“Le tazze di Tullio” Recensione di Nello Colomboi

Recensione di Nello Colomboi



Un’inquieta “peregrinatio” dell’anima, quella di Maurizia
Mangiafico, una fuga crudele verso la radice ultima
dell’esistenza, là dove il cane si morde eternamente la coda.

Basta poco per ritrovarsi contagiati da una dolenza impalpabile
di cui non si può non farsi carico.

E senza mai indulgere a falsi pietismi o scadere nel patetico.


La narrazione scivola via, come una vecchia pellicola sbiadita
in rewind su una bobina sconnessa, senza concedersi un solo
istante di stanca, nemmeno per le riflessioni che fluiscono come
un’emorragica fiumana di parole, di laceranti vibrazioni di una
cupa melanconia appiccicata addosso come la nebbia umidiccia
della “bassa padana” in quei giorni uggiosi in cui è facile
svenare il desiderio di farla finita anzitempo.

Abilissima la Mangiafico, che con questo secondo romanzo approda
al Premio Campiello, nel tessere la fitta trama dei pensieri che
sembrano sedimentarsi nella mente inseguendosi a rivoli
tumultuosi nella frenesia di sfuggire ad ogni spietata
razionalità, scorrono lievi, come rena fine tra le dita, come il
vento tra i fessi delle imposte ferite dal tempo.

E premono, si rincorrono silenziosi, soppesando l’indugio lungo
l’esile strozzatura della clessidra capovolta che seconda la
vita che se ne va. Quella di Tullio, il fratello dimenticato,
sepolto nel profondo solco di un amarevole rancore.
Inesorabilmente. Come una condanna senza appello.

Ma più forte è il richiamo del sangue. Più di qualsiasi
malevolenza, più di qualunque costrizione mentale. E allora
Massimo si riscopre l’altra faccia di una “chanterly”
sbrecciata, sfuggita alle dita tremanti, senza piangersi
addosso, pur sapendo che per Tullio mai ci saranno nuove
primavere a ridargli vigore.

Due fratelli ritrovati per perdersi per sempre, due anime
imperfette, perfettibili nella loro complementarietà, e una
donna sullo sfondo, salvifica, serena, olimpica, nello sfacelo
della carne che si consuma nel tedio dei giorni che se ne vanno
intollerabilmente, pur nella semplicità quotidiana familiare di
amici fidati in un sereno casolare di periferia.

“Le tazze di Tullio” diventano così le fragili illusioni che
aiutano a vivere, a credere che oltre il velo della notte si
celi ancora un’alba nascente in cui annegare di luce,
sopraffatti dalla nera signora di un gioco più grande di noi a
cui nascendo siamo già indissolubilmente promessi prima della
“iverna quiete”.
Nello Colombo


GdS 18 I 2003 - www.gazzettadisondrio.it

Maurizia Mangiafico
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