Convegno D.C. su Giorgio La Pira nel Centenario - La relazione introduttiva

Arrivo a Firenze e commiato - Studi e ricerche La Pira uomo di fede - Principi sulla persona e sulla società

ARRIVO A FIRENZE E COMMIATO

Giorgio La Pira è nato a Pozzallo, in provincia di Ragusa,
il 9 gennaio 1904. Morì in Firenze il 5 novembre 1977

Giovanetto, a Messina, aveva aiutato lo zio Occhipinti nel
negozio di tabaccheria, utilizzando il tempo libero per
conseguire il titolo di ragioniere e poi la maturità
classica. Poté iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza di
Messina, sotto la guida del prof. Emilio Betti, avviandosi
agli studi romanistici. Proprio in quel tempo, dopo essere
stato anticlericale, ritornò alla fede, che gli dischiuse il
campo a letture ed a studi religiosi. Così diritto e
teologia gettarono le prime basi dell’opera che doveva far
distinguere La Pira nel proseguio del tempo.

Quando il suo maestro fu trasferito a Firenze, l’allievo lo
seguì. Lo accompagnava il ritornello che suo zio usava
ripetergli: “Stai attento che nella penisola i preti non
hanno abbandonato il disegno di restaurare il potere
temporale!” Giorgio non temeva, quando avvertiva gli amici,
riferendo l’ammonimento dello zio: già pensava piuttosto a
convertire tutti, laici o religiosi che fossero.

Nel 1926 La Pira discusse e conseguì con lode e dignità di
pubblicazione la laurea in diritto romano. Il suo successo
incoraggiò il maestro a fargli assegnare subito un incarico
di insegnamento nell’Ateneo fiorentino, dove in seguito a
concorso, il 2 febbraio 1934, pronunciò la sua prolusione
quale professore di ruolo per le istituzioni di diritto
romano.

Salvo brevi assenze per i suoi viaggi, Giorgio La
Pira visse sempre a Firenze. Nel primo decennio esercitò
soltanto il suo magistero universitario. Nei decenni
successivi insieme a quello, vi svolse anche un magistero di
vita civile e religiosa, risultato poi del tutto peculiare.

Il 7 novembre 1977 la bara di Giorgio La Pira, portata a spalle
dagli operai della Pignone, passò per le vie di Firenze,
salutata da applausi. Furono ripetuti, in piazza della
Signoria, quando il Sindaco di Forenze Gabbuggiani, il
Rettore dell’Università del Sacro Cuore Giuseppe Lazzati e
Amintore Fanfani ne tesserono le lodi. Gli applausi
divennero fortissimi, sotto la cupola del Brunelleschi, in
Santa Maria del Fiore, prima e dopo il saluto del cardinale
Benelli.

In chi non conosceva La Pira quegli applausi suscitarono
sorpresa. Per i suoi estimatori erano invece il degno
suggello della vita di un cittadino esemplare, tra i più
significativi vissuti nei secoli a Firenze. La stampa rese
nota l’ampiezza del saluto ripetutosi ed iniversalizzatosi
in altre comunità italiane e straniere, con la
partecipazione di semplici cittadini, di alte autorità e
dello stesso romano Pontefice.

Il 17 novembre, dopo che alcuni giorni la Pira prima venne
ricordato nella Commissione Esteri, il Presidente della
Camera Pietro Ingrao fece del deputato la Pira un degno
elogio, al quale si associò il Ministro del lavoro On. Tina
Anselmi.

Il ricordo di un così ampio riconoscimento spiega il
desiderio, in chi lo conobbe, di approfondirne la conoscenza
ed in chi non lo conobbe, di apprendere per quali ragioni
tanti consensi hanno largamente fatto dimenticare i dissensi
che in qualche momento afflissero la sua vita.


STUDI E RICERCHE - LA PIRA UOMO DI FEDE

Giorgio La Pira aveva ricevuto da natura l’istinto
dell’esploratore, Per questo durante il tirocinio nella
tabaccheria dello zio si dette a studiare ragioneria, poi
materie classiche, poi materie giuridiche. Per questo motivo
non si adagiò nella facile incredulità giovanile e conquistò
una robustissima fede. Negli anni universitari non si limitò
a seguire i corsi, ma ne identificò i preferiti, li
approfondì, allargandone gli orizzonti, confrontando le
teorie giuridiche con quelle filosofiche, dominando in breve
le dottrine dei giurisperiti latini e le summe dei teologi
scolastici.

A questo accostamento lo aveva avviato la conoscenza della
vita, della fede, degli studi di Contardo Ferrini che, come
dice la dedica di un libro di La Pira, “per tutte le vie lo
aveva ricondotto alla casa del Padre”. Da ricordare anche il
fatto che fin dal 1921 la “Storia di Cristo” di Giovanni
Papini aveva colpito profondamente La Pira.

Le basi fiorentine in cui sostava e dalle quali dopo ogni
riflessione riprendeva il cammino per tappe ulteriori,
furono negli Anni Trenta, l’Università di cui era professore
ed il Convento di San Marco dell’Ordine domenicano, nel
quale La Pira era terziario. L’infaticabile esploratore
passò negli anni ’30 dalle dottrine antiche e medioevali
alle pratiche contemporanee. Procedette a confrontare quello
che attorno a lui poteva constatare con quanto l’equità
romana e la verità scolastica gli avevano insegnato sul
retto comportamento sia dei cittadini che delle comunità
minori e statuali. Il confronto lo portò ad essere un
convinto ed aperto contestatore delle dottrine che allora si
disputavano il predominio in Europa: quelle di Mussolini, di
Hitler, di Stalin.

Iniziando ad applicare anche in quella contingenza la prassi
del dialogo, che poi sempre avrebbe invocato quale via
razionale e costruttiva per stanare l’errore e far valere la
verità, fondò una rivista che significativamente chiamò
“Principi”, a sottolineare che solo una loro chiara
definizione avrebbe potuto salvare gli uomini dalla
confusione di Babele nella quale anche allora le parole
(persona, società, pluralità, libertà, giustizia), prendendo
colori diversi a seconda delle bocche che le pronunciavano,
finivano per turlupinare gli ingenui e per rafforzare i
falsi sapienti ed i furbi.


“Principi”, come sinteticamente indica il sommario dal
gennaio 1939, offrì modo a La Pira di trattare i problemi:
del valore e della socialità della persona umana, della
uguaglianza e disuguaglianza tra gli uomini, della
gerarchia dei valori nell’uomo e nella società, della natura
e liceità della guerra giusta, del valore della libertà.

Questa trattazione si offrì quasi come un barometro
annunciatore della imminente tempesta mondiale, e come
bussola d’orientamento per gli smarriti. Un tanto dimostra
il fascicolo 8-9 dell’agosto-settembre 1939 nel quale (a
pagina 158) severamente si commenta la spartizione della
Polonia ad opera di Stalin e di Hitler.

”L’unica diga cristiana che faceva argine a due mondi non
cristiani è, sia pure eroicamente, caduta. La violenta
scomparsa di uno dei membri di cui si costituisce l’umanità
e la Chiesa è cosa che deve gravemente rattristare il cuore
di ogni uomo e di ogni cristiano. Se l’assassino di un uomo
è il massimo dei delitti, a più forte ragione è tale
l’assassino di una intera nazione”.

E la condanna è reiterata (a pag. 209), accennando alla
“aggressione militare che insanguina la terra di Finlandia
(come già la precedente insanguinò la terra di Polonia)”.

Ai primi del ’40 una disposizione fascista sopprimeva la
rivista divulgatrice di principi diceva l’ordine che
vorrebbero essere “cattolici, cristiani e sono invece
principi della più bell’acqua liberale e democratica: ci si
leggono le più belle e appassionate esegesi sul valore e l’importanza
della libertà, nonché della solidarietà e umanità
democraticamente intesa”.

Gli stessi estensori di questa condanna non immaginarono di
lasciare per i tempi futuri il migliore riconoscimento
dell’amore di Giorgio La Pira per la verità e del suo fermo
attaccamento ai principi della democrazia. Il nostro amico
cambiò foglio, non mutò linguaggio. Lo attestano i saggi del
1941 sul valore della persona umana (in “Studium”) e sui
problemi della persona umana (in “Atti della Accademia
romana di S. Tommaso”) del 1943. Dopo l’8 settembre sfuggì
all’arresto, rifugiandosi a Fonterutoli nella casa ospitale
di Mazzei. Ivi durante tre mesi approfondì la conoscenza
della Summa tomista. All’inizio del ’44 soggiornò in Roma,
tenendo all’Ateneo Lateranense un corso di lezioni, apparso
poi nel 1945 nel volume in “Per una architettura cristiana
dello Stato”, che accolse anche “L’Architettura di uno stato
democratico”, frutto di riflessioni intorno alla futura
Costituzione dell’Italia democratica.

Prima di essere eletto
deputato alla Assemblea Costituente espose altre riflessioni
alla Settimana sociale di Firenze dell’autunno 1945

Dopo l’elezione, accettata nelle liste D.C., trasse il
frutto di quelle riflessioni, operando negli anni 1946-47 in
seno alla prima Sottocommisione dell’Assemblea Costituente.
Ciò fece intessendo un fitto dialogo con quei “professorini”
(Dossetti, Fanfani, Lazzati) dei quali aveva incoraggiato la
ricerca di principi per la nuova Italia democratica, avviata
in via Ariberto a Milano, in casa Padovani, fin dall’ottobre
1941.

Gli Atti dell’Asemblea Costituente (1946-47) e gli articoli
comparsi in “Cronache sociali” e in “Studium” (1948)
mostrano come, in stretta cooperazione con i nuovi amici
Ambrosini, Leone, Moro, Mortati, Tosato e in vivace dialogo
con i colleghi di diversa estrazione quali Basso,
Calamandrei, Ruini, Togliatti, Giorgio La Pira si adoperò
per far sì che la Costituzione della Repubblica come egli
scrisse a pag. 212 dell’Architettura di uno Stato
democratico e ripeté nel suo discorso dell’11 marzo 1947
all’Assemblea Costituente non fosse né statalista, né
individualista, ma personalistica e pluralista.

Pensò che il suo lavoro di costituente non fosse compiuto se
non avesse potuto coronarlo con una proposta: quella di
iniziare il testo della Costituzione con un riconoscimento
della divinità. Intervenne in proposito in aula il 22
dicembre 1947. La proposta di La Pira non poté avere
seguito; ma suscitò emozione in molti e rispetto in tutti
per l’idea in sé e per la franca professione di fede di chi
l’aveva fatta. Il rispetto umano non rappresentava un limite
per l’azione di La Pira.

Rieletto deputato nel 1948 dopo che gli amici per la seconda
volta dovettero pregarlo insistentemente fu prescelto da
Fanfani, Ministro del Lavoro del tempo, quale
sottosegretario. Il che gli aprì un nuovo campo di ricerca,
che l’infaticabile esploratore svolse con sagacia,
conquistando la stima e l’affetto dei massimi sindacalisti
del tempo: Santi, Bitossi, Lizzardi e (allora giovanissimi)
Storti e Lama.

In mezzo a mille vicende non perse occasione per rendere
testimonianza alla sua fede.

Una mattina lo raggiunse nel suo ufficio un gruppo di
sindacalisti per proseguire l’esame di una complicata
vertenza. Era domenica, ma la festa non aveva impedito al
sottosegretario La Pira di prestare il suo concorso per quel
caso. Giunti alla fine della mattinata, senza avere ancora
trovato la soluzione, La Pira propose che si rinviassero le
discussioni al pomeriggio. Teresa Noce, che guidava la
delegazione della CGIL, si oppose, asserendo che la cosa era
molto importante. La Pira replicò:” la cosa più importante è
salvarsi l’anima, e siccome è domenica, andiamo a Messa”: ed
uscì per recarsi in chiesa. Tornò dopo la Messa per comporre
la vertenza.

Prima di uscire la sera dall’ufficio passava dal suo
ministro per salutarlo. Una sera, affacciatosi alla porta,
vedendo che il ministro dialogava con Di Vittorio e Bitossi,
massimi dirigenti allora della CGIL, fece solo un saluto con
la mano e si accinse discretamente ad uscire.

Bitossi vecchio suo amico da Firenze - lo apostrofò: ”Vieni
pure qui, tanto hai la nostra stessa tessera”, alludendo
all’orientamento di sinistra attribuitogli. La Pira entrò ed
avvicinatosi al tavolo dei tre disse: ”Caro Bitossi, tu ti
sbagli, io non ho alcuna tessera,” ed era vero, non ebbe mai
neppure quella della D.C. “con molti ed anche con te, ho in
comune il Battesimo, ed è molto!”.

Dalla sua sofferta esperienza presero avvio gli articoli
comparsi in “Cronache sociali” nel 1950-51 e ripubblicati
nel volumetto “L’attesa della povera gente”, nel 1952.

Si svolsero negli anni 1947-49 anche le ricerche attorno ai
problemi del comunismo esposte in articoli di “Cronache
sociali” e negli “Atti della settimana di studi della
Accademia di San Tommaso”. Ricerche anticipate nel 1920 da
un articolo intitolato Roma e Mosca.

Gli studi in tre direzioni, quella dei principi e strutture
di uno Stato democratico, quella dei doveri sociali di uno
Stato democratico, quella della contesa tra i partiti per la
guida dello Stato prepararono La Pira ad attività concrete
nel campo dell’amministrazione sia pure a livello comunale,
e nel campo delle relazioni tra i popoli in campo mondiale.
In conclusione: nel decennio 1945-55 l’esplorazione tra i
principi; i contatti umani a livello di masse come
parlamentare, deputato, sottosegretario al lavoro e sindaco
qual fu dal 1951 al ’65, ed i contatti a livello di
dirigenza come tessitore di colloqui ed incontri in campo
extranazionale, danno modo a La Pira di integrare e di
ampliare le basi teoriche di quella azione che riempirà il
ventennio compreso tra la metà degli anni ’50 e la metà
degli anni ’70.

Questa azione si ispirò sempre ad un’idea di fondo. La
riassunse nell’aprile 1974, parlando alla Santissima
Annunziata ai ragazzi fiorentini di “Mani tese”. Allora La
Pira ricondusse tutta la sua riflessione sulle ragioni e la
linea di siluppo della storia umana alla storia dei rapporti
tra Gesù Cristo e l’Uomo.

Pose le due domande: quale è la missione di Cristo e quale è
il destino ultimo dell’uomo? Diede ad esse la seguente
risposta: Cristo è venuto “per incontrarsi con gli uomini,
attrarli a sé, partecipare interiormente ad essi la vita
eterna: la sua vita divina (la grazia!)”. Il problema del
destino ultimo, interiore, dell’uomo è correlativo a quello
di Cristo: sta nell’accettare il dono di Lui (se conoscessi
il dono di Dio!), sta nell’accettare, conducendolo a fondo,
l’incontro con Lui.

“Il problema del destino dell’uomo è correlativo a quello
della missione liberatrice di Cristo: è quello di Cristo che
discende verso l’uomo per incontrarlo internamente, a Sé
attrarlo, ed a Sé incorporarlo: e dell’uomo che attratto da
Cristo ne accetta l’incontro, ne accetta la grazia (il dono)
e ne accetta l’unità interiore con lui: col Padre, col
Figlio e lo Spirito Santo.”

“I due problemi sono i due massimi di ogni tempo: vorrei
dire i più “travolgenti” del nostro tempo: atomico, tecnico,
apocalittico. Questi due problemi non possono non
costringere a sostare in riflessione le nuove generazioni
responsabili della costruzione di questa nuova storia e di
questa nuova civiltà del mondo! Chi sono? Per quale fine
sono stato creato? Quale il mio destino interiore ultimo?
Chi è Cristo? Quale rapporto essenziale ed in certo senso
non alternativo e non facoltativo a Lui mi unisce? Da quale
schiavitù sono interiormente aggravato? Quale liberazione
interiore e quale liberatore attendo? Chi è la Chiesa,
acquedotto della grazia? Cosa è la vita interiore?
L’orazione che ad essa introduce? La unificazione che essa
esige? “

“L’età scientifica, tecnica, in cui viviamo e nella quale
sempre più ci ingolfiamo esige risposte precise a queste
domande che diventano ogni giorno più le domande
ineluttabili che condizionano la storia intiera del mondo! “

“Esse in ultima analisi sono contenute nella domanda
fondamentale del mondo (“hic filius fabri fit magna quaestio
mundi”) quella che Cristo stesso pose agli apostoli: “Chi
dicono gli uomini che io sia?” A questa domanda con tutto
ciò che essa implica (la grazia, la Chiesa, la storia) non
si sfugge: e non sfugge ad essa proprio la nostra età
apocalittica, la quale ha solo in Cristo Crocefisso e
Risorto e nei suoi rapporti con l’uomo e con la soria
dell’uomo la chiave che sola può e sa aprire i misteri
davvero apocalittici (negativi e positivi) della storia
presente del mondo!”.

Anni fa Armando Guidetti chiese a La Pira di presentare
“Quattro prediche agli uomini di governo” di padre Vieira.
Egli rispose:” È preliminare questa domanda essenziale: che
rapporto misterioso, organico, finalizzatore, esiste tra la
storia sacra e la storia profana. La politica (cioè la
meditazione politica e l’azione politica, il moto intero
della storia, dei popoli e delle nazioni) può prescindere
(come se non esistessero) da questo rapporto che la muove e
la finalizza?…

“Se Cristo è risorto ed ha fondato la Chiesa, la storia
politica non è condizionata da questa presenza di Cristo e
della Chiesa? Non è sottoposta al disegno misterioso, ma
affettivo che Cristo persegue sul mondo? Ecco il problema
dei problemi: la premessa fondamentale da cui dipende tutta
la meditazione politica e tutta l’azione politica.”.

Con queste considerazioni Giorgio La Pira esponeva la
giustificazione del suo passaggio dalla vocazione-naturale
di contemplazione religiosa alla vocazione-storica di azione
politica.

PRINCIPI SULLA PERSONA E SULLA SOCIETA’

Presentando nel 1939 la rivista “Principi” La Pira esordisce
affrontando i temi relativi alla persona umana: “Il valore
della persona umana è costituito dal suo essere spirituale
che viene da Dio e che tende intrinsecamente a Dio. Il posto
che la persona umana occupa nella creazione e nella società
è, esso pure, definito dal fine a cui la persona tende.
Tutti i valori creati, compresi quelli sociali, hanno per
l’uomo funzioni di mezzo: costituiscono quella scala di
valori che egli deve normalmente percorrere per giungere al
suo ultimo fine; sono l’itinerario al termine e al di là del
quale c’è il riposo e la perfezione: Dio raggiunto e
posseduto per sempre” (“Principi”, n. 1, pag. 10, del 1974).

Proseguendo a chiarire i problemi basilari della società
rinnovata e a criticare le concezioni errate che sembravano
dominanti in quello scorcio degli Anni Trenta, La Pira
aggiunge (“Principi”, n. 2, pag. 26): “ Se affermo che ho
una missione da svolgere nel mondo non devo dimenticare che
un’altra missione, coordinata e non inferiore moralmente
alla mia, ha da svolgere il fratello che mi sta vicino! È
questa la base di roccia sopra la quale può poggiare senza
tema di rovina l’edificio sociale umano”.

E infine così riassume (“Principi”, n. 2, pagg. 34-35) i
quattro principi inerenti ai rapporti tra la persona e la
società umana:

1° “La persona umana è per definizione sociale”.

2° “La società verso cui la persona umana tende include
ordinatamente in modo cioè graduale, partendo dalla famiglia
e attraversando la città, la nazione, la stirpe l’universo
genere umano”.

3° “La società, anche in questa sua estensione universale,
ha per la persona umana funzione di fine prossimo, non di
fine ultimo”.

4° Da ciò… “persona e società derivano per l’una e per
l’altra obbligazioni precise”. “Ecco i fondamentali naturali
eterni sopra i quali solamente può essere costruito un
edificio sociale saldo”.

Contro le allora prevalenti storie dell’assorbimento della
persona in entità che la comprendevano e la asserivano, al
n. 10 (pag. 187) di “Principi” si scrive:

“La vocazione spirituale di ogni singolo uomo non può essere
distrutta e assorbita da una ipotetica vocazione collettiva;
non per il proletariato o per la razza o per lo Stato Dio mi
ha reso al mondo, ma per sviluppare nella mia vita interiore
e nella mia vita di relazione la chiamata santa alla verità
ed al bene”. “C’è una gravissima deformazione nelle dottrine
sociali del nostro tempo: si “personifica” con troppa
superficialità ogni cosa; si parla della razza, del
proletariato, dello Stato come se fossero degli “uomini in
grande” composti di “uomini in piccolo”. Tesi insensata,
antiumana ed anticristiana”.

In tal modo La Pira differenziava i principi da lui
sostenuti da quelli ai quali si rifacevano il fascismo, il
nazismo, il comunismo. Naturalmente non dimenticava la
socialità della vocazione cristiana: “La vocazione cristiana
incide, deve incidere, se è vera, nella mia famiglia, nella
mia città, nella mia patria, in tutto il genere umano.
Nell’ordine stesso delle cose io non sono un isolato. Sono
unito ai miei fratelli, in relazione organica e solidale con
essi” (“Principi”, pag. 122).

“Una sapiente opera politica e legislativa, deve
sapientemente subordinare al valore nazionale i valori
sociali inferiori (rispettandone, peraltro, la struttura e,
nei limiti naturali della subordinazione gerarchica,
l’intera autonomia), e deve con altrettanta sapienza
subordinare il valore nazionale al valore gerarchicamente
superiore dell’universale famiglia umana” (“Principi”, n.
6-7, pag. 135).

Nell’ultimo numero di “Principi” (n. 11-12, pag. 211) la
lunga elaborazione così si conclude: “ La stella polare che
deve orientare il mio giudizio e la mia azione è solo
questa: se sono un uomo, non posso essere solidale con
sistemi politici che negano il valore personale dell’uomo;
se sono un credente in Dio non posso essere solidale con
sistemi politici che negano Dio e che fanno di questa
negazione il postulato primo della loro azione sociale e
politica; se sono un cristiano non posso essere solidale con
sistemi politici che negano Cristo e che fanno di questa
negazione il postulato primo della loro azione sociale e
politica”.

Il censore fascista come si è in precedenza ricordato a
questo punto ordinò la cessazione della pubblicazione della
rivista. Ma ormai La Pira aveva chiarito i principi sui
quali si fondavano le sue idealità e si sarebbe basata la
sua azione.

Al Consiglio comunale di Firenze, il 21 marzo 1961, ricordò
la fecondità della resistenza e della lotta per la
liberazione in fatto di recupero dei valori politici ed
umani che in anni difficili il Sindaco aveva contribuito a
rievocare, a definire e a difendere.

In quella occasione Giorgio La Pira espresse l’augurio che
in quei valori “potessero far fiorire in Italia, in Europa,
nel Mondo una società più nuova e più giusta… nella quale
davvero nell’una e nell’altra parte del mondo le generazioni
nuove siano impegnate a liberare gli uomini dai loro quattro
nemici fondamentali: la tirannia ( e perciò ogni forma di
fascismo ed ogni forma di totalitarismo oppressivo della
persona umana), la miseria, la malattia e la guerra”.

Nessuna struttura statale o nazionale o di classe deve
violare “il grande riconquistato valore cristiano ed umano
della democrazia intesa, appunto, come pluralismo politico
e, perciò, come inviolabilità di alcuni diitti essenziali
della persona umana”. Dal seggio di Palazzo Vecchio La Pira,
ormai da un decennio alla guida della rinascita di Firenze,
sottolineava gli approfondimenti che nell’azione aveva
potuto in concreto dare ai principi annunziati vent’anni
prima.

Quegli approfondimenti generavano una azione che diveniva
“sociale ed economica, in quanto mirava a modificare certe
vecchie strutture economiche e sociali che impediscono lo
sviluppo della effettiva democrazia culturale e politica e
nelle quali trovò sostegno ed alimento nel passato e cerca
sostegno ed alimento nel presente l’azione del fascismo”.

In ognuna delle sue molto discusse decisioni in campo
economico-sociale il sindaco La Pira si rifece con rigorosa
coerenza ai principi del 1939 ed alle esplicitazioni di essi
fatte in “L’attesa della povera gente” (pag. 16 e20 della
edizione fiorentina del 1952): “È vano parlare di valore
della persona umana e di civiltà cristiana, se non si scende
organicamente in lotta al fine di sterminare la
disoccupazione ed il bisogno che sono i più terribili nemici
esterni della persona. La libertà medesima, respiro della
persona, è in certo modo preceduta e condizionata da queste
primordiali esigenze del lavoro e del pane.” “La vita
cittadina e nazionale non può essere affidata all’onda del
mercato, senza regola e senza porto. Bisogna moltiplicare i
talenti a favore del corpo sociale: per riedificare nella
vera giustizia che dà a tutti lavoro e casa una nuova
civiltà cristiana. Lavoro, casa, libertà: sono tre valori
solidali” (Lettera a Niccolini, presidente della Cassa di
Risparmio di Firenze, 20-1-1955).

Queste parole illuminano l’opera che il Sindaco svolse a
Firenze per i disoccupati delle aziende Pignone, Galileo,
Cure e per gli sfrattati. Partì sempre da un punto: che il
primo dovere di ogni uomo e di ogni governante è di aiutare
ognuno a meritarsi un pane. Da ciò parole durissime contro
imprenditori e governanti che questo sottovalutano. E
critiche pesanti contro una società che osa dirsi cristiana
senza operare in coerenza con i suoi principi.

Una “azienda viene chiusa”, scriveva a Pio XII il 1° maggio
1958, “gli operai licenziati, l’economia ferita, la pace
sociale turbata, la famiglia disgregata; la fede religiosa
indebolita o perduta: chi controlla? Chi garantisce? Chi
giudica? Nessuno!”.

Queste amare constatazioni lo riportavano a quanto aveva
scritto nelle “Premesse alla politica” (pag. 108 della
ripubblicazione “Per un architettura cristiana dello
Stato”): “La democrazia economica è il presupposto di quella
politica e l’una e l’altra costituiscono le basi materiali
che sono necessarie affinché un nuovo tipo di civiltà
cristiana dopo quello medioevale possa tornare a fiorire nel
mondo”.

Della continuità del suo pensiero e della coerenza della sua
azione, La Pira doveva lasciare un’ultima testimonianza
nell’articolo sull’aborto (“Osservatore Romano”, del 1976 e
riprodotto nel ’77). Significativamente all’inizio della sua
attività sociale nel ’39 in “Principi” difese il diritto
alla vita condannando la guerra; alla fine della sua
attività terrena nel ‘76-’77 difende ancora il diritto alla
vita invitando a non legittimare l’aborto.
Angelo Sandri

Il Presidente della Repubblica Ciampi
il 9 gennaio 2004, giorno del centenario della nascita, ha
conferito a Giorgio La Pira la medaglia d'oro al Valor
civile alla memoria - NdR.



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