The return, un Leone d'Oro tra polemica e politica

Le polemiche - La storia - Il regista e le sue risposte - Curiosità

Aprendo "Screen international",
un giornale inglese che si occupa di cinema e sembra un
lenzuolo, distribuito nei giorni bollenti della Rassegna, le
prime due pagine riportano la pubblicità del film russo
cui la Giuria di Venezia 60, guidata da Mario Monicelli, ha
assegnato il Leone d’oro per il miglior film in concorso,
suscitando un mare di polemiche che non si placheranno
facilmente, tant’è che l’amministratore delegato di
Raicinema, Giancarlo Leone, ha dichiarato che la Rai non
invierà più alcun film al suddetto concorso perché “A
Venezia non vi sono le garanzie sui criteri della selezione
né su quelli della formazione delle giurie” (Cfr. La Stampa,8
settembre 2003, pag. 28). Infatti, tutti davano vincente il
film di Marco Bellocchio, "Buongiorno notte", accolto molto
favorevolmente non solo alla Mostra, ma anche in molte sale
del nostro Paese.

Chiacchiere, illazioni, pensieri rancorosi si sono sprecati
per almeno due ragioni che non possono essere dimostrate, ma
che appaiono opinabili: la Russia ha bisogno di sostegno
per la tragica situazione in cui è, specie economicamente, tant’è che Putin ad agosto è andato in Sardegna da
Berlusconi, che gli ha promesso aiuti di ogni genere (anche
culturale e il cinema rientra in quest’ambito).

Mario Monicelli, celebre regista di un cinema italiano amatissimo,
essendo il Presidente della giuria, avrebbe potuto usare la
sua autorevolezza per spingere la “bilancia” ad inclinarsi
verso il film di Bellocchio che era stato applaudito
concordemente (cosa che non è successo con il russo) da
tutti, pubblico e critici (e i giurati si siedono in platea
tra il pubblico). E Accorsi, che l’anno scorso ricevette la
Coppa Volpi per la sua interpretazione nel film "Un viaggio
chiamato amore", è rimasto muto durante le discussioni
piuttosto lunghe che hanno preceduto il verdetto?

Ma The Return vale la spesa di un biglietto per vederlo?

Forse che si , forse che no.


LA STORIA


Un uomo e due ragazzini, in giro per sperdute località, uno
dei caratteristici film che piacciono a de Hadeln, Il
Ritorno di Andrey Zvyagintsev, 39 anni, che viene dalla tv e
fa thriller psicologici, accentua le immagini di paesaggi
pittoreschi, adatte al grande schermo.

Due teenager
ritrovano il padre che li ha abbandonati 12 anni prima. I
ragazzi, adolescenti che si sottopongono a varie prove di
coraggio (il lancio nelle acque gelide da un altissimo
trampolino), del comando virile, invece di fuggire come
dovrebbero, danno una chance all'uomo. Lui, misterioso, non
proprio povero, duro, se li porta in macchina, prima in
città, dove li sottopone alle prime prove di autonomia e
violenza. Poi in camping in un'isola sperduta. Più lui
sgrida e minaccia più i ragazzi si coscientizzano. Ivan, il
più piccolo, quello che sembra più codardo, è invece il più
deciso. Ha capito. Ora che ha il papà tutto per sé intuisce
che solo con il parricidio diventerà davvero adulto. Ruba il
coltello. «Se mi mette le mani addosso lo ammazzo» dice
all'altro più grande ma più remissivo. Papà gli mette le
mani addosso, dopo una marachella. Il padre morirà...

Non
manca la metafora politica.

La nuova Russia ha un padre di
cui ancora è bene non fidarsi. O non sa bene come
riconoscerlo, anche se ci fosse. Ed è comunque da eliminare,
perché non è O.K. Vi è poi la metafora figurativa,
artistica. Il papà appare la prima volta in stanza,
dormiente, come il Cristo di Mantegna. I ragazzi rimangono
sbigottiti. Un individuo, in carne e ossa, con una
psicologia complessa, non un'icona di frontale e sfrontata
astrattezza, come da sempre lo immaginavano. Per rendersi
conto che sia proprio lui, lo confrontano con l'unica foto
rimasta. Questo padre di cui hanno sempre sentito acutamente
la mancanza, potrebbe essere qualsiasi individuo: un
terrorista, un fuggitivo, uno dei tanti delinquenti che oggi
popolano la Russia… Il mistero più profondo lo avvolge e il
suo enigma non verrà mai risolto, mentre la pressione
psicologica, fino all’ultima scena, è gravida di minacce ed
interrogativi voluti dal destino e che finiranno nelle
gelide acque del mare del Nord.

Il film, girato vicino a San
Pietroburgo, tra il lago Ladoga e il Golfo di Finlandia è
stato funestato dalla tremenda disgrazia della morte di
Vladimir Garin, (il fratello più grande) uno dei due giovani
attori della storia , deceduto per un incidente dopo la fine
delle riprese: è annegato proprio nello stesso lago che si
vede nel film e nelle cui acque, nella finzione, viene
invece «sepolto» il padre.

Vladimir, che nel film impersona Andrey, il più grande dei
due fratelli, era nato nell’87 a San Pietroburgo e si era
diplomato alla Scuola nazionale di musica, in pianoforte e
tromba; aveva cominciato a lavorare al Teatro musicale di
Stato nello spettacolo Behind the Mirror. Ivan Dobronravov,
il piccolo dalla lingua puntuta, 14 anni, alla proiezione ha
pianto di commozione nel ricordare il suo amico.


IL REGISTA E LE SUE RISPOSTE

Andrey Zvyagintsev, classe 1964, faccia pulita da
seminarista, occhi verdi ingabbiati dagli occhiali da
intellettuale, laureato in recitazione alla scuola statale
di Mosca, è una specie di miniera enciclopedica sul cinema:
conosce tutti e, dice, nel suo film si è ispirato ad
Antonioni.
-
Come ha scelto i due ragazzini?


I due ragazzi, scelti uno a Mosca e uno a San Pietroburgo
dopo cinque mesi di infiniti provini, ho lavorato con
sorprendente felicità. C'è stata sintonia, un rapporto
magico di qualità umane e comprensione creativa. Al primo
giorno di ciak abbiamo rispettato la tradizione russa e
rotto un piatto per buon auspicio. Loro due non temevano il
cinema, vedevano i risvolti della finzione e cercavano di
fare del loro meglio. Riuscendoci, perché il loro apporto è
basilare nella storia, che sembra mettere a confronto due
generazioni.
-
Il suo film, narra del conflitto generazionale tra padre e
figli, è questo sempre un tema ricorrente anche oggi?


Nel viaggio iniziatico verso l'età adulta i due ragazzi
perdono il padre, che entra nella loro vita, la sconvolge e
poi ne esce: è uno dei passi per crescere. Tenevo a questo
progetto, l'ho disegnato scena per scena

-
Si può pensare che sia la vecchia e la nuova Russia?

Può essere una lettura interessante, però non si deve
parlare di significati sacrali ed importanti, perché appena
se ne discute la magia e la sacralità evaporano.
Sin dal principio della lavorazione, ho deciso di astenermi
da qualsiasi interpretazione lasciando al pubblico la
capacità di giudicare da solo.
-
Ama, in modo particolare, un autore?


Certamente, il mio cult è Dostoevskij perché fa filosofia
attraverso storie concrete, non simboli astrusi.


CURIOSITA'


Nella storia della Mostra questo è il terzo film russo ad
avere vinto il Leone d'oro: nel 1962 il premio era andato ad
Andrej Tarkovskij per "L'infanzia di Ivan" (ex aequo con
"Cronaca familiare" di Valerio Zurlini), mentre nel 1991 era
stata la volta di "Urga" di Nikita Michalkov.
Team De Falco - Marotta

GdS 8 IX 03  www.gazzettadisondrio.it

Team De Falco - Marotta
Società