesso, filosofia, droghe e divoravamo tutto».


Antonio De
Falco

GdS 8 XI 03  www.gazzettadisondrio.it

Antonio De Falco
Società