La perfezione non esiste o é un'anomalia

di Giuseppe Lazavecchia

                    
Premessa. Di qualsiasi argomento – fisico o intellettuale –
l’uomo ritiene che si possa trovare il meglio, l’ottimo, il
perfetto, e che quindi esso esista.

Di “perfezione” i dizionari dànno definizioni più o meno
complesse, ma comunque chiare; una, breve, è: “mancanza di
errori, di difetti, di lacune; completezza; eccellenza”; se però
si va a vedere “eccellenza” le cose vanno meno bene e ci si può
confondere, ma, di nostra iniziativa, possiamo tradurre il
termine con “lo stare al di sopra (essere meglio) di tutti gli
elementi confrontabili” (1). Lo stesso dizionario aggiunge: “con
riferimento a organismo vivente, sviluppo completo”; se ne
dedurrebbe che un organismo ammalato, storpio, orrendo e così
via, ma completamente sviluppato è perfetto. Con questo non si
vuol dire che la definizione sia errata, ma soltanto che essa
privilegia un aspetto – la completezza dello sviluppo – su
altri. In ogni caso, occorre sempre essere rigorosi nelle
definizioni per non fraintendersi.

La mancanza di errori, difetti e lacune richiede di sapere cosa
essi sono e rappresentano per un soggetto (o oggetto), ed
esprime indubbiamente un giudizio di valore, ossia una
valutazione etica. James Fieser afferma che “il campo dell’etica
… comporta la sistematizzazione, la difesa, e la raccomandazione
dei concetti di comportamento giusto e sbagliato” (2). Questo
vale, in termini generali, per condotte e comportamenti, ma
anche per azioni e oggetti: si pensi ai “difetti” (chiamati
proprio così) nei materiali, o a quelli di una macchina. Il
viceversa è altrettanto valido; la Chevrolet esalta la
“perfezione” della sua auto Corvette (3).

Perfezione è comunque un termine astratto e ha un senso solo se
esistono oggetti, situazioni, comportamenti “perfetti”; si può,
forse, ancora accettare di discutere di perfezione se, pur non
esistendo riferimenti perfetti, essi sono comunque concepibili,
nel senso che ci si può avvicinare quanto si vuole ai
riferimenti ideali. Ma se questi riferimenti non esistessero, si
potrebbe parlare di perfezione e di perfetto, o si entrerebbe in
diatribe (pseudo-)filosofiche delle quali è stato pieno il
medioevo, ma anche le culture più antiche?

Il nostro primo compito è pertanto quello di andare a vedere se
esistono o sono concepibili riferimenti perfetti, cominciando da
quelli più semplici: le grandezze misurabili.


Le grandezze misurabili. Da che l’uomo ha parlato di grandezze,
ha inteso riferirsi a qualcosa che fosse misurabile, che
pertanto fosse caratterizzata da una sua precisa dimensione e
quindi anche che ci fosse una misura precisa di essa, nonostante
il fatto che, a diverse misurazioni, corrispondessero spesso
misure diverse.

Dopo pochi mesi dall’inizio del primo anno del corso di laurea
in fisica, a me – che avevo fatto il liceo classico ed ero
pertanto piuttosto digiuno di conoscenze scientifiche – venne
chiesto, dal giovane assistente del prof Giovanni Polvani (che
sarebbe poi diventato il prof. Giorgio Salvini, presidente
dell’Accademia dei Lincei), di tenere un seminario interno sulle
grandezze e la loro misura, e iniziai proprio dalla posizione
sopra esposta, che volli suffragare con un versetto biblico: “E
chi di voi d’altra parte può, volendolo, aggiungere un solo
cubito alla sua altezza?” (4).

Qualche mese più tardi, con un bagaglio un po’ più esteso di
conoscenze di fisica, chiesi e ottenni di rifare il mio
seminario, nel quale affermai, in sintesi, che ogni grandezza
non aveva nessuna dimensione – precisa o imprecisa che fosse – e
che, ciononostante, poteva essere misurata e che le misure si
accumulavano attorno a un valore che, pertanto, poteva assumersi
come dimensione della grandezza stessa.

A riprova dell’affermazione portai un buon numero di esempi,
come, per la lunghezza, l’agitazione termica o il fatto che gli
elettroni del corpo da misurare hanno una probabilità non nulla
di presenza che va all’infinito e, comunque non hanno un confine
netto; per la massa il continuo evaporare e depositarsi di
molecole se non di particelle; per il tempo la sua concezione
puramente meccanica per cui non è un invariante relativistico
(mentre lo è, ad esempio, un tempo misurato dalla variazione
d’entropia); senza dimenticare dunque la relatività di Albert
Einstein e il principio d’indeterminazione di Werner Heisenberg.
Ricordai che le grandezze termodinamiche di riferimento
(temperatura pressione, ecc.) non erano stabili nel tempo, né
identiche nelle diverse parti del corpo da misurare. Inoltre,
anche gli strumenti di misura – per analoghi motivi – sono
indeterminati. Aggiunsi pure alcune considerazioni dei filosofi
Émile Boutroux e Henri Bergson sui problemi di materia e tempo e
del neopositivista Ernst Mach sul significato dell’osservazione,
che mi portava, quest’ultima, a considerare accettabile sia
l’operazione di misurare qualcosa di intrinsecamente
indeterminato puntando a ottenere un valore rigoroso, sia il
risultato della misura.

Il mio intervento fece un certo scalpore e il prof Polvani, in
un tempo successivo, mi fece incontrare e discutere col prof
Eligio Perucca che, con Polvani stesso, era a quei tempi il
massimo esperto italiano di metrologia.

Il problema delle grandezze e della loro misura va comunque
affrontato con rigorose teorie delle une e delle altre. La
validazione di una misura ha sempre bisogno di una teoria di
riferimento, basti pensare alla misura dello sviluppo morale di
Kohlberg (5) o a quella dello sviluppo cognitivo di Piaget (6) –
ma il discorso vale, esattamente allo stesso modo, per la misura
della lunghezza di un tavolo – e richiede pure che le variabili
siano definite in modo appropriato, cosa che spesso non avviene,
come per il quoziente QI di intelligenza.

In una situazione così indeterminata e – cosa ben più rilevante
– indeterminabile, come quella di concezione di cos’è e si
presenta una grandezza e della sua misura, non ha certamente
senso parlare di perfezione, a meno di indicare una definizione
– o nominale o operativa – accettabile.


La materia. Che cosa sia la materia è ben noto; su questo
pianeta essa costituisce tutto quanto esiste, nulla escluso e si
presenta in forma solida (una pietra, un cristallo di quarzo),
liquida (l’acqua che beviamo, il mare) o gassosa (l’aria,
l’argon nelle lampadine). (7)

Nel XIX secolo si è consolidata una scienza della materia nelle
tre forme ricordate, a partire dal bagaglio di conoscenze
empiriche, accumulate da tempi immemorabili, in quanto dalla
materia si ottengono i materiali indispensabili per tutte le
attività dell’uomo. Si sono così sviluppate le teorie dei gas e
dei fluidi, degli atomi e delle molecole, quelle dei cristalli,
la termodinamica, la meccanica statistica e tante altre ancora.
Per i diversi stati della materia si sono dapprima considerate
le condizioni “ideali” – il gas, il fluido, il cristallo
perfetto, con tutti gli atomi ordinati e al loro giusto posto –
ma ci si è presto accorti che il comportamento reale della
materia differiva da quello ideale, ossia da quello che si
riteneva la materia avrebbe dovuto presentare, e se ne dedusse
che, pertanto, essa – al di là di certe idealizzazioni
palesemente fasulle - doveva avere dei “difetti”.

Per gas e liquidi si sono trovate soluzioni teoriche accettabili
(ad esempio riconoscendo un volume alle molecole di gas o di
liquido, tenendo conto della loro forma e delle loro forze
attrattive e repulsive. Per i solidi le cose si rivelarono assai
più complesse, anche perché le loro proprietà - pur dipendendo
ovviamente dalla natura degli atomi componenti e dalla struttura
che assumevano in molecole, solidi e cristalli – risultavano,
anche per alcuni ordini di grandezza, diverse da quelle
calcolate per le strutture perfette.

Può essere interessante ricordare che, alcuni decenni fa, si
instaurò una garbata polemica tra chimici e fisici – alla quale
partecipai io stesso – perché i primi erano interessati alla
determinazione della struttura cristallina perfetta –
ottenibile, ad esempio, con la diffrazione di raggi X – e
conseguentemente anche a quella delle molecole, mentre i secondi
erano soprattutto interessati a studiare i difetti e il loro
ruolo. In un cristallo, infatti, atomi, ioni, molecole si
posizionano in precise posizioni di un reticolo, costituito da
celle che si riproducono regolarmente nelle tre dimensioni.


Materiali e difetti. Tutti i materiali contengono difetti di
varia natura. Vi sono difetti puntuali come le vacanze (mancanza
di un atomo, o di uno ione) in una posizione reticolare, o come
gli interstiziali (un atomo che va ad occupare un interstizio al
centro di un gruppo di atomi del reticolo), o come i
sostituzionali (atomi di natura diversa che vanno a sostituire
atomi del reticolo o a occupare interstizi e, in questo caso, si
preferisce chiamarli impurezze interstiziali). Questi difetti
deformano localmente la struttura cristallina: attorno a una
vacanza gli atomi si avvicinano, mentre un interstiziale tende a
dilatare localmente il reticolo. Ci sono anche difetti lineari,
come le dislocazioni (ad esempio, l’inserimento di un mezzo
piano reticolare entro il reticolo cristallino), e difetti
superficiali (la separazione tra due fasi, come due cristalli
dello stesso materiale ma orientati diversamente, o tra due
sostanze diverse).

Ma perché ci sono i difetti? Essi, per motivi diversi, sono
indispensabili, ossia ci sono perché le leggi di natura, o
l’ambiente, lo richiedono. Alcuni di essi (come i difetti
puntuali) stabilizzano la struttura: è noto che i corpi tendono,
all’equilibrio, a occupare posizioni di minima energia: un sasso
tende a scendere a valle, riducendo la sua energia potenziale e
accrescendo quella cinetica, che cede poi al suolo, per attrito,
in forma di calore; ma una sostanza deve anche minimizzare il
suo potenziale termodinamico o chimico, ossia deve stare in un
minimo della cosiddetta energia libera di Gibbs (o di Helmholtz)
e i difetti puntuali, in precise quantità per unità di volume e
per certe condizioni di temperatura e pressione, minimizzano
l’energia libera. In condizioni d’equilibrio, dunque, tutte le
sostanze contengono una determinata quantità di difetti.
Naturalmente si può cercare di eliminare, almeno in parte questi
difetti, e poi di congelare la struttura così ottenuta in modo
che non si ripresentino: è quello che si fa con la crescita dei
cristalli (quasi) perfetti per l’elettronica.

Altri difetti, come le dislocazioni, non sono imperfezioni che
minimizzano l’energia libera di un pezzo di materia (anzi), ma
sono invece dovuti ad azioni meccaniche e sollecitazioni varie
(per esempio termiche) durante la sua crescita o la sua vita
(urti, torsioni, sforzi cosiddetti “di taglio”, campi elettrici,
ecc.). Anche questi difetti sono inevitabili, a meno di ottenere
e conservare la materia in una “teca di cristallo”.

I difetti, poi, si muovono e interagiscono tra loro: una vacanza
può allora incontrare un interstiziale e i due difetti
annullarsi, ma un atomo può lasciare la sua posizione
reticolare, creando così una vacanza, e ficcarsi in un
interstizio, creando allora un interstiziale.

A questo punto si può concludere dicendo che l’organizzazione
“perfetta” della materia è un’astrazione, alla quale ci si può
avvicinare con opportuni procedimenti (processi di
cristallizzazione di sostanze iperpurificate, in condizioni di
temperatura regolatissima e in quasi totale assenza di “stress”)
così da eliminare i difetti e da congelare poi la situazione. E’
ovvio che la perfezione è un’anomalia, che i cosiddetti difetti
non sono tali, ma la condizione ottimale per la materia.


Transizioni, trasformazioni, reazioni (di composti chimici, e
anche di gruppi sociali). Transizioni, trasformazioni e reazioni
chimiche sono tutti fenomeni regolati dai potenziali
termodinamici e chimici che governano il comportamento di
qualsiasi sostanza obbligandola ad assumere la condizione di
minima energia libera.

Così l’acqua, alla pressione atmosferica, deve essere solida
quando si trova a una temperatura sotto zero °C, è liquida sino
a 100°C, dopo di che, a temperature più elevate, vaporizza. Allo
stesso modo un metallo a contatto con l’ossigeno tende, in
condizioni normali, ad ossidarsi: il ferro, ad esempio, in modo
totale, perche lo strato d’ossido (la ruggine) è permeabile per
vari motivi all’ossigeno che pertanto arriva al metallo
sottostante; l’alluminio formando un sottile strato superficiale
sul solido, strato che isola il resto del metallo dal contatto
con l’ossigeno, a meno che graffi, abrasioni, lucidature non
riportino il metallo a contatto con l’atmosfera.

Le reazioni chimiche per portare all’equilibrio le sostanze
presenti (che si trovano in un recipiente, in un reattore, o
comunque a contatto tra loro) possono essere più o meno veloci e
l’uomo, per i suoi scopi, cerca le condizioni migliori di
temperatura e pressione e quale sostanza è in grado di
accelerare (ma anche ritardare) la reazione, sostanza nota col
nome di “catalizzatore”. In ogni caso spesso le condizioni di
equilibrio non richiedono che la reazione sia completa, ma solo
parziale, così che, all’equilibrio, possono essere presenti
reagenti e prodotti della reazione in rapporti ben determinati.
Nulla di differente dai difetti dei solidi appena discussi:
questi ultimi, se non ci sono, si debbono formare, magari
lentissimamente, ma non è che tutto il solido diventi un
difetto, e, viceversa, se ce n’è troppi, vengono in parte
espulsi sino ad arrivare alle condizioni d’equilibrio. Per
inciso, si può osservare che fenomeni analoghi avvengono anche
per i comportamenti di gruppi sociali nei quali certe “devianze”
dal comportamento medio (dovute sia a fattori genetici sia
“culturali”) sono presenti in rapporti definiti: per i fattori
genetici tali rapporti sono invarianti, per quelli culturali si
osserva una dipendenza dal tipo di società che può, ad esempio,
mutare nel tempo (8).

Uomo e natura hanno escogitato modi per rendere praticamente
completa una reazione, anche quando il prodotto dovrebbe essere
presente soltanto in piccole quantità: basta, ad esempio,
eliminarlo da dove avviene la reazione, la quale allora procede
per ripristinare la quantità di prodotto necessaria
all’equilibrio. Il caso dell’ottenimento dell’ammoniaca da
idrogeno e azoto è emblematico: si opera ad alte temteratura e
pressione e in presenza di composti di ferro come catalizzatore
per accelerare la reazione, e si toglie continuamente
l’ammoniaca formata, ché altrimenti la reazione darebbe ben poca
ammoniaca. In natura molti prodotti di reazione, fluidi, si
allontanano da soli dal luogo ove avviene la reazione, altri
vengono catturati da sostanze che posseggono cavità, come le
argille o le zeoliti. Questi fenomeni avvengono anche nel caso
di devianze di tipo culturale: se gli individui che ne sono
toccati venissero tolti da un gruppo sociale sufficientemente
consistente (se troppo piccolo non valgono più le considerazioni
statistiche alla base di tali fenomeni) altri individui
finirebbero per assumere tali devianze.

Il discorso appena fatto vale anche per i prodotti ottenuti da
reazioni chimiche, i quali se puri, o quasi, dovrebbero
regredire ridando i reagenti, sino a raggiungere nuovamente
l’equilibrio; ma se i prodotti di reazione sono portati – o
vanno – a condizioni tali da ridurre praticamente a zero la
velocità di reazione, allora possono rimanere senza regredire.
Lo stesso potrebbe avvenire nel caso delle società umane, ma
anche animali o vegetali, se decidessero di mutare radicalmente
di comportamento.

In ogni caso prodotti o società perfette sono un artificio,
mentre la norma è quella di sistemi che, secondo gli schemi
mentali correnti, sono invece sporchi, imperfetti, devianti.


Le molecole (compeso il DNA). Per le molecole valgono tutte le
considerazioni già fatte sui difetti e le trasformazioni, né
esse presentano fenomeni che non valgono per le sostanze già
esaminate. Se ne parla qui a parte perché esse hanno
implicazioni importanti in molti fenomeni caratteristici della
materia vivente.

Nelle molecole, un gruppo molecolare può essere sostituito da un
altro, con proprietà di occupazione spaziale, chimiche, di
“colore”, farmacologiche, ecc. diverse; oppure, attorno a un
legame la molecola (specialmente se lineare) può ruotare di un
certo angolo dandole così una struttura geometricamente diversa.
Nelle catene molecolari certi segmenti della catena possono
essere sostituiti da altri, particolarmente durante la
formazione della catena stessa (nei polimeri si formano così i
copolimeri). Una catena ben difficilmente riesce a stare tutta
allungata se è molto lunga e, pertanto, si ripiega formando una
sequenza di pezzi di catena equidimensionali, salvo che alcuni
pezzi possono essere un po’ più lunghi, uscendo dal pacchetto, e
altri un po’ più corti, lasciando delle specie di vacanze. Tutti
questi “difetti”, in generale, minimizzano l’energia libera e
rendono conto del perché – sia in natura sia in laboratorio o in
fabbrica, non si ottengono mai sostanze totalmente pure e
perfette. E’ la purezza, in questo caso, ad essere non la
perfezione, bensì l’anomalia.

Anche le molecole, poi, possono reagire con le sostanze con le
quali vengono a contatto, fondendosi, scambiandosi gruppi
molecolari funzionali, cedendo o acquisendo pezzi di molecola:
anche in questo caso valgono i principi di perseguimento di
minima energia libera, ma, trattandosi di singole molecole e
quindi di casi pei quali non valgono o valgono meno, le
considerazioni statistiche, possono verificarsi, anche se con
probabilità molto bassa, fenomeni devianti, che vanno ad
accrescere anziché ridurre l’energia libera. In realtà le cose
sono un po’ più complesse e si dovrebbe tener conto degli stati
(energetici o d’altra natura) disponibili, il che potrebbe
rendere “termodinamici” anche i sistemi di una o poche molecole,
ma è inutile addentrarsi in tali considerazioni, dato che questo
intervento non è né dev’essere un trattato di chimica-fisica.

Tutto quello che è stato ora detto vale anche per le molecole
del vivente, come quelle di DNA, di RNA, delle proteine, non
esistendo una materia speciale che le caratterizza, ma essendo
esse costituite dai soliti atomi della chimica organica e
sottostando alle identiche leggi fissate dalla natura. Così,
tali molecole possono reagire, modificarsi, “mescolarsi” con
quelle di specie diverse, scambiandosi gruppi molecolari (per
esempio geni). Naturalmente, alcuni eventi sono più probabili,
come i piccoli cambiamenti di singoli atomi o di loro piccoli
gruppi (quello che il premio Nobel François Jacob ha chiamato
“bricolage” molecolare (9)) altri meno probabili, altri ancora
“proibiti”, anche se, come abbiamo visto, pure questi ultimi
possono accadere.

Insomma, i mattoni della materia vivente sono in continua
evoluzione, tanto è vero che da una probabile unica forma
semplice di vita presentatasi oltre tre miliardi di anni fa se
ne sono formate una miriade, in media sempre più complesse, la
gran maggioranza delle quali è scomparsa. Le varie specie si
sono formate mediante questi – e altri – meccanismi di
modificazione molecolare e le specie si sono differenziate e
continuano a farlo, con gli stessi meccanismi. Lamark pensava
che esistessero “spinte interne” all’organismo capaci di portare
a nuove strutture, ma non conosceva la biologia molecolare e
pertanto attribuiva a queste spinte (che sono, come s’è visto,
soprattutto un bricolage) un indirizzo verso la perfezione che,
ancora una volta, non esiste. Hugo De Vries e John Burdon
Haldane hanno ben compreso il ruolo determinante delle piccole
mutazioni (10), sulle quali hanno un ruolo essenziale i fattori
biochimici, in molti casi identici a quelli impiegati dall’uomo
quando costruisce i cosiddetti OGM. Infine, anche se con
maggiore difficoltà - per ragioni puramente geometriche di
interazione tra due molecole di DNA, ma non per motivi
energetici e di potenziale chimico – si possono avere scambi tra
molecole di specie diverse, così che non esistono le cosiddette
“barriere” genetiche tra le specie, una frottola che ha basi
(pseudo)filosofiche ma non scientifiche.

Ci fermiamo qui, perché questo non è neppure un trattato di
biologia, di genetica o sull’evoluzione. Ci limiteremo, nel
paragrafo successivo, a prendere in considerazione se esistono e
cosa rappresentano le “deviazioni” genetiche.


Le devianze genetiche. Occorre innanzitutto premettere che non
c’è una corrispondenza – tanto meno biunivoca – tra geni e
caratteristiche (fisiche, comportamentali, di salute o
malattia), ma piuttosto, in linea generale, delle propensioni.
Il giudizio se si tratta di propensioni positive o negative,
utili e vantaggiose, oppure pericolose e svantaggiose, è
puramente esterno e non ha alcun valore nella eventuale ricerca
del DNA perfetto di una specie, cui riferirsi.

DNA e proteine, a contatto con altre sostanze, o sollecitate dai
fenomeni più diversi – come variazioni di temperatura, campi
elettrici, magnetici, ecc., radiazioni, stress – hanno
innumerevoli occasioni per modificarsi, senza alcuna finalità.
Tali modifiche sono indubbiamente favorite dai potenziali
chimici, ossia sono più probabili se le nuove strutture chimiche
o le nuove conformazioni riducono l’energia libera, ma, come
abbiamo visto, possono accadere – anche se con minore
probabilità – pure se l’aumentano. Possono anche avvenire scambi
di frammenti di molecole di specie diverse. Tra tutti questi
fenomeni sono maggiormente probabili le piccole variazioni
conformazionali o relative a singoli atomi o a loro piccoli
gruppi – il bricolage di Jacob – piuttosto che le variazioni che
coinvolgono un intero gene; è anche probabile che sia più facile
l’inserimento o l’eliminazione o lo scambio di una sequenza di
molti geni, come avviene nei processi naturali o antropici
d’ibridazione.

Alcune di queste modifiche portano a specie nuove, altre, anche
se più rare, all’ibridazione di specie diverse creandone così
una terza. In ogni caso si ha un’evoluzione continua delle
molecole di DNA e delle proteine e non esiste nessun criterio
per stabilire quale sia, o sia stata, o sarà quella perfetta, di
ogni specie o in assoluto.

La natura ha inventato criteri di scelta – globali per tutto il
pianeta o locali per un determinato ecosistema – che Charles
Darwin ha ben illustrato (11). Le specie più adatte alle
condizioni ambientali del momento - perché anche queste
condizioni sono soggette a variazioni continue - (quali
territorio, clima, alimentazione, presenza o assenza di altre
specie) permangono a detrimento di quelle meno adatte. Tra i
fenomeni globali possiamo ricordare la scomparsa dei grandi
sauri o la comparsa dei mammiferi, animali a sangue caldo e che
quindi abbisognano di molta energia, ossia di molto cibo, ma
che, conseguentemente, possono essere attivi oltre che di giorno
anche di notte, e avere ampi gradi di libertà operativa. Quelli
locali sono i più ovvii e frequenti: un gran numero di specie
vegetali e animali sono tipiche di determinate aree geografiche,
a prescindere dalle condizioni di tali aree che spesso sono
simili ad altre che ne sono prive; riso, grano, patata,
pomodoro, cavallo, bovini – ma un gran numero di altre specie –
si trovano un po’ dovunque perché nei tempi passati ce le ha
portate l’uomo.

Oggi, la moltiplicazione vertiginosa dei traffici (navi, aerei,
auto, ecc) sta diffondendo le specie più diverse (piante,
animali, insetti, batteri, virus) che fino a ieri erano relegate
in aree particolari. Così, nel Mediterraneo sono arrivate alghe
che stanno soppiantando quelle locali, nell’Adriatico molluschi
che hanno praticamente sostituito i belli e gustosi “garagoli”;
la mania dei fiori e degli animali esotici sta facendo invadere
il territorio del mondo occidentale da specie che spesso non
trovano l’habitat corretto, per il loro sostentamento e per i
fenomeni che ne controllano la numerosità.

E’ interessante osservare che certi vantaggi di una specie sono
a detrimento di altri. Così, le specie vegetali che sanno meglio
difendersi dai parassiti – con veleni, cancerogeni e altre forme
di lotta – sono spesso poco “produttive” in termini di frutti, e
quindi per l’uomo che, nei millenni, ha conseguentemente cercato
di selezionare le varietà più produttive, che vanno però difese
con antiparassitari chimici o altri sistemi. Per l’utente che
mangia i frutti, la scelta è tra ingerire un po’ di sostanze
chimiche, indubbiamente dannose, o quelle contenute nei prodotti
della cosiddetta “agricoltura biologica”, altrettanto dannose e
in quantità spesso mille volte superiori.

Anche per quanto riguarda la salute si deve tener presente che
certe “anomalie” geniche, che portano a malattie, possono
risultare vantaggiose per altre condizioni. Ad esempio, la
frequenza del gene della drepanocitosi e della beta-talassemia
nell’Africa occidentale, e del deficit del gene G-6-PD nei
nostri climi, dipende dall’effetto protettivo verso la malaria,
nonostante la natura letale delle malattie: la selezione
naturale, dunque, determina la diffusione dell’assetto genetico
che, globalmente, minimizza il rischio (12).

Questo non vuol dire che le modifiche, quali l’eliminazione o la
trasformazione di geni responsabili di malattie gravi, non siano
benefiche; ma che non possono essere interpretate nel senso che
esistono condizioni genetiche ottimali, tipiche della
“perfezione”. Naturalmente questo non esclude che, sotto profili
puramente ideologici, non si possa stabilire quali siano le
condizioni perfette, così come fece Hitler – ma anche altri,
come i paesi scandinavi, che si dichiaravano democratici e
liberali – a suo tempo.


Non-equilibrio e incertezza. La perfezione è come l’essere di
Parmenide e di tutti i filosofi che l’hanno seguito sino ad
oggi, Martin Heidegger compreso: richiede condizioni di
equilibrio, stabilità, certezza, atemporalità (13). Ma noi
viviamo nel cambiamento, o comunque gli diamo peso, molti di noi
credono anche al progresso e, se non siamo creazionisti (14),
all’evoluzione.

L’osservazione della natura, sia per quanto riguarda la sua
storia sia per quanto avviene nell’attualità, indica chiaramente
che, non solo essa è in cambiamento continuo, ma è pure sempre
in condizioni di non-equilibrio. Il cambiamento infatti, per
avvenire, ha bisogno che esistano dei gradienti nei parametri
che caratterizzano i sistemi in evoluzione: in un sistema
statico, all’equilibrio e senza condizioni che possano
determinare differenze non si muove nulla, le scelte sono
impossibili, ed è per questo che l’asino di Buridano muore (15).

Oggi la scienza è sempre più in condizioni di dominare i
fenomeni non all’equilibrio, dalla termodinamica di Onsager (16)
a quella di Prigogine (17), alla teoria avanzata dei campi non
all’equilibrio (18). La “non-equilibrium field theory” riesce a
trattare un insieme di argomenti disparati come il trasporto
quantistico, le transizioni di fase non all’equilibrio, la
nucleazione e il trasporto di difetti topologici e di altre
strutture coerenti non lineari, come pure fenomeni dinamici
quali la bariogenesi elettrodebole e la velocità delle
transizioni topologiche, o ancora il riscaldamento post
inflazionario (post-inflationary reheating) subito dopo il
cosiddetto “big bang”, i condensati chirali o l’evoluzione del
plasma quark-gluone nelle collisioni di ioni pesanti.

Disequilibrio e cambiamento significano che non c’è nulla di
fisso; che – nonostante i processi omeostatici – la natura
vivente ha tutt’altro che “digerito” i processi stocastici
dell’evoluzione e che pertanto un OGM in più la lascia del tutto
indifferente, nel senso che esso si aggiunge alla miriade delle
variazioni genetiche naturali alle quali si deve, abbastanza
lentamente, adeguare; che, infine, non esiste nessun riferimento
che consenta di dire che esistono obiettivi di perfezione
perseguibili. In realtà di obiettivi e di progresso si può
parlare soltanto in relazione all’operare dell’uomo, ossia alla
sua intelligenza (19) e magari un domani a quella delle
macchine.

Non solo nulla è all’equilibrio, ma tutto è incerto: per primo
l’ha rigorosamente mostrato Henri Poincaré un secolo fa (20), ma
da allora si sono susseguiti un gran numero di studi che hanno
coinvolto tutte le scienze dure, naturali e umane (21). Nel
libro di Pera (21) tutti gli interventi sono interessanti, ma
qui sono utili da ricordare quelli di Vittorio Mathieu “Certezza
dei principi e incertezza dell’azione”, di Luciano Pellicani
“Ricerca della certezza e rifiuto della modernità”, e di Antimo
Negri “Il mondo rovesciato e il bisogno di certezza”, perché ciò
che più rende perplessa e addirittura spaventa la gente è la
mancanza di certezza, anche se va detto che esiste una quantità
di strumenti scientifici in grado di ridurre e in un certo
senso, di dominare l’incertezza, ma rimane il problema di fondo:
non c’è praticamente nulla di assolutamente sicuro.

Il solco tra pensiero comune e pensiero scientifico non solo si
allarga ma, soprattutto, i due stanno diventando incompatibili
(22). E’ interessante rendersi conto del comportamento
dell’opinione pubblica -ma, più in generale, di tutta la società
- nel caso di eventi che sono riluttanti a presentare una totale
certezza che tuttavia viene “pretesa”. Ci riferiremo, come
esempio, all’evento così attuale del “delitto di Cogne”, del
quale è stata accusata la madre Anna Maria Franzoni (23).

Dopo la scarcerazione della madre, perché le “prove” contro di
lei sono state considerate dal Tribunale del Riesame di Torino
insufficienti, c’è stato sconcerto tra la gente di Cogne che
dice “Ora vogliamo sapere chi è l’assassino”, mentre il sindaco
Osvaldo Ruffier afferma che “Qualcosa non va nella magistratura,
sono necessarie certezze”. Più in generale, media, gente,
giudici chiedono certezza o affermano che c’è già.

In realtà se si vanno a vedere, anche superficialmente, le
“prove” della colpevolezza dell’indagata c’è da rimanere
allibiti. Non so se il caso di Cogne sia un’eccezione o rientri
nella norma (propenderei per questa seconda ipotesi, anche se
non ne ho la documentazione non seguendo normnalmente le
cronache sui delitti), ma di fatto non esistono assolutamente
prove, perché quelle del Ris di Parma sono solo delle analisi,
magari ineccepibili (e su questo si potrebbe discutere) che non
consentono assolutamente di tradursi in prove – anche se si è
tentato di farlo - e che restano pertanto solo delle deduzioni
inconsistenti.

Prendiamo in considerazione solo alcuni aspetti di una delle
“prove” determinanti, quella del sangue sul pigiama. Con calcoli
complessi – qualcuno ha addirittura affermato che s’è fatto
ricorso alla meccanica quantistica, non si sa perché – si è
dedotto che il pigiama era indossato, e che lo era “sicuramente”
dalla madre. Ora, quando si lancia qualcosa, il suo percorso è
banale - una parabola come ha dimostrato Galileo - salvo le
correzioni dovute al fluido in cui l’oggetto si muove (in questo
caso l’aria, con la sua viscosità, temperatura, umidità). Per
calcolare la traiettoria di un oggetto si devono però conoscere
anche la direzione di lancio (con diciassette colpi, con un
oggetto che colpisce un’area e non un punto, queste sono un
numero incredibile), la velocità iniziale (vale lo stesso
ragionamento che per la direzione), se l’aria è immobile o si
muove (per esempio per effetto del movimento del braccio che
colpisce); e poi ancora il tipo di tessuto, se il pigiama è
perfettamente piano, oppure no, e se no come. L’insieme delle
incertezze è pertanto tale che, con opportuni (anche se
ragionevoli) valori delle variabili incognite si può
giustificare qualunque ipotesi. E questa sarebbe la prova più
convincente che, una banale verifica sperimentale, da parte del
perito della difesa, ha potuto smontare.

Le prove delle scienze dure quindi non ci sono, ma i tecnici del
Ris e i giudici non riescono a capirlo, non essendo gente di
scienza. Quelle delle “scienze umane”, poi, fanno atterrire. Da
vaghe conoscenze dell’indagata si è costruito un suo identikit
psicologico al quale si sono adattate le conclusioni di teorie
sul comportamento sociale; ne consegue che: l’accusata forse non
riesce neppure a sopportare un processo (e ha superato senza
battere ciglio il primo incontro con otto periti psicologi);
essa potrebbe uccidere anche l’altro figlio (e perciò deve
essere imprigionata). Ora, notoriamente, le analisi scientifiche
sul comportamento sociale e le leggi che se ne ricavano sono di
tipo statistico e, nel migliori dei casi, portano a delle
probabilità di accadimento di fenomeni; mai ci si dovrebbe
permettere di usarle per decidere cosa avviene in eventi
singoli, neppure nel caso di fenomeni fisici, e tanto meno nel
caso di singole persone. La conclusione è, ancora una volta, che
quei giudici (ma forse tutte le persone che si sono interessate
al caso) non hanno sufficienti cognizioni scientifiche per poter
usare i risultati della scienza.

Infine, ho letto il “Mandato di custodia cautelare in carcere
del Dott. Fabrizio Gandini nei confronti della Signora Annamaria
Franzoni”, Tribunale di Aosta – Giudice per le analisi
preliminari. Ordinanza 13 marzo 2002. Ho letto pure le
osservazioni del collegio di difesa sul mandato. Chi è uso al
metodo scientifico non può che rimanere stupito per come sono
fatte le scelte, senza prove, tra situazioni alternative; per
come si dànno per scontate o con motivazioni senza consistenza
le ricostruzioni degli avvenimenti; per la mancanza di nessi
logici nel costrutto dell’accusa.

Tutto questo è conseguenza del tentativo di ricerca, senza
scampo, della certezza, che tende a escludere tutto ciò che
conduce al dubbio e fa accettare, invece, ciò che porta
“certezza”.

Richard Feynman, premio Nobel per la fisica, ha detto: ”Non c’è
nulla di cui lo scienziato possa essere sicuro in partenza. Egli
può solo fare ipotesi, sarebbe poco scientifico non farlo. Le
affermazioni della scienza devono per forza essere incerte
perché sono solo deduzioni. Sono tentativi di predire cosa
succederà. Gli scienziati sono abituati a convivere con il
dubbio e l’incertezza. Il dubbio ci spinge a guardare in nuove
direzioni e cercare nuove idee. Il progresso della scienza non
si misura solo dalla quantità di nuovi esperimenti, ma anche,
molto più importante, dall’abbondanza di nuove ipotesi da
verificare. Questa libertà di dubitare è fondamentale. C’è
voluta una lotta di secoli per conquistarci il diritto al
dubbio, all’incertezza. Come scienziato sento la responsabilità
di proclamare il valore di questa libertà, e di insegnare che il
dubbio non deve essere temuto, ma accolto volentieri in quanto
possibilità di nuove potenzialità per gli esseri umani.”

Se allora vogliamo cercare la “perfezione” facciamolo in ciò che
è incerto, instabile, indeterminato. (*)


Brevemente: qualche altro esempio. Il presentare altri casi di
ricerca di perfezione e di inesistenza della stessa non è per
desiderio di completezza, ma solo per far meglio comprendere
come la ricerca della perfezione pervada ogni azione e pensiero
dell’uomo.

Kenneth Burke afferma che “Il principio di perfezione è il
movente centrale alla natura del linguaggio. Il mero desiderio
di nominare qualcosa col suo ‘proprio’ nome, o di parlare una
lingua nel suo modo distintivo è intrinsecamente
‘perfezionista’.” (24). Del resto, conoscere la parola, in
passato, ma per molti ancora oggi, equivale a possedere
l’oggetto o l’ente che essa designa, ed è per questo che il nome
di Dio non va pronunciato.

L’economia è tipicamente una scienza che dipende in modo
drammatico dal modo di sentire del momento di tutte le persone
del pianeta, che debbono vivere, acquistare, pensare al loro
futuro. Essa è una delle scienze più dogmatiche e definite,
salvo modificare paradigma di fronte all’evoluzione che
inevitabilmente rende obsolete le “verità” di ieri. Per questo
motivo si stanno sviluppando teorie evoluzionistiche
dell’economia, a partire dai primi approcci di Joseph
Schumpeter, per arrivare agli strumenti della cosiddetta “vita
artificiale” che studia come un sistema complesso e adattivo
evolve in relazxione a stimoli interni ed esterni (25).

V’è un gran numero di casi di perfezione legati alla parola,
alla definizione. Tipico è il caso, dibattuto in questo inizio
del 2002, del “latte fresco” (26). E’ fresco un latte –
leggermente pastorizzato - che ha al massimo quattro giorni,
oppure uno che conserva certe proprietà, che possono
caratterizzare la freschezza? Fresco – come grande o piccolo,
alto o basso – non significa nulla se non è riferito a qualcosa
e misurato, nonostante i dubbi che abbiamo visto sulla misura.
Il latte di un giorno può allora già essere vecchio, quello che
ha subito certi trattamenti può ancora essere fresco (ossia
avere certe caratteristiche) anche dopo quattro giorni, altri
trattamenti – consentiti dagli sviluppi di scienza e tecnologia
– conservano la “freschezza” anche dopo otto giorni e, magari un
domani, dopo un anno. Si possono capire i timori di chi non può
garantire la freschezza oltre i quattro giorni: faccia ricerca e
sviluppi nuovi modi validi per mantenere le doti di freschezza,
ma non si riferisca a un concetto arcaico di tempo che non vale
nulla, come aveva già dimostrato Orazio discutendo del valore
delle opere scritte. Il ministro, poi, non faccia dichiarazioni
che sanno di medioevo.

E che dire del pomodoro trangenico, messo sul mercato una decina
d’anni fa, che non marcisce perché gli è stato tolto il gene che
lo obbliga a diventare tale? La natura fa marcire certi frutti
per garantirne la riproduzione, ma l’uomo non solo può fare a
meno di questa proprietà, ma gli conviene che non ci sia, così
da poterli trasportare e vendere maturi e gustosi.

Circa il dieci percento degli uomini di sesso maschile è
omosessuale e circa il cinque percento di sesso femminile, in
Italia come in qualunque parte del mondo, con deviazioni che si
giustificano con la cultura (o l’incultura) locale e le leggi
relative. Allargando il discorso alla sessualità, non è facile
stabilire normalità e devianze, che sono ben differenti per le
esternazioni pubbliche, le leggi, le camere da letto. Un
discorso non dissimile vale per i mancini. Si tratta dunque di
fenomeni, equivalenti alla presenza dei cosiddetti difetti nei
solidi, che solo per motivi “ideologici” vengono classificati
come devianze rispetto a una situazione ideale.

Ogni tanto scoppia una stella: un fenomeno per fortuna piuttosto
raro, perché può avere conseguenze catastrofiche. Circa due
milioni d’anni fa – e già sulla terra vivevano uomini capaci di
lavorare la pietra – scoppiava una stella, tra Scorpione e
Centauro lontana circa 130 anni luce, che provocò un cataclisma
biologico sul nostro pianeta per la intensa pioggia di raggi
cosmici che avrebbero quasi annullato lo strato protettivo
d’ozono (27). Nel 1604 accadde un’altra esplosione, meno
catastrofica, della quale s’occupò anche Galileo. Anche questi
fenomeni rientrano nella normalità, ossia hanno una probabilità
d’accadimento e non sono una devianza di un sistema altrimenti
perfetto. Ma di catastrofi, più o meno drammatiche – dai
terremoti agli uragani, ai maremoti, ai semplici temporali
estivi – è piena la vita dell’uomo sul pianeta e, se non
accadessero, sarebbe davvero un fatto anomalo.

Infine, vi sono un numero incredibile di esempi di fenomeni,
oggetti, atteggiamenti che per qualcuno sono devianti e per
altri la perfezione. Un cibo trattato è adulterato o migliorato,
perché si conserva e magari nutre meglio? (28). I principi etici
di un’etnia non coincidono con quelli di un’altra e, talvolta,
sono opposti.


Per concludere. La perfezione, almeno nel nostro mondo
occidentale, è probabilmente un residuo della cultura, peraltro
assai forte, del medioevo ove, come mostra Tullio Gregory, tutto
è dicotomico: paradiso e inferno, destra e sinistra, alto e
basso, oriente e occidente, verticale e orizzontale (29) e la
perfezione sta inequivocabilmente da una parte.

Ma quel mondo non c’è più, anche se, senza più avere una guida
certa per farlo, la gente continua a ricercare la perfezione.
Oggi il Medioevo è inesorabilmente scomparso, tanto è vero che
uno scrittore limpido e cattolico, come Gilbert Keith
Chesterton, dice che “Gli uomini sono pronti a morire per
qualsiasi idea, purché non sia loro del tutto chiara”. Non ho
trovato nessuna “perfezione” nella mia ricerca, neppure su cosa
sia la tazza perfetta di caffè, che Charles Maurice de
Talleyrand-Perigord afferma dev’essere “nero come il diavolo,
caldo come l’inferno, puro come un angelo, dolce come l’amore”,
ma purtroppo a me piace amaro.
Giuseppe Lanzavecchia


Bibliografia e note

(1) “Dizionario De Agostini della lingua italiana” Istituto
Geografico De Agostini, Novara 2001

(2) J. Fieser “Ethics” The Internet Encyclopedia of Philosophy,
2001

www.utm.edu/research/iep/e/ethics.htm

(3) National Corvette Museum “Z06 Corvette Improves on
Perfection” www.corvettemuseum.com/specs/2002/z06.shtml

(4) S.Matteo “Vangelo, 6.27” La Sainte Bible, Traduite en
français sous la direction de l’École biblique de Jerusalem, Le
Club Français du Livre, Paris 1955 (la traduzione italiana è
mia)

(5) L. Kohlberg, E. Turiel “Moral development and moral
education” in G. Lesser ed. “Psychology and Educational
Practice” Scott Foresman, 1971

(6) J. Piaget “The psychology of the child” Basic Books, New
York 1972

(7) Per le proprietà della materia, i materiali, le molecole, i
potenziali chimici, i processi di nucleazione e trasformazione,
i difetti, discussi qui e nei paragrafi successivi si vedano i
due CD:

- R. Fieschi, O. Tommasi, M. Bianucci “Edumat”, INFN (Istituto
Nazionale per la Fisica della Materia) Interactive Labs, Gruppo
Editoriale Giunti, Genova

- R. Fieschi, O. Tommasi, M. Bianucci, Paola Mangiarotti “Edumat
2. From Stone to Microchip” INFN, Infmedia,
http://www.infmedia.it

(8) La letteratura sull’argomento è ricchissima; si possono
menzionare i due lavori:

- S. Freud “The social construct of normality. Families in
Society” The Journal of Contemporary Human Services 80 (4) 333 –
340

- H. Gjone, J. Stevenson “A longitudinal twin study of
temperament and behavior problems: Common genetic or
environmental influences?” J. of the American Academy of Child
and Adolescent Psychiatry 36 (10) 1488 - 57

(9) F. Jacob “Les surprises du “bricolage moléculaire“ Le Monde,
4 janvier 2000.

(10) Le prime chiare idee sulle mutazioni sembrano dovute a Hugo
De Vries, tra le cui opere sull’argomento spiccano
“Intrazellulare Palingenesis” del 1889, e “Die Mutationstheorie”
del 1900. John Burdon Haldane, sulla sua scia, ha studiato le
piccole mutazioni e i fenomeni biochimici connessi; tra le sue
opere relative più importanti ricordiamo “The Causes of
Evolution” del 1932, e “The Biochemistry of Genetics” del 1954.

(11) C. Darwin “On the Origin of Species by Means of Natural
Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle
for Life” John Murray, London 1859; il libro è noto col titolo
abbreviato “The Origin of Species”; per chi fosse interessato a
quest’opera, e ad altre di Darwin, esse sono reperibili
gratuitamente su Internet:
www.literature.org/authors/darwin-charles/

pubblicati con la sponsorizzazione di Knowledge Matters Ltd.

(12) D. Kwiatowski “Susceptibility to infection” British Medical
J. 2000, 321, pp 1061-5

(13) Si veda: E. Severino “La filosofia. Dai greci al nostro
tempo” R.C.S. Libri & Grandi Opere, Milano 1996

(14) Il creazionismo che, nel mondo occidentale, ha un peso
culturale soprattutto negli Stati Uniti, ma è diffuso un po’
ovunque, rifiuta l’evoluzione e ritiene veritiera la Bibbia. Per
averne un’idea chiara si veda: W.B. Drees “Creazionismo e
evoluzione” Concilium 1/2000, rivista internazionale di
teologia, www.queriniana.it

(15) Si veda Luciano Benassi “Fede e scienza: alle origini di un
rapporto” lezioni alla Scuola di Educazione Civica su “Storia
della Scienza” marzo-giugno 1996

(16) “The Collected Works of Lars Onsager” edited by P.C.
Hemmer, H. Holden, S.K. Ratkje, World Scientific Series in 20th
Century Physics, Vol. 17, World Sci. Publ. Co. 1996

(17) I. Prigogine “Non-Equilibrium Statistical Mechanics”
Interscience Publ., London 1966

(18) Per la teoria dei campi non all’equilibrio si consiglia, a
chi è interessato, di cercare su Internet l’argomento
desiderato: alcuni di questi sono argomenti sono indicati nel
presente testo.

(19) G. Lanzavecchia “Tecnica e progresso” Nuova Civiltà delle
Macchine XV, n 1-4, 1997, p 59-66

(20) H. Poincaré “Science et Méthode” Parigi 1908

(21) Si veda M. Pera, a cura di “Il mondo incerto” Sagittari
Laterza, Roma-Bari 1994; ma anche l’interessante saggio di F.
Norelli “La solidità delle incertezze: appunti sulla conoscenza
scientifica e i suoi problemi” Energia, Ambiente e Innovazione
3/2001, 66-85

(22) G. Lanzavecchia, M. Negrotti “In difesa della scienza.
Senso comune e razionalità scientifica” Libri Scheiwiller,
Milano 2002

(23) Il delitto è stato compiuto il 30 gennaio 2002 e, da
allora, tutti i giornali italiani ne trattano quasi
quotidianamente.

(24) Si veda: Jennifer Borwick “Burke; Def. Of Man” Rhetorical
Studies, Communication Studies 327, Dpt. Of Communication
Studies, College of Arts, Media, and Communication, California
State University, Northridge, April 6, 2001

(25) La letteratura al riguardo è ampissima. Si vedano, ad
esempio:

R. Nelson “Recent Evolutionary Theorizing About Economic Change”
J. of Economic Literature 33 (1995) 48-90

D. Friedman “Evolutionary Games in Economics” Econometrica 59
(1991) 637-666

N.J. Vriend “Self-Organization of Markets: An Example of a
Computational Approach” Computational Economics 8 (1995) 205-231

(26) Tra i tanti articoli apparsi sui giornali si veda quello di
Daniela Daniele “Il latte di otto giorni non è fresco” La Stampa
14.3.2002

(27) N. Benitez, J. Maíz-Appellániz, M. Canelles “Evidence for
nearby supernova explosions” Physical Review Letters, in press
(febbraio 2002) preprint

(28) “Adulteration of Food” in “New Advent” The Catholic
Encyclopedia, Volume 1, ? 1907 Robert Appleton Co.

(29) T. Gregory “Gli alti e bassi del Medioevo” Il Sole 24 Ore
31.3.2002


(*) Terminato di scrivere il presente lavoro, è uscito il testo
dell’ordinanza che ha scarcerato la madre, redatto dal
Presidente del Tribunale del Riesame di Torino, ordinanza che,
al di là delle previsioni, ha giudicato inconsistenti le prove
contro Anna Maria Franzoni. Le reazioni sono scontate. La gente
di Cogne è sconcertata: “Un tribunale che deve decidere se è
ingiusto un arresto fa bene a esprimere la sua convinzione. Ma
controbatte con un’accusa” (e perché mai dovrebbe?) e discute su
“quando questa storia finirà”. Il sindaco si lamenta: “Dopo
settanta giorni siamo al punto di prima, non abbiamo una
verità”. Gli estensori dell’accusa ribadiscono le loro tesi, e
il Ris pure, a dimostrazione di essere entrambi
costituzionalmente incapaci di capire cosa sia una prova
effettiva e, in particolare, cosa sia la scienza - fisica e
umana. Purtroppo questa sembra essere anche l’opinione di un uomo
preparato, come Pierluigi Battista (La Stampa, 10.4.2002), il
quale parla di “esibizione di una potenza scientifica tutta da
verificare” anche se prima aveva meglio precisato: “Si sono
fidati dei risultati tecnologicamente accertati.” (Ma era
accertata, ad esempio, soltanto la presenza di macchie di
sangue, non come e chi le ha provocate). E’ stata proprio
l’inconsistenza scientifica a stimolare la mia curiosità per i
fatti di Cogne, che altrimenti avrei letto solo attraverso
qualche titolo.


GdS 8 XI 2002 - www.gazzettadisondrio.it

Giuseppe Lazavecchia
Società