Spiragli di pace in Palestina?

di Maria de Falco Marotta & Team

In Internet, su
giornali internazionali, come in tante reti che lavorano per la
pace, di ogni religione e razza, è stato annunciato il Primo
Congresso mondiale di più di 100 Imam (i capi spirituali
islamici) e Rabbini  (i maestri della Legge ebraica-
giudaica) contro la violenza. Si terrà dal 3 al 6 gennaio 2005
in Belgio, alla presenza di sua maestà, il re Alberto II e di
Mohammed VI, Capo della Fede, supportati da molte personalità
provenienti da varie parti del mondo per cercare insieme
soluzioni concrete per porre fine alla violenza e all’ignoranza
nel Medio oriente, come nel resto del mondo.

Per la prima volta, le due religioni (ebraismo- giudaismo ed
islamismo), usate spessissimo come un pretesto per la guerra,
lavoreranno insieme per realizzare  (forse) la pace.

Pur riconoscendo che il cammino è lungo e difficile (tanti e
troppi sono i tormenti che la natura umana deve superare, non
l’ultimo dell’immane disastro ecologico che ha distrutto gente-
tanta- dell’Asia- dove i ricconi del Nord andavano a riposarsi),
perché lunghe e difficili sono le controversie e i conflitti che
dividono i due popoli (palestinesi ed israeliani), non si può
che apprezzare questo sforzo congiunto che tutti sognano arrivi
a quella pace tanto agognata e annunciata dal profeta Isaia per
l’umanità che salirà insieme al monte Sion, dove tutti saranno
fratelli e sorelle nel Dio unico.

domande a Yakov M Rabkin

Forse, le risposte alle nostre domande a Yakov M Rabkin,
professore titolare del Dipartimento di Storia, Università di
Montreal, Quebec, Canada, che abbiamo “tampinato” per parecchio
tempo, potranno sollevare alcune nostre pene, in proposito. Ma
non tutte.

- Professore, si dicono tante cose sulle trasformazioni che
subirà la lotta per la Palestina, dopo la morte di Arafat. Lei
che è un esperto di storia, può tracciare qualche ipotesi
accettabile su come si evolverà la situazione? Cosa crede
succederà?

Resto scettico in quanto alla possibilità di creare uno Stato
palestinese.

I palestinesi hanno subito una disfatta militare e politica
grave e hanno bisogno di un aiuto umanitario considerevole.
Rialzare il loro livello economico è essenziale per ogni
soluzione politica (a parte quella di deportazione che trova
sempre più adepti tra i sionisti). Un coinvolgimento massiccio e
diretto degli Occidentali in questo programma di aiuto
umanitario permetterà anche di coscientizzare il pubblico
occidentale alla sofferenza dei palestinesi. Questa presa di
coscienza potrebbe creare una vera partnership coi palestinesi
che, appoggiati così, potrebbero cercare delle soluzioni
politiche.

- La lotta per il potere è terribile tra i successori di Arafat.
A chi dare più credito? Chi veramente aiuterà la Palestina a
raggiungere una pace duratura?

Come ho spiegato già, dubito che nessun governo palestinese
abbia la possibilità di fare fronte ad un Israele armato e
florido. La forma che questo governo può prendere non ha molta
importanza.

La gente occidentale è curiosa di conoscere come andrà a finire
la storia

dell'avida vedova Suha. Il tesoro di Arafat (confesso che provo


vergogna a pensare che aveva depredato così il popolo
palestinese. Infatti, dagli ultimi articoli su vari giornali, si
apprende che Arafat era azionista in America di un bowling,
frequentato da ebrei e da Bush. Inoltre dai documenti resi
pubblici sui suoi investimenti nel mondo risultano, tra gli
altri, pacchetti azionari a suo nome nella Orascom, una società
di telefoni cellulari egiziana e in una società di software
americana, la Simplexity. Cfr.: Il Gazzettino, 24 dicembre 2004,
p.7)) chi se lo spartirà? I suoi successori lo utilizzeranno per
migliorare la vita del popolo palestinese?

La corruzione è un problema. E’ per questo che propongo un
impegno solido degli Occidentali in Palestina per creare una
società civile.

- Lei sostiene l'Associazione internazionale "One Democratic
State" che mira ad unire sinceramente il popolo ebraico e
palestinese, pensa che questo avrà qualche chance in più nel
dopo Arafat? Oppure è solamente un ideale di pochi?

Praticamente, c’è un solo Stato che esiste tra il Giordano e il
Mediterraneo: un esercito, una valuta, un spazio economico. Ma i
palestinesi non hanno dei diritti politici e vivono sotto un
regime simile all'apartheid. Dar loro i diritti politici è senza
dubbio più facile che dividere le due popolazioni che abitano lo
stesso territorio. Beninteso, questa riorganizzazione
necessiterà di un coinvolgimento internazionale lungo ed
imparziale.

- Politicamente ed obiettivamente, ci indichi le possibili
tappe- non che lei sia un profeta, né un indovino- che subirà la
questione palestinese, affinché ci sia una speranza di pace non
solo per il Medio Oriente, ma per tutto il mondo.

È sicuramente possibile trovare un modus vivendi in Terra santa
se si mette da parte ogni idea esclusivista (sionistica,
islamica o tutto altro) decisi e concentrati sul benessere
individuale delle popolazioni sul posto. Il nazionalismo etnico
o religioso può attizzare solamente il conflitto. Credo
fermamente che la pace mondiale è possibile, soprattutto se gli
attori politici diventano più coscienti delle loro proprie
pulsioni.

- In Palestina, quanti si ricordano che questa terra ha dato i
natali a Gesù, il mite ed umile di cuore, che diceva: “Beati
coloro che praticano la giustizia..."?

Il giudaismo mette l'accento sulla giustizia. " E’ la giustizia,
la giustizia sola che devi ricercare se vuoi mantenerti in
possesso del Paese che l'eterno, il tuo Dio ti destina " (Deuteronomio
16, 20). Il sionismo, in grande parte una negazione del
giudaismo come lo si conosce da 2000 anni, promuove un tutto
altro sistema di valori, simili a vari nazionalismi europei del
secolo XIX e XX. Sembra che esso costituisca una nuova religione
che si oppone al giudaismo tradizionale, pure proclamando il
diritto di chiamarsi “giudaismo ". Esso già ha conosciuto le
separazioni pur essendo l'antenato di due grandi religioni, il
cristianesimo e l'islam.

- Perchè i tre fratelli coltelli (ebraismo- giudaismo-
cristianesimo-

islam) non si ricordano quasi mai di adorare lo stesso Dio e di
essere suoi figli per aprire le porte alla pace?

Le tre religioni obbligano i credenti a cercare la pace e la
giustizia. Ora, spesso ci si allontana dal monoteismo e ci si
mette ad adorare altri dei: la nazione, la terra la forza. E’ a
questo punto che le disgrazie si frantumano per riportare i
credenti sulla buona strada. Sono ottimista che l'amore di Dio
farà regnare la pace sulla terra.

- C'è qualche speranza, qualche segno di un cambiamento
effettivo per il

futuro dei martoriati popoli della Palestina?

Malgrado la violenza continua, dei contatti umani ed
interreligiosi proseguono tra ebrei, cristiani e musulmani. Nei
tre gruppi vi sono coloro che alzano la loro voce contro la
violenza. Anche i genitori delle vittime si riuniscono per
mettere fine alla violenza che non porta niente a nessuno. Lo
stato di Israele è diventato il paese più pericoloso per gli
ebrei : un'ironia divina, probabilmente.

CHI E'

Yakov M Rabkin è professore titolare al Dipartimento di storia
all'università di Montreal dove insegna dal 1973. I Suoi campi
di interesse includono la storia ebraica, la storia delle
scienze e la storia sovietica. le Sue pubblicazioni che
comprendono quattro libri e centinaia di articolied altri temi
sui rapporti tra le religioni e le scienze. il Suo ultimo libro
intitolato: Au nom de la Torah: une histoire de l’opposition
juive au sionisme, (Presses de l’Université Laval, 2004) offre
un'analisi della critica religiosa che fanno parecchi pensatori
in seno al giudaismo dello Stato d’Israele e della ideologia
sionistica.

A parte il suo lavoro scientifico, è sollecitato spesso a
commentare gli avvenimenti contemporanei nei media, sia stampati
che elettronici. i Suoi commenti sono apparsi in: La Presse et
The Gazette (Montréal), The Globe and Mail (Toronto),
Süddeutsche Zeitung (Munich), El Milenio (Mexico) et The
Jerusalem Post come pure alla Radio Canada, la Voix de l’Amérique,
Kol Israël et la Radio Suisse Romande.


E, tanto, per non dimenticare:

1) Il termine Palestina fu introdotto dai greci durante
la loro dominazione dell'area (332 a.C.-63 a.C.) e indicava la
"Terra dei Filistei", anche se questi stavano perdendo la loro
identità di popolo proprio nel periodo ellenistico, dopo essersi
assimilati prima agli Ebrei, poi agli assiro- babilonesi e ai
Persiani.

I primi abitatori della Palestina furono i Cananei (dal 3000
circa a.C. fino al 1850 circa a.C.), infatti il territorio si
chiamava "Terra di Canaan".

Verso il 1850 a.C. arrivarono gli Ebrei, un gruppo di sumeri
emigrati dalla zona di Ur un secolo e mezzo prima (all'inizio di
fermarono in Siria). A causa di una grande carestia, gli Ebrei
si spostarono in Egitto, da dove fecero in seguito ritorno con a
capo Mosè e poi suo fratello Giosuè che li portò nella Terra
promessa. Dopo un certo periodo di sistemazione e lotte contro
gli Amorrei che avevano nel frattempo occupato la terra di
Canaan, iniziò la monarchia ebraica dall'anno 1000.

Sulla costa intanto si erano stanziati i Filistei, provenienti
dall'Anatolia, ma furono sottomessi dal re Davide dopo dure
lotte. Nel 922 a.C. il regno ebraico si divise in due parti:
regno di Israele a nord e regno di Giuda a sud.

Dal 722 a.C. nella parte nord e dal 587 a. C. nella parte sud,
gli Ebrei furono domati dagli Assiri e Babilonesi e deportati,
fino a che i Persiani occuparono la Mesopotamia e la Palestina
(538 a.C.) rimpatriandoli poi.

Al dominio persiano seguì quello greco (332 a.C.) e, dal 63 a.C.,
quello romano.

I Romani nel 135 circa d.C. cacciarono gli Ebrei dalla Palestina
perchè ritenuti troppo ribelli ad essi, originando la Diaspora.


Nel 638 d.C. gli arabi strapparono la Palestina ai
Bizantini(impero romano d'oriente),mentre dall'anno 1000 al 1500
circa d.C. vi furono alterni domini di Egiziani Fatimidi, Turchi
Selgiuchidi, truppe di Saladino, Crociati, Egiziani Mamelucchi,
per passare poi ai Turchi Ottomani fino al 1918.

Con la sconfitta degli Ottomani nella prima guerra mondiale, la
Palestina passò al controllo britannico fino al 1948, anno della
dichiarazione dello stato di Israele dopo il voto ONU del 1947.


Il movimento sionista, nato nel 1897, fu favorito e approvato
sia dagli Ottomani che successivamente dagli Inglesi, e la
maggior parte dei territori acquisiti dagli Ebrei furono
regolarmente comprati dai latifondisti arabi.

La decisione ONU del 29 novembre 1947 che divideva la Palestina
fra Arabi ed Ebrei, e lasciava Gerusalemme territorio
internazionale, fu boicottata dai Paesi arabi, che nel 1948-49
tentarono di distruggere Israele, con l'obiettivo di occupare
loro la Palestina e non certo di far nascere un ulteriore Stato
arabo palestinese.

Israele, durante la guerra del 1967, occupò la striscia di Gaza,
che prima era dominata dall'Egitto, non indipendente, e la
Cisgiordania, che era occupata dalla Giordania e ugualmente non
era indipendente.

E’ tale e tanta la confusione su questo lembo di terra così caro
e così tormentato che le colpe sono di tutti. Fino a che non si
addiverrà ad una loro soluzione pacifica, nel mondo non vi sarà
mai pace.
2) LA ROAD MAP

E' il piano di pace elaborato nel 2002 dagli USA, UE, Russia e
ONU e accettato dall'Autorità Nazionale Palestinese e, dopo
molte resistenze e con mille distinguo, dal governo israeliano,
imperniata sui risultati e mossa dagli obiettivi, essa comporta:
tappe chiare, un calendario, date limite e criteri destinati ad
incoraggiare i progressi attraverso misure reciproche delle due
parti nei campi politico, della sicurezza, economico, umanitario
e della creazione di istituzioni, sotto gli auspici del
Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, ONU e Russia). La
destinazione è il regolamento definitivo e generale del
conflitto israelo- palestinese da oggi al 2005. Il regolamento
del conflitto israelo- palestinese sulla base di una soluzione a
due Stati non è realizzabile se non si mette fine alla violenza
e al terrorismo, quando il popolo palestinese avrà dei dirigenti
che agiranno in maniera decisa contro il terrorismo e che
saranno desiderosi e capaci di instaurare un regime democratico
fondato sulla tolleranza e la libertà, e a condizione che
Israele sia disposto a fare il necessario perché uno Stato
palestinese sia stabilito, e che le due parti accettino
chiaramente l'obiettivo di un regolamento negoziato come quello
qui descritto. Il Quartetto aiuterà e faciliterà la messa in
opera di questo piano, cominciando dalla fase I, che prevede
negoziati diretti fra le parti. Il piano comprende un calendario
realistico di esecuzione. Tuttavia, poiché si tratta di un piano
che esige dei risultati, i progressi dipenderanno dagli sforzi
fatti in buona fede dalle parti e dall'esecuzione di ognuno
degli obblighi qui indicati. Se le parti adempiranno rapidamente
ai loro obblighi, è possibile che i progressi nel quadro di
ciascuna fase e da una fase all'altra si producano più
velocemente del previsto. La non esecuzione degli obblighi
ostacolerà i progressi.

Un regolamento, negoziato fra le parti, condurrà alla creazione
di uno Stato palestinese indipendente, democratico e vitale
accanto ad Israele e agli altri Paesi limitrofi in pace e
sicurezza. Regolerà il conflitto israelo- palestinese e metterà
fine all'occupazione iniziata nel 1967, tenendo conto dei
fondamenti della Conferenza di Madrid, del principio dello
scambio di territori in cambio di pace, delle risoluzioni 242,
338 e 1397 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, degli accordi
conclusi precedentemente fra le parti e della proposta del
principe ereditario saudita Abdallah, approvata dalla Lega Araba
nel vertice di Beirut, che prevede l'accettazione di Israele
come paese vicino vivente in pace e sicurezza, nel contesto di
un regolamento generale. Questa proposta è un elemento
essenziale degli sforzi internazionali destinati a incoraggiare
una pace generale in tutte le strade, compresa la strada
israelo- siriana e la strada israelo- libanese.

Israele, poi, si ritira dai territori palestinesi che occupa dal
28 settembre 2000 e i due campi tornano allo statu quo esistente
allora, a seconda del ristabilimento della sicurezza e della
cooperazione. Israele sospende tutte le sue attività in quanto
alla creazione di colonie di popolamento, conformemente al
rapporto Mitchell.

Seguono poi, le indicazioni per vivere ed esistere in pace e
sicurezza per ambedue i popoli e con tante regole finora non
rispettate, da mettersi le mani nei capelli.

Però, pare, che bisogna marciare assolutamente nel senso
indicato dalla Road Map (speriamo!).

Infatti, tutti sono per la pace. Persino Sharon, anche se
rifiuta di far sloggiare i coloni, e sa che esistono israeliani
più estremisti di lui. Nessuno fa l’elogio della guerra, della
distruzione e del disprezzo per l’altro. Ma di quale pace si
tratta? Uomini speciali come Yitzhak Rabin, avevano compreso che
per far vivere Israele è necessario accettare di lasciar vivere
anche i palestinesi. Rabin ha voluto la pace, e proprio per
questo è stato assassinato da un estremista ebreo. Nel mondo
arabo, è venuto il momento di fermare la lancinante retorica
usata dai politici a proposito della Palestina. Questo futuro
Stato ha bisogno di fondi, di aiuti materiali, non di discorsi,
slogan e promesse. Se il mondo arabo, diviso e martoriato, non è
riuscito a salvare la Palestina, che aiuti per lo meno il primo
ministro a fare opera di persuasione presso gli estremisti,
perché rinuncino a silurare i negoziati, organizzando attentati
suicidi.

Sharon si è detto "pronto a spartire questo lembo di terra" e ha
accettato il principio di uno Stato palestinese nel 2005. Forse
si è ancora in un vicolo cieco; ma bisogna tentare, fare di
tutto per abbassare il livello dell’odio e del sospetto e
scommettere sulla pace: anche se sarà una pace imperfetta,
incompleta. E’ un inizio e una scommessa senza troppe illusioni.

E chi ce l’ha, oggi, dopo quello che è successo sotto i nostri
occhi nel disastroso maremoto orientale: Dio, dove sei???

P. S. - Da inviare a: Jakov Rabkin

Maria de Falco Marotta & Team



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