Proposta di Natale “Il Signor Smith va a Washington”



Poche sere fa, su Raiuno, è ricomparso “Il Signor Smith va a
Washington”. Realizzato nel 1939 è stato diretto da Frank Capra
ed interpretato da un giovanissimo James Stewart.


La storia è nota: un giovane capo boy-scout viene nominato
senatore per evitare che un imbarazzante personaggio si assicuri
il posto vacante. La convinzione che i suoi capi hanno di
poterlo manipolare facilmente si frantuma quando Jefferson Smith
propone un disegno di legge che mira alla creazione di un centro
di vacanza per ragazzi proprio là dove si sta per costruire una
diga per assicurare grandi profitti ad una banda di speculatori.
Uno dei senatori, in passato amico del padre di Smith, è
coinvolto nell’affare. Quando Smith cerca di portare alla luce
tutto l’imbroglio viene accusato di voler lucrare sull’affare
del centro per ragazzi e, con false prove, viene dichiarato
indegno della sua carica dalla commissione di inchiesta: Il
giovane non si arrende e alla fine di una lunga maratona
oratoria – quando tutto sembra perduto – arriva il colpo di
scena che rovescia la situazione.


Ho riassunto la storia per permettere a chi non ha visto il film
di capire meglio quello che sto per scrivere, un misto tra
paradosso, convinzioni personali e suggerimenti verso nuove
modalità di affrontare non solo la vita politica ma soprattutto
la vita.


Se, come dicono gli slogan dei gruppi no-global, un altro mondo
è possibile, sono del tutto convinto che non ci sia modo di
realizzarlo se non utilizzando strutture e istituzioni
esistenti, affermando attraverso di esse le proprie convinzioni.
Il cambiamento può avvenire come conseguenza e generare
successivamente un effetto valanga mentre gli slogan delle
manifestazioni di piazza portano solo ad uno scontro culturale
che sfocia spesso nella emarginazione.


Torniamo al film. Smith arriva al Senato ma la sua giovane età è
per lui un handicap soprattutto perché lui non ha la
consapevolezza dell’importanza del bagaglio di ideali che si è
portato dietro. Solo quando la sua onestà viene messa in
discussione si scatena il suo testosterone. E allora vince.


Vince perché è onesto ma vince anche perché è giovane e il fuoco
sacro che lo anima è completamente percepibile.


Ora cambiamo scenario, usciamo dal film ma rimaniamo vicini al
Senatore Smith: Gli anni passano, torna dalla guerra, si è
meritato degli encomi, è rimasto – come era – un uomo onesto.

Torna a casa come eroe. Viene ovviamente rieletto perché tutti
sanno che è un uomo capace ed onesto. Si occupa di un mucchio di
cose e le fa tutte bene. Nessuno pensa più a lui come uomo
onesto, tutti sanno che lo è, lui stesso non ha bisogno di
azioni eclatanti perché la gente si accorga della sua onestà,
lui sa di essere onesto.


In questa situazione idilliaca c’è però un neo. L’affievolirsi
della sua carica emotiva riduce la possibilità del veterano
Smith nel continuare ad essere modello di riferimento per le
fasce più giovani, più propense ad identificarsi in un
personaggio più battagliero. Persino l’onestà del senatore Smith
non viene più percepita, tutt’al più viene accettata come una
delle sue componenti: Che Smith sia onesto non è più un merito,
è alto, magro e onesto, senza merito alcuno nell’essere onesto
come nell’essere alto e magro.


Abbandoniamo anche il seguito del film e passiamo al paradosso
che altro non è se non un invito a cambiare paradigma.


Abbiamo bisogno di uomini che ci rappresentino, uomini ai quali
deleghiamo il compito di migliorare la nostra vita. Abbiamo
bisogno che siano portatori di ideali e che per essi siano
pronti a combattere. Dobbiamo sceglierli giovani perché, l’ho
già detto, sia il loro testosterone ad aiutarli. Dobbiamo
sceglierli giovani perché l’arte del compromesso si addice a
persone mature, perché non hanno ancora acquisito a pieno il
know-how della politica.

Ma non dobbiamo accontentarci di questo.

Dobbiamo fare sapere loro che il loro incarico non durerà a
lungo, che non sarà un lavoro, che non potranno fare carriera né
tramare per costruirsela. In poche parole, a quarant’anni tutti
a casa.


E dei veterani Jefferson Smith cosa ne facciamo? Ce li teniamo
cari e ce li teniamo tutti perché servano da modello di
riferimento per tutti i giovani che, superata la prima fase di
battaglie, vogliano trasmettere la loro esperienza ai più
giovani a cui hanno lasciato il posto.


Apparentemente non cambia nulla, più o meno le cose funzionano
così già ora, ma introducendo alcune regole… per esempio
attribuendo una quota significativa ai giovani…


NdA: conoscendo a fondo Jeff Smith sono certo che una tale
proposta lo farebbe arrabbiare e voterebbe contro!
Maurizio Frizziero


GdS 8 I 2003 - www.gazzettadisondrio.it

Maurizio Frizziero
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