Maria, donna di Dio
 La 
 faccia di una donna
 Il cuore palpitante di The Passion di Mel Gibson, film tanto 
 amato, contestato e discusso da molti( campione di incassi per 
 più settimane non solo in Italia), è la faccia di una donna, 
 cioè quella di Maria sebbene le varie illazioni sulla 
 comprensibilità della storia a livello mondiale, sembrano più i 
 soliti bastoni tra le ruote di quanti vogliono mettere i puntini 
 sugli i, che il pensiero di gente disponibile a connettersi con 
 le culture altre( a parte che il cristianesimo è la religione 
 più diffusa nel mondo ed è parecchio radicata in ogni zona della 
 terra, proprio per quella dedizione “materna” che le proviene 
 dalla mamma del fondatore, di Gesù di Nazareth).
 Infatti, anche 
 ultimamente, vi è stato un Convegno su Le Donne di Dio, a Poggibonsi, 5- 6 marzo 2004, che ha preso in considerazione le 
 donne nelle religioni monoteistiche( ebraismo, cristianesimo, 
 islam), per trovare punti di raccordo per aiutare l’umanità a 
 camminare sulle tracce di Dio , numerose nel mondo.
 Il tempo va, vola e le donne, ieri come oggi e domani, sono e 
 saranno essenzialmente empatiche, cioè strutturate in modo da 
 entrare in risonanza emotiva con le altre persone, di essere 
 capaci alla comunicazione, alle relazioni interpersonali( Cfr.: 
 Simon Baron- Cohen, Questione di cervello. La differenza 
 essenziale tra uomo e donna, Mondadori 2004), tant’è che Gesù ha 
 scelto proprio una donna per annunciare la sua risurrezione: 
 quella Maria di Magdala, risanata da Lui che lo seguiva e lo 
 serviva con grande affetto (Lc. 8,3). E che assieme a sua madre 
 non l’ha mai abbandonato nel tortuoso cammino verso il Calvario.
 Una cosa è evidente e balza agli occhi in The Passion( ma anche 
 leggendo con attenzione i 4 Vangeli) le donne Gesù le amava, 
 eccome.
 A cominciare da sua madre Maria (Maia Morgenstern) che nel film 
 ha il volto tragico e sofferente di qualsiasi donna che oggi 
 patisce nella sua carne lo strazio di vedersi strappati i figli, 
 la Maddalena perdonata, la Veronica pietosa e tante altre che 
 l’hanno seguito fedelmente fino alla sua immolazione per la 
 salvezza di tutti.
 La passione di Maria
 Maria, la madre, «invecchiata più di dieci anni» (Péguy), è l’ 
 elemento “drammatico” principale e potenziato, in cui si 
 riflettono le nostre commozioni (durante il processo, la 
 presenza del male, il sangue, che è tanto, le grida, il 
 paesaggio). È lei che lo guarda sapendo. Rivolge lo sguardo a 
 suo Figlio con l’infinita, straziata tenerezza dell’essergli 
 accanto senza poter alleviare il suo dolore, con il suo materno 
 desiderio di morire con lui, ma anche con la coscienza che si 
 sta compiendo l’evento centrale del mondo. E lui a quello 
 sguardo risponde, cercandolo come lo cerca qualunque figlio 
 soffrendo. Ma lo fissa anche rilanciando, nel momento finale 
 della croce, quello sguardo nella storia del mondo, di cui Maria 
 sarà sempre l’elemento catalizzatore per comprenderla. 
 Spesso silenziosa, abituata a «serbare tutto nel suo cuore”, è 
 nella notte della cattura, nell’istante in cui sa, che il suo 
 viso diventa una maschera di un dolore che segnerà per sempre 
 qualsiasi madre della terra che soffre per il figlio, 
 nell’impotenza di sollevare le sue pene.
 Maria, l’eletta da Dio, sapeva, del resto, oscuramente, già 
 tutto, già dal primo giorno, forse. Da quando l’angelo le 
 annuncia che l’Onnipotente l’ha scelta per dare un grembo a suo 
 Figlio. Lo cresce, poi, con tenerezza e orgoglio, con 
 trepidazione quando cade e lo soccorre, quando corre sconvolta 
 al luogo del processo, là dove gli ebrei amministrano la loro 
 giustizia, e nel vedere il figlio coperto di sangue dice solo: 
 «È iniziata, Mio Signore». Come un “così sia” pesante da 
 distruggere. Perché sulla croce andava il Figlio di Dio; ma lei, 
 Maria, era una donna, poco o niente considerata, allora (e 
 oggi???). E su di lei quel giorno s’è abbattuto il tormento 
 immane che non si può evitare e che lacera le fibre dell’amore.
 Il supplizio di Cristo, che si riflette nella faccia di sua 
 madre, una distinta dalle altre, perché scelta da Dio, 
 ammutolisce più che la violenza stessa spregevole, perpetrata su 
 di lui . Quel giovane piagato era il Figlio, e aveva accettato 
 il sacrificio. Ma lei (e le mamme di oggi, lacerate nel loro 
 tormento, come quelle degli ostaggi in Irak o altrove, non sono 
 come Maria?) cosa poteva fare, se non seguirlo fino in fondo, 
 sulla via del Calvario?
 La cosa che più stranisce in questo film (ma anche nei Vangeli 
 che, forse, hanno stuzzicato la curiosità di cristiani 
 “dormienti”) è che Maria non indietreggia mai, per il penoso 
 tempo del martirio.
 Dal primo istante all’ultimo, dagli insulti 
 alla fustigazione allo sfacelo delle membra, quando gli 
 spettatori in sala non tollerando più chiudono gli occhi, Maria 
 è sempre lì, con Maddalena, che assiste, ferma, come di pietra, 
 straziata, immobile. Ti chiedi: possibile? Massacrano tuo figlio 
 a quel modo, e tu stai immobile, non fuggi, non svieni, resti lì 
 a guardare? Eppure sì, ti rispondi, se una grazia te ne dà la 
 forza, rimani: resti perché speri che voltandosi lui ti veda, e 
 percepisca che almeno tu non l’hai ripudiato. Certo, ti costa 
 cento anni di vita. Ed è vecchia, infatti, Maria sul Golgota, 
 molto vecchia, disfatta, divorata dal dolore.
 Ma neppure per un attimo cede. Con Giovanni e le altre donne, 
 unite da un’estrema tenerezza per l’unico loro Signore – corrono 
 per i vicoli paralleli al corteo della croce. Vuole solo una 
 cosa: abbracciarlo ancora. Ci riesce, gli si para davanti mentre 
 lui, già agonizzante, già moribondo per le nerbate e i calci dei 
 centurioni, coperto dai loro sputi, crolla sotto a quel peso. E 
 allora, immagina Gibson, la madre rivede il giorno lontano in 
 cui Gesù cadde, bambino, in cortile, e come lei lo rialzò – e 
 come lui la guardava, e sorrideva. Ora, Maria deve soltanto 
 lasciarlo andare. Quel figlio non le appartiene, non le è mai 
 appartenuto. 
 E al Golgota, la Passione del figlio le è penetrata in faccia, 
 gliel’ha scolpita come una maschera di dolore. E’ la Madre, ed è 
 tutte le madri della storia del mondo, tutte le madri che 
 mettono al mondo figli che il male, le guerre, i flagelli e 
 l’odio divorano. Quella sofferenza sulla faccia di una donna è 
 più potente tuttavia di ogni cosa, del sangue e dell’odio, e 
 della bestiale oscena ferocia dei soldati romani. E’ vero che 
 gli ebrei hanno emesso la sentenza, ma che gusto hanno provato 
 quei romani , a eseguirla?. Già, perché i cattivi sono sempre 
 gli “altri”, e mai, proprio mai, noi.
 C'era bisogno di un film?
 I cristiani potranno obiettare: - Tutto questo è Vangelo, c’era 
 bisogno di un film per scoprirlo? 
 Quando si sentono certe risposte su quesiti religiosi a quel 
 giochetto che fa Amadeus prima del TG1, oppure su altre reti, 
 pare proprio che duemila anni sono terribilmente tanti, per la 
 nostra memoria così breve.
 In fondo, Mel Gibson, nel bene e nel male l’ha rinfrescata, 
 ricordandoci abbastanza fedelmente di come è andata quel famoso 
 giorno, in cui Gesù di Nazareth, fu crocifisso.
 Con Lui, anche Maria, la madre dei dolori, va oltre il tempo. 
 L’oggi della sua gloria non soffoca l’ieri della sua umile vita 
 terrena con Gesù Cristo. Nell’eterna giovinezza di Dio, essa 
 rimane la giovane ragazza ebrea di allora, che visse 
 un’esistenza dura e avventurosa nel disprezzato paesino di 
 Nazareth, in Galilea. Essa saggiò la dura fatica delle donne del 
 suo tempo. Mancando l’acqua corrente, bisognava attingerla dai 
 pozzi e portarla fino a casa. Non c’erano cucine elettriche e 
 bisognava andare a far legna. Non c’erano fiammiferi ed era 
 necessario aver molta cura del fuoco. Non c’era fornaio e 
 occorreva macinare il grano, impastare la farina e cuocere il 
 pane. Non c’erano abiti confezionati e le donne dovevano filare, 
 tessere e cucire i vestiti. Maria, la giovane fanciulla di 
 Nazareth che volontariamente scelse di obbedire alla voce di 
 Dio, accettò tutto questo fino in fondo. 
 Essa diede alla luce il Figlio di Dio, Salvatore del mondo. 
 Generò il più divino dei figli, ma nella povertà di una stalla e 
 per la più vergognosa e dolorosa delle morti. La sua missione 
 consistette nel dare a Dio quell’umiltà e quella capacità di 
 soffrire e di morire che egli condivise con lei. Ci voleva 
 quella docile donna per dare a Dio la solidarietà vulnerabile, 
 necessaria per la salvezza degli uomini.
 Questo mistero di amore si è compiuto attraverso un cammino di 
 gioia e di dolore, al termine del quale né Lui né Lei si sono 
 mai disinteressati del nostro destino.
 Maria è in o out, oggi?
 Quale "donna fedele presso la Croce" attende, sola, piena di 
 fede e di speranza che il Figlio deposto nella tomba risorga a 
 vita nuova e immortale; quale "presenza orante" tra i discepoli 
 di Cristo attende con perseveranza dall'Ascensione alla 
 Pentecoste la venuta dello Spirito; quale "inizio e madre della 
 Chiesa" è modello del credente che attende l'ultima venuta di 
 Cristo, "speranza del creato".
 Quest'atteggiamento fiducioso della Vergine ha interessanti 
 conseguenze nel culto. A Siviglia, per esempio, la celebre 
 statua della "Macarena", che si porta in processione nella notte 
 del Venerdì Santo e che rappresenta la Madre Addolorata in 
 attesa della risurrezione del Figlio, viene chiamata con il 
 titolo "Vergine della speranza". Quest'appellativo dato a Maria, 
 raffigurata proprio nel momento "disperato" della sua esistenza, 
 fa intuire un mistero quanto mai affascinante e profondo: la 
 Madre Addolorata che segue il Figlio sofferente incamminato 
 verso la tragica morte è la Speranza in cammino, il cui sguardo 
 sembra rivolto oltre la sofferenza e la morte, verso un punto 
 indefinito, quello che solo il Cristo "nostra speranza" (1Tm 
 1,1) può avere l'audacia di indicare.
 Oggi sappiamo che una delle più gravi malattie del momento, se 
 non la più grave, è il disagio della vita. La disperazione 
 infatti allontana da Dio e lo si vede come giudice implacabile, 
 ingiusto, giustiziere, aguzzino. Quante persone vivono questo 
 dramma, quante non trovano nessuno che le aiuti a ricuperare la 
 speranza, anche perché sono convinte che nessuno si trovi in una 
 situazione come la loro, nessuno viva i loro drammi e sia perciò 
 in grado di aiutarli.
 Però c’è Maria, che il film The Passion ci ha reso nostra 
 compagna nella sofferenza e che è anche la madre della speranza.
 Un padre si supplica meno, però la mamma sì, specie quando nella 
 realtà storica di ogni giorno subiamo incomprensioni, 
 umiliazioni, ingiustizie, emarginazioni…Lei è il conforto dei 
 disperati e la speranza di coloro che ne sono privi. L'invocarla 
 spesso può far ricuperare il senso della vita e superarne la 
 noia, infondendo nuova fiducia. Proprio Maria dilata gli 
 orizzonti dell'oscura storia umana, facendo considerare che essa 
 non è la nostra storia di poveri uomini e donne, di cronache dei 
 giornali, ma è la storia di Dio che in Cristo, suo Figlio e 
 nostra unica speranza, si è incarnato, morto e risorto per la 
 nostra salvezza; facendoci intuire che gli orizzonti di Dio sono 
 i cieli e l'eternità.
 Volgere lo sguardo a colei che ha saputo stare presso la croce 
 sperando contro ogni speranza e imparare a invocarla spesso come 
 Madre della Speranza, significa che anche per noi sono 
 autentiche le parole della Scrittura: "Ma le misericordie del 
 Signore non sono finite: in lui voglio sperare" (cfr.: Lam 
 3,1-29). 
 Se invece vogliamo fare i dotti e citare qualcuna che scema non 
 era, possiamo dire che:
 “Maria è la Donna autenticamente liberata, emancipata da ogni 
 schiavitù, archetipo e modello di ogni donna” (Edith Stein), 
 oppure recitare o leggere o balbettare, a seconda degli stati 
 d’animo in cui ci troviamo i dolenti versi di Herman Hesse che 
 di seguito riporto e che, potrebbero essere una sincera 
 preghiera per agganciarci a Maria (quanti nomi ha su tutta la 
 terra e quanta decisa popolare devozione viene tributata al suo 
 nome! E già, una madre divina come fa ad abbandonare i suoi 
 figli se neanche le derelitte umane lo fanno?).
 I dolenti versi di Herman Hesse
 Non sgridarmi! Non so pregare, 
 voglio solo, passando innanzi,
 salire i tuoi gradini 
 e vedere i tuoi occhi.
 C'e un puro splendore 
 sulla tua fronte, che mi colma di gioia:
 l'ho così spesso adornata di corone 
 nel tempo della mia fanciullezza.
 Senza ornamento e splendore di perle 
 lasciami deporre sui gradini, 
 muto implorando la tua benedizione, 
 l'appassita corona della mia giovinezza.
 Lotte, strade, ferite innumeri, 
 non gustate aspre vittorie 
 di guerre combattute senza gloria
 trovano stanche ora la meta.
 Variopinte voglie color della gioia 
 fan cadere spossate braccia, 
 il loro riso e alla fine, 
 e spenta la rossa fiamma.
 Morenti, pallide, febbrili
 vogliono, dimentiche del mondo, 
 stanche su duri gradini premere
 la sfiorita amorosa bocca.
 Il mio sguardo non può il tuo incontrare,
 la mia anima, che tanto ha sofferto,
 più non può chinata la tua supplicare:
 voglia la perduta sorella benedire!
 Sommessamente ora nell'intimità più profonda
 Essa vuole ricordare silenziosa e dolente
 i sororali tempi che furono,
 le beatitudini volte in vergogna (Herman Hesse, Canti a Maria).
Maria De Falco Marotta
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