Una canzone per Bobby Long
 La febbre del sabato sera
 Chi non ha mai visto, “La febbre del sabato sera” o “Greese” 
 passato in TV nei giorni scorsi?
 Chi non sa che parlare dei giovani afflitti, appunto, dalla 
 febbre del sabato sera (la discoteca, ahinoi) è diventato uno 
 slang?
 Lui, l’idolo degli anni ’70, John Travolta ne ha fatto di 
 strada!
 Tornato con straordinario successo nel '94 con 'Pulp Fiction' di 
 Tarantino, sta vivendo i suoi momenti magici, tanto che alla 
 Buchmesse di Francoforte (metà ottobre 2004) è stata annunciata 
 la sua autobiografia, che sarà pubblicata dalla Hyperion, entro 
 il 2006. 
 Alla 61.ma Mostra veneziana del cinema, è arrivato con il suo 
 aereo personale ed ha presentato una nuova versione del proprio 
 "sé" cinematografico. Dimenticandosi completamente del 
 brillantinato Tony Manero degli anni '70, in A Love Song for 
 Bobby Long si trasforma in un vecchio disincantato ubriacone 
 rintanatosi nella sensuale New Orleans, nella speranza di 
 dimenticare se stesso e il suo fallimentare passaggio in questo 
 mondo in qualità di professore universitario, marito e padre. Il 
 film è piuttosto una telenovela. Si salva proprio per 
 l’interpretazione di Travolta che lascia allibiti per il 
 coraggio che ha avuto nel “truccarsi” in un rudere umano.
 Chi è John Travolta
 Nato il 18 febbraio 1954 a Englewood, New Jersey, inizia la sua 
 carriera con la serie "I ragazzi del sabato sera" nel 1975 e 
 nello stesso anno esordisce al cinema con "Il maligno", ma la 
 prima parte importante arriva l'anno dopo con "Carrie, lo 
 sguardo di Satana" di Brian De Palma. Quello stesso anno, sul 
 set del tv-movie "The boy in the plastic bubble" si innamora 
 della collega Diana Hyland, che morirà di cancro l'anno 
 successivo. Nel 1977 la fortuna gli arride con "La febbre del 
 sabato sera" di John Badham (per il quale ottiene una 
 candidatura all'Oscar) e nel 1978 con "Grease", due film dove la 
 musica è sovrana e lo trasforma in un'icona degli anni '70. Gli 
 anni successivi sono costellati da film coraggiosi, ma 
 commercialmente sbagliati, come "Attimo per attimo" e "Urban 
 Cowboy". Nel 1981 De Palma lo vuole di nuovo per "Blow Out", ma 
 la popolarità gli arriverà due anni dopo con "Staying Alive", 
 seguito del film di Badham diretto da Sylvester Stallone. Poi 
 ancora una serie di film che lo respingono nell'oscurità, come 
 "Due come noi", nuovo stanco team up con Olivia Newton John, sua 
 partner in "Grease", e "Perfect", commedia di James Bridges sul 
 fenomeno delle palestre. Trascorrono altri 4 anni prima di 
 risalire in cima al box office con "Senti chi parla", commedia 
 dal successo planetario che ha ben due seguiti. E’ Quentin 
 Tarantino che lo restituisce definitivamente a nuova vita, 
 grazie al personaggio di Vincent Vega in "Pulp Fiction". Dal 
 1994 in poi la carriera di Travolta è inarrestabile. "Get Shorty" 
 nel 1995, "Nome in codice: Broken Arrow" con John Woo, "Phenomenon", 
 primo omaggio di Travolta a Scientology, la setta fondata da Ron 
 Hubbard e da lui abbracciata totalmente, "Michael" di Nora 
 Ephron, in cui interpreta l'arcangelo Michele. Nel 1997 gira "She's 
 So Lovely" di Nick Cassavettes, e nello stesso anno John Woo gli 
 affida il ruolo in "Face Off", dove dà vita a due personaggi in 
 un corpo solo. Anche Costa Gavras e Mike Nichols lo richiedono 
 per "Mad City" e "I colori della vittoria" (in cui interpreta 
 Bill Clinton). Quello stesso anno è tra le 100 star più 
 importanti della storia del cinema secondo 'Empire'. Nel 1998, 
 poi, lavora finalmente per Terence Mallick ne "La sottile linea 
 rossa", vent'anni dopo aver ceduto il ruolo da protagonista de 
 "I giorni del cielo" a Richard Gere. Seguiranno poi "A Civil 
 Action" di Steven Zaillian, "La figlia del Generale" di Simon 
 West e "Battaglia per la Terra", sua prima produzione e secondo 
 omaggio a Ron Hubbard, tra i flop più cocenti della storia del 
 cinema. Ugualmente fallimentare risulterà la commedia "Magic 
 numbers", schernita dal pubblico e dalla critica. Nel 2001, c’è 
 l'action "Codice: Swordfish" che lo riporta sulla cresta 
 dell'onda. Dal 1991 è sposato con la collega Kelly Preston, con 
 cui ha avuto due figli. Anche i fratelli Joey, Ellen, Ann e Sam 
 sono attori. Ma lui è il più celebre.
 Il film A Love Song for Bobby 
 Long
 Una giovane donna torna a New Orleans dopo la morte della madre, 
 per ritrovare la sua infanzia di cui ha ricordi vaghissimi.
 Il suo arrivo nella casa che fu della madre, smuove le acque 
 torbide della tranquilla quotidianità dell’anziano professore, 
 di cui si occupa un ex- allievo. I tre si trovano costretti ad 
 una inattesa quanto difficile convivenza attraverso la quale 
 riusciranno però a trovare una sorta di riabilitazione. Immersi 
 nella malinconia per un passato doloroso e solitario, i due 
 uomini e la ragazza scoprono di avere ancora voglia di cambiare 
 e migliorare. Nei lunghi e caldi pomeriggi passati a bere 
 (tanto) e a fumare (da affumicarsi come sardelle) immersi nel 
 rigoglio della vegetazione o davanti al caldo del caminetto nei 
 freddi inverni, essi riescono a confidarsi, leggendo le opere di 
 Carson McCullers, Flannery O' Connor o declamando versi di Dylan 
 Thomas. Così la giovane Pursy( una deliziosa Scarlett Johansson, 
 anche giurata nella 61. Mostra) intuisce che i suoi ricordi 
 d'infanzia sono reali e non immaginati come ha sempre pensato, 
 mentre l'anziano Bobby Long riscopre un nuovo senso della vita e 
 soprattutto la possibilità di riprenderla in mano e viverla 
 meglio.
 Domande e risposte
 - La letteratura e New Orleans hanno un peso fondamentale 
 all'interno di questa vicenda...
 Io sono cresciuto con Tennesse Williams, sia a teatro che sullo 
 schermo, e sono contento di questo lavoro che me ne ricorda la 
 parte più moderna. Ho passato molto tempo al sud per prepararmi, 
 specialmente in Texas, ne ho mutuato certi aspetti, ed è per 
 questo che nel film c'è questa percezione di realtà. New 
 Orleans, trasmette poi un clima del tutto particolare: è 
 impossibile non risentirne lavorando laggiù, è successo a tutti 
 noi. Poi ha una tale carica spirituale da giustificare i 
 cambiamenti dei personaggi nel corso del film.
 -John, era spaventato dal doversi presentare al pubblico 
 invecchiato e non esattamente in forma?
 Spaventato? All'inizio forse si, ma poi tutto è sparito di 
 fronte alla qualità del materiale che avevo davanti, alla 
 qualità della scrittura capace di trasfigurare poeticamente il 
 mio e gli altri personaggi.
 - Che immagine hai dell'Italia?
 La prima immagine la ebbi a cinque anni, dopo aver visto "La 
 strada" di Fellini. Poi se ne sono sovrapposte altre. Adoro 
 l'Italia, da attore ho avuto l'opportunità di esservi spesso 
 ospite, qui ho le mie radici. E sono felice di essere di nuovo a 
 Venezia dopo ventitré anni, quando venni per "Blow Out".
 - Ti dà fastidio la celebrità di cui godi?
 Mi sono abituato, ormai. Non affronto con tensione l’incontro 
 con il pubblico e questo mi permette di fare cose fantastiche, e 
 soprattutto mi permette di continuare a fare film.
Antonio De Falco
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