RECENSIONE: Oltre la danza macabra. No al terrorismo, no alla guerra
 Ci sono delle donne nel nostro Paese che, se non vivessimo in un 
 clima di stupida distrazione, presi da stupidi modelli femminili 
 basati sulla pura seduzione del corpo, sarebbero carissime alle 
 nuove generazioni sempre in cerca di figure femminili in cui 
 identificarsi. Luisa Morgantini è una di queste donne: generosa, 
 determinata e coraggiosa, da anni persegue, incalza, diffonde le 
 ragioni della pace, contro tutte le guerre, contro tutte le 
 discriminazioni, contro tutte le prepotenze dei più forti nei 
 riguardi dei più deboli.
 Questi brevi scritti raccolti oggi in volume tracciano il 
 percorso di una cocciuta, intensa attività che tende a 
 intralciare il cammino insensato dei Signori delle guerre, a 
 qualsiasi paese appartengano. Da anni, fra le altre cose, Luisa 
 partecipa ai ricorrenti incontri tra israeliane e palestinesi, 
 le cosiddette ‘Donne in nero’, che affrontano insieme le forze 
 di polizia e dell’esercito con il solo corpo vestito di nero, 
 dimostrando che la convivenza fra popoli vicini e diversi è 
 possibile, nonostante le differenze religiose e politiche, 
 purchè si rispetti l’altro e non si compiano atti di arroganza e 
 di ingiustizia.
 Non bisogna pensare però che la scrittura di Luisa Morgantini 
 sia solo politica. L’aridità dimostrativa, l’astrazione polemica 
 non le appartengono. La sua immaginazione, sempre morbida, 
 sempre amorevole, si sofferma volentieri sui dettagli più 
 minuziosi e realistici, anche quando vuole dimostrare una tesi. 
 Prendiamo per esempio uno scritto che racconta degli olivi 
 palestinesi.
 Nei frettolosi articoli di giornali, tanto legati alle azioni 
 violente, si parla molto poco di quello che tiene unite e 
 solidali molte donne, sia che appartengano a paesi africani in 
 guerra fra di loro, sia che come le israeliane e le palestinesi, 
 vivano in zone di bombe umane e di mortai.
 Donne che pur sapendo quello che succede da una parte e 
 dall’altra delle frontiere, sfidano l’accusa di tradimento, per 
 trovare insieme una soluzione alla guerra.
 “Anche gli olivi soffrono”, scrive Luisa Morgantini, narrando 
 teneramente della raccolta che è stata fermata dalle proibizioni 
 insensate dell’esercito israeliano in Palestina, e le olive 
 cascano per terra e si raggrinziscono e muoiono prima di potere 
 essere raccolte e spremute. 
 “La mia amica Hagar Roublev, donna in nero israeliana, da sempre 
 impegnata contro l’occupazione, il giorno prima della sua morte, 
 a Paros in Grecia, mi diceva: ‘che bello essere in un paese e 
 guardare gli ulivi, senza pensare a una povera contadina 
 palestinese che vede i suoi alberi sradicati dai soldati o dai 
 coloni israeliani”. E questo detto da una israeliana che, pur 
 amando la sua religione e la sua terra, non credeva che la pace 
 potesse mettere radici senza giustizia e la giustizia consiste 
 nel riconoscere l’altro e lasciargli lo spazio per vivere e 
 lavorare.
 “Ogni volta che vedo un fucile alzato, rabbrividisco”, scrive 
 Luisa, “il linciaggio del soldato israeliano è stato atroce e 
 anche la distruzione della tomba di Giuseppe, non solo perché 
 luogo sacro ma perché parte della storia dell’architettura 
 palestinese. Di fronte a ciò però l’autorità palestinese ha 
 chiesto scusa, ha detto che punirà i colpevoli ed è già 
 ricominciata la ricostruzione della tomba. Non ho mai sentito 
 Barak o altri dirigenti chiedere scusa o assumersi qualche 
 responsabilità, neanche di fronte al massacro di Sabra e Chatila, 
 di cui Sharon è stato il mandante.” Insomma, quello che spesso 
 offende di più è l’arroganza di chi si crede superiore perché 
 dispone di armi sofisticate e denaro, mentre dall’altra parte 
 c’è la disperazione di chi si fa saltare in aria crudelmente 
 uccidendo con se stesso il più gran numero possibile di 
 innocenti. 
 Ma alle vendette e alle stragi reciproche non c’è rimedio se non 
 nel dialogo e nella pace. Ed è proprio per perseguire questa 
 pace che le donne in nero si scrivono, si incontrano, prendono 
 comuni iniziative per convincere i loro paesi a ragionare 
 secondo umanità, senza arroccarsi su posizioni prevenute e 
 intolleranti.
 Ma voglio soffermarmi su un altro articolo, chiamato ‘Pane e 
 anguria a Diyarbakir’. Anche qui la durezza degli eventi 
 ricordati viene continuamente mescolata al racconto degli 
 incontri con persone precise, alla descrizione delle piccole 
 gioie vissute insieme. Si tratta di un appuntamento con degli ex 
 detenuti curdi che nelle prigioni del Kurdistan-Turco hanno 
 subito la tortura e tanta umiliazione. Molti ci hanno lasciato 
 la pelle, alcuni si sono suicidati, altri non si sa come, hanno 
 resistito e pur uscendone tramortiti, si mostrano desiderosi di 
 vivere. Leggendo l’articolo pieno di notizie, di fatti brutali, 
 ma anche di una attenzione gentile e riguardosa verso i gesti 
 della vita di tutti i giorni, mi viene da pensare che potrebbe 
 essere proprio questo che distingue la scrittura di una donna: 
 quando narra non dimentica che le parole nascono da un corpo 
 preciso, con forme e colori riconoscibili, da occhi che hanno 
 visto, mani che hanno toccato, bocche che hanno conosciuto 
 sapori e gusti diversi. Luisa Morgantini scrive i suoi pezzi di 
 indignazione, di esortazione, di testimonianza, partendo dalla 
 vita ordinaria, dai gesti di tutti i giorni, che narrano storie 
 di persone conosciute durante i suoi continui pellegrinaggi di 
 pace, non trascurando di descrivere il pane che essi le offrono, 
 le magre olive che la esortano a mangiare seduti in cerchio, gli 
 stracci dagli odori di fumo che portano addosso, le scarpe 
 impolverate che li accompagnano nei lunghi percorsi sulle 
 montagne. La politica, quando diventa pura teoria, pura 
 ideologia, pura strategia, finisce per perdere di vista l’essere 
 umano. Si parla di bombe, di ordigni, di progetti letali, di 
 confini, di guerre, di diritti e di doveri scritti sulle carte, 
 e si dimentica che dietro a queste carte ci sono delle persone 
 vive che hanno affetti, gusti, desideri, sogni e paure. In 
 questi sogni e paure poi le persone sono molto più simili fra di 
 loro, amici e nemici che siano, di quanto vogliano fare credere. 
 Luisa non si appaga di osservare l’uomo chiuso nella sua 
 ideologia, ma lo vede com’è, nudo e impaurito dentro i vestiti 
 sudati, gelido nella sua obbedienza dietro una divisa militare, 
 vede la donna che cucina, che partorisce, che si china sul 
 focolare fumoso; si accorge quando due occhi che hanno visto la 
 tortura, tornano a scintillare di voglia di vivere, quando due 
 mani che hanno stretto un fucile, si chinano a raccogliere 
 un’anguria dolce che conserva nel suo ventre chiuso il sapore 
 del sole che l’ha covata per giorni e giorni. È quello che 
 succede al giovane Nizar un curdo che, a 19 anni, esce dal campo 
 turco di Ansar, nel deserto del Negev, dopo essere stato 
 torturato, tanto magro da apparire moribondo, ma “non aveva 
 perso lo splendore dello sguardo”, commenta Luisa e lo osserva 
 mentre si porta alla bocca con fare dignitoso una mezza anguria 
 scaldata dal sole.
 Per queste ragioni consiglio di leggere Oltre la danza macabra 
 di Luisa Morgantini, perché non è un pamphlet politico, non è 
 uno scritto dimostrativo, non è nemmeno un saggio informativo, 
 dotto e aggiornato, ma un libro scritto coi sensi, di una 
 persona che sa chinarsi sulle piccole miserie e le grandi 
 esaltazioni di un corpo umano, che per sua natura anela alla 
 pace anche quando è impegnato in una guerra.
***
 GdS 20 V 2004 - www.gazzettadisondrio.it
