- Mongolo, spastico, asilante, ebreo!

E poi l'appendice

1. Mongolo!

2. Mongoloide!

3. Spastico!

4. Asilante!

5. Frocio!

6. Andicappato!

7. Vu’ cumprà!

8. Albanese!

9. Negro!

10. Kossovaro!

11. Albanisch!

12. Rifugiato!

13. Ebreo!


Alcuni giorni fa ho detto ad un mio scolaro che aveva
gentilmente e scherzosamente insultato un compagno chiamandolo
ebreo, che anch’io ero ebrea. Ieri un ragazzo di un’altra classe
mi ha chiesto se ero ebrea. Io ho detto, sì, perché?

Non potevo infatti dire che ero mongoloide, né spastica, né
negra. Si sarebbe visto. Essendo qui da prima dell’arrivo delle
navi albanesi in Puglia, non posso nemmeno dire di essere
albanese. Anche l’appellativo Kossovaro è troppo recente.
Lavoro, quindi non potrei essere né rifugiata né asilante. Non
mi potrebbero chiamare nemmeno frocio.

Quando dico di essere italiana provo un certo non so ché, poi
vigliaccamente mi affretto a dire che sono qui da tanti anni e
che i miei figli adesso sono svizzeri. E poi da sposata ho
acquisito un cognome così lombardo che è molto diffuso anche in
Ticino… Così come ci sono tanti Bernasconi anche in Lombardia.
Ma ebrea, quello sì, quello posso esserlo sempre.

Insegno in questa scuola da tredici anni. Ogni anno c’è un
insulto che va per la maggiore. Questi insulti potrebbero
benissimo servire per fare una ricerca antropologica o per
rileggere la storia recente. E’ da poco più di una ventina
d’anni infatti che si parla di inserire i portatori di handicap
nelle scuole. Il dibattito era molto vivace una quindicina di
anni fa. Adesso se ne parla molto meno. Ci sono meno portatori
di handicap? Meno bambini affetti dalla sindrome di Down?
Speriamo!

Gli asilanti, ovvero richiedenti di asilo, ci sono sempre, così
come i rifugiati, anche se ogni tanto gli danno un po’ di
franchi, dei vestiti, li caricano su un aereo con dei poliziotti
e vrumm, di nuovo a casa, Kossovo, Albania, isola che non c’è.
Rimpatriano così anche bambini che sono venuti qui a un anno e
adesso ne hanno dieci, vuol dire bambini che sono cresciuti e
sono andati a scuola qui, tengono per il Lugano, il Servette, l’Ambri,
e forse per una squadra italiana famosa, come l’Inter o il Milan.


I miei scolari dicono che gli portano via il lavoro. Io insegno
in una scuola privata, dove ben pochi sono i ragazzi che hanno
problemi economici. Molti invece hanno solo poca voglia di fare
o di lavorare.

Difficile ragionare in questi casi. Come raddrizzar le gambe a
un cane, diceva mia suocera.

Ma quando sento “ebreo!” allora mi arrabbio.

Ne ho parlato con un collega. Ma scherzano, ha detto scherzando.


A me non piacciono le barzellette, le dimentico e non le so
raccontare. Se mi raccontano una storia ci credo, non sono
nemmeno capace di raccontare frottole, se non in casi
eccezionali. Apprezzo l’ironia, meno il sarcasmo.

Non scherzo mai, dicono che sia un mio difetto. Ma rido un sacco
delle cose che mi divertono. Mi diverto a parlar di cose serie.

Sentire insultare un ragazzo chiamandolo ebreo non mi diverte.


Mi fa arrabbiare. Tanto.

A me quel ragazzo che l’ha detto è simpatico. Cerco di parlargli
e ci intendiamo anche abbastanza. Con altri colleghi ha parecchi
problemi. Sta probabilmente cercando la sua strada, fra una
canna e l’altra. Ma è contento quando riesce a prendere una
sufficienza. Soffre probabilmente di un disturbo
ossessivo-compulsivo, per cui ogni tanto in classe deve fare il
verso di qualche volatile. L’anno scorso ho dovuto ritirargli il
telefonino, perché lo stava usando tranquillamente davanti a me.
Me l’ha dato subito, sorridendo. Mi spiace, sai, è la regola.
Certo, ha detto dandomelo, lo so. E’ un ragazzo sensibile e
intelligente.

Così l’altro giorno, quando mi sono tanto arrabbiata, ho
cominciato a spiegargli perché non si deve dire ebreo come
insulto. Devo dire che mi ha ascoltata senza fare versi di
volatili.

Ma da dove si comincia?

Io quando mi arrabbio mi impappino. Faccio una gran confusione.
Non so esprimere chiaramente un concetto. Le cose importanti mi
vengono in mente sempre dopo, dopo. Quando sto per addormentarmi
e non ci riesco.

Ho dovuto dire però che purtroppo i cristiani non hanno fatto
molto per non incoraggiare l’antisemitismo. Solo da poco è stata
tolta l’accusa di deicidio. Che cos’è il deicidio, mi hanno
chiesto.

Che gli ebrei sono sempre stati stranieri perché non hanno mai
rinunciato né alla loro fede né alla loro lingua sacra. Che
hanno cominciato a fare i banchieri perché non gli lasciavano
comprare né case, né terreni. Oppure facevano i medici, altra
professione vista con sospetto dalla popolazione. Che i re se ne
servivano per farsi dare i soldi per combattere guerre insensate
e quando non potevano restituire i soldi li cacciavano così da
un momento all’altro, ammazzandone anche un po’ già che c’erano.
In Inghilterra gli ebrei sono stati assenti dalla metà del
duecento fino al seicento.

Mi sono dimenticata però di dire che alcune di queste guerre per
le quali i re chiedevano finanziamenti erano anche le crociate,
che hanno segnato il vero inizio dell’antisemitismo ufficiale.
Massacriamo tutti gli infedeli, cominciando dall’Europa, poi
completeremo l’opera a Gerusalemme, dove ebrei e arabi
convivevano.

Mi sono dimenticata di dire che la parola Ghetto è stata
inventata in Italia, dove peraltro gli ebrei stavano meno peggio
che altrove, perché un buon Medici in cambio del titolo di
Granduca, per fare un piacere al papa, li ha fatti rinchiudere,
appunto nei ghetti.

Mi sono dimenticata di dire che i buoni e devoti Ferdinando e
Isabella di Castiglia verso la fine del 1400 hanno deciso di
ripulire la Spagna dai non cristiani e obbligato gli ebrei o a
convertirsi o a lasciare la Spagna.

Anch’io da piccola dicevo “Vil marrano!”. Cinquecento anni dopo
dire vil marrano a qualcuno era ancora un insulto. (I marrani
erano gli ebrei convertiti.) Santa Teresa d’Avila, santa
importantissima, apparteneva a una famiglia di vili marrani.

Anche Spinosa, il grande filosofo, era un marrano. Si era
rifugiato in Olanda come molti altri ebrei che aiutarono i Paesi
Bassi a rifiorire economicamente, così come avevano fatto altri
che arrivarono a Livorno. La Toscana trasse gran giovamento da
questi arrivi. Se qualcuno va in Turchia, Grecia, Bulgaria, se è
molto fortunato o sa dove trovarli, potrà sentire ancora parlare
uno spagnolo antico, appunto sefardita, da questi esuli dalla
Spagna. Ne ho incontrato qualcuno a Istanbul. Parlavano turco e
questo spagnolo. Facevano i negozianti, vendevano camicie e
bottoni.

Ma, mi ha detto questo ragazzo, fanno ridere, con quei cappelli
e con quelle barbe e con quei riccioli sulle orecchie. Lasciamo
perdere, dico io, perché se si sta a guardare cosa c’è in giro,
anelli al naso, capelli rossi verdi gialli e viola, c’è proprio
di tutto. Ho capito però che era un ragionamento “politically
incorrect”. E le suore, dico io allora, anche loro vanno vestite
in modo anacronistico. Appunto, dice lui. Meglio lasciar
perdere, penso io.

Cerco allora di spiegare come nel 1648, proprio alla fine della
terribile guerra dei trent’anni, in Polonia c’è stata una
strage, il massacro di Chmielnitzky, quasi paragonabile, fatte
le debite proporzioni, all’olocausto, e che in seguito una
specie di rabbino, ma non proprio, il Ba’al Shem Tov, si è messo
ad andare in giro e cercare di “rianimare” questo popolo ferito
a morte, cantando, pregando e ballando, e i suoi seguaci, gli
Hassidim, si vestono più o meno ancora come allora. Come anche
gli Amish, in America, non ti ricordi la lettura sul libro?

Ho scritto alla lavagna il nome di Chaim Potok e il titolo di
alcuni suoi libri, Danny l’eletto, Mi chiamo Asher Lev.
Leggeteli, ho detto, sono belli. Chissà.

Difficile spiegare, non sono una storica, non ho i dati precisi.
Ma so, di sicuro.

Avrei potuto raccontare la bella leggenda del Golem, questa
specie di Frankenstein d’argilla, creato a Praga all’inizio del
1600, almeno così dice la leggenda, perché aiutasse e difendesse
questi poveri ebrei sempre costretti a subire umiliazioni e
angherie. Sembra che fosse molto bravo all’inizio, poi la cosa è
scappata di mano e si dovette eliminarlo. Come? In un modo
alquanto “cabalistico”. Il rabbino che lo aveva per così dire
“creato” aveva scritto sulla fronte del Golem la parola Emeth,
che in ebraico vuol dire verità. Per farlo ritornare al suo
stato di semplice argilla bastò cancellare la prima E, ottenendo
così la parola Meth, che vuol dire morte.

Non ho avuto tempo di spiegare come con l’illuminismo e la
rivoluzione francese fossero arrivate anche fra gli ebrei le
idee egalitarie, la voglia di ..emanciparsi.. e hanno dato,
tanto, tanto. Hanno imparato le nostre lingue, sono usciti dai
ghetti. Pensavano di essere persone normali, come tutti, coi
loro difetti e le loro qualità. Ma soprattutto coi loro difetti,
come così bene ci descrive Isaac Singer. Nel suo libro “Il Mago
di Lublino” arriva a far dire al protagonista, perplesso nel
vedere gli uomini nella sinagoga, “ma almeno mentre sono qui non
commettono peccati, non fanno niente di male”.

“Danza con la morte” definisce Chaim Potok l’emancipazione, nel
suo libro “Wanderings”.

Volevo suggerire di leggere “La Tela del Ragno”, di Joseph Roth.
Meglio non esagerare.

Non mi è venuto in mente di dire che tanti ebrei hanno cercato
di costruire un’utopia in Russia insieme ad altri sognatori, ma
poi.. ma poi… i gulag. Anche Trotsky, come Marx e sembra anche
Lenin, era ebreo, veniva da uno Shtetl (villaggio) nella zona di
residenza, una fascia di terra che va dalla Lituania al Mar
Nero, se ne dovevano star lì, gli ebrei, un po’ in Russia, un
po’ in Prussia, un po’ nell’impero asburgico.. Ogni tanto, a
seconda dell’umore, li cacciavano, o facevano un pogrom
(spedizione punitiva in un villaggio di ebrei nella Russia degli
Zar in cui si distruggeva e si massacrava), così, tanto per non
saper cosa fare.

Le superstizioni. Chi conosce la religione ebraica sa che il
sangue non c’entra affatto. E’ stata una delle prime religioni a
eliminare il sacrificio umano. Ma la mala erba è forte e ben
radicata. C’era sempre in quei paesini un ebreo accusato di aver
sacrificato un bambino per berne il sangue!

Tanti altri pregiudizi, sospetti, invidie, furono sfruttati
persino dall’Okhrana, la polizia segreta degli zar, per
elaborare un crudelissimo libello contro gli ebrei, “I
Protocolli dei Savi di Sion”, che servì a istigare
all’antisemitismo e diffondere falsità in tutta Europa. Ancora
oggi c’è chi ci crede.

Ho cercato di spiegare, persa ormai in questo labirinto di
storie, fatti, idee, che finché queste cose sono a livello di
osteria niente di grave. Terùn, Polentùn. E poi una bella
bevuta.

Ma durante il nazismo la cosa è andata oltre. Licenza di
ammazzare i Terùn, licenza di ammazzare gli asilanti, licenza di
ammazzare gli ebrei, licenza di ammazzare gli handicappati,
licenza di ammazzare gli zingari. E’ proprio questo quello che è
successo quando la politica, i governanti si sono impossessati
delle idee da osteria e le hanno sfruttate per i loro fini.
Certo la guerra ha dato una mano. La guerra è assenza di legge,
assenza di controllo, assenza di tutto.

Non sono riuscita a dire tutte queste cose, però. Non c’era il
tempo. Stava per suonare il campanello.

Sono forse riuscita a dire che il concetto di razza è
scientificamente inesistente, certo non siamo cani o moscerini,
ma il nostro DNA non è così diverso da quello di un gorilla.

Ho cercato anche di dire che uno scrittore, Franz Werfel, ebreo
anche lui, ha raccontato in un libro scritto nel 1929, “I
quaranta giorni del Mussa Dagh”, che non solo gli ebrei sono
stati decimati. Durante la prima guerra mondiale c’era stato un
altro genocidio, quello degli armeni. Il genocidio del deserto,
l’hanno chiamato. Hanno semplicemente deportato un popolo
facendolo camminare a piedi, fino alla morte. L’anno scorso
avevo un’allieva con il nome che finiva per –ian, come tutti gli
armeni. La sua bisnonna si era miracolosamente salvata
sopravvivendo per alcuni giorni accanto ai cadaveri di tutti i
suoi famigliari, aveva poi avuto una vita avventurosissima, mi
ha detto K. P.

Anche quello un popolo non guerriero, ma diverso, come
tradizioni, lingua, cultura, religione, dal popolo dominante, i
turchi. C’erano degli scienziati che assistevano i turchi in
questa loro opera. Prestavano assistenza tecnica. Sì, perché
l’eliminazione dei cadaveri creava dei problemi, in certi luoghi
le montagne di corpi avevano addirittura deviato il corso di
certi fiumi. Questi scienziati stavano quindi studiando dei gas
letali. Ma i gas utilizzati allora erano troppo “pesanti”, non
funzionavano se non a pochi centimetri da terra. Ecco perché ad
Auschwitz e in altri posti simili hanno fatto scendere i gas
dall’alto, dalle docce.

Non ricordo se ho detto che Elie Wiesel, premio Nobel,
sopravvissuto ai lager, ha detto, vigilate, perché queste cose
possono capitare ancora. Cambogia, Ruanda, Yugoslavia. Basta una
scintilla.

Gli ebrei, per dirla alla Don Giussani, sono il mio senso
religioso.

Ecco perché non riesco a scherzare quando sento chiamare
qualcuno ebreo. Non riesco proprio. Sono ebrea anch’io.
Cristina Cattaneo


Appendice

"Sometimes we must interfere.

When human lives are endangered, when human dignity is in
jeopardy, national borders and sensitivities become irrelevant.
Whenever men or women are persecuted because of their race,
religion, or political views, that place must - at that moment -
become the center of the universe."

GdS 20 IX 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Cristina Cattaneo
Società