I RACCONTI DI CRISTINA: Caterina, dall’estero, ha votato

Caterina è demoralizzata. Ha appena ricevuto un messaggio del nipote, ricordate, quello del cane errante nella notte. Allegato c’è un comunicato stampa in cui si dice che il signor X è stato nominato direttore in un ministero a Roma. Il Signor X è quell’ex- sindaco di una cittadina lombarda che aveva avuto problemi con la legge Bossi-Fini (ma non per la badante di sua nonna).

Sono notizie che mettono sempre in crisi il rapporto con il suo paese natio. Le fanno sempre molto male.

Nonostante sia “emigrata” da tanti anni infatti Caterina non ha mai pensato di acquisire la nazionalità svizzera. Il cordone che la lega al suo Bel Paese, che non è solo un formaggio (ma anche il famoso libro di Antonio Stoppani) è duro da tagliare.

Non è come tanti che qui chiamano “Borsoni Italiani” che anche prima del giorno in cui gli è permesso farlo presentano domanda di naturalizzazione, naturalmente tramite un famoso avvocato. Ne ha conosciuti molti ormai, o meglio ha insegnato ai loro figli. Nomi famosi di medicine, di stoffe, di macchine da cucire, di esponenti del mondo dello spettacolo, della finanza, della politica. Un anno addirittura i cognomi erano tali che le sembrava di avere in una classe esponenti di spicco dell’assemblea costituente, la prima, quella vera di subito dopo la guerra. Forse i pronipoti.

No, Caterina prova più simpatia per quei lavoratori che gioie e dolori dell’emigrazione li hanno vissuti sulla loro pelle, quelli che hanno nostalgia per il loro Bel Paese e nonostante tutto continuano ad idealizzarlo, quelli che quando sentono parlare bene la lingua di Dante si esaltano, quelli che sono riusciti a far studiare i figli e a trasmettere anche ad essi l’affetto per il loro paese. Quelli che non si fanno notare in giro per le loro chiassate ma si confondono discretamente fra la gente del posto. Quelli che si sono impegnati per aiutare i compatrioti più sfortunati. Quelli che sono fieri della loro origine, nord o sud che sia.

Sono gli emigrati di cui adesso molti elvetici hanno nostalgia, perché le successive ondate di immigrazione hanno creato problemi di integrazione ben maggiori. L’amica Heidi si lamenta con Caterina di come ormai i camerieri non siano più quei bravi italiani di una volta, così gentili.

Ne ha visti tanti di questi italiani un paio di domeniche fa a un incontro in preparazione delle elezioni. In alcuni oratori ha riconosciuto l’accento della sua valle, inconfondibile. Tutti, pubblico ed oratori, erano ugualmente emozionati, ugualmente entusiasti per questa possibilità di votare da qui, senza doversi sobbarcare il viaggio per alcuni molto lungo.

Si è preparata al voto Caterina con una certa emozione. Veramente votare è sempre emozionante, lo è sempre stato, ma quest’anno in modo particolare. Stiamo finalmente diventando un paese moderno, ha pensato, come l’America, i cui cittadini da sempre possono votare dall’estero, o anche solo come la Svizzera. Qui infatti si può votare come si vuole, per corrispondenza o in municipio. Ed è bene che sia così, perché qui si vota davvero ogni due per tre. I figli - svizzeri - ricevono regolarmente a casa il materiale per le votazioni. Se lo perdono o se sbagliano chiedere tranquillamente un’altra scheda.

Finalmente le buste, indirizzate ad ogni membro della famiglia, sono arrivate. Che emozione.

I dati sono giusti, le istruzioni chiare. Le due schede però sono molto simili, quella per il senato azzurro un po’ più scuro, quella per la camera un po’ più chiara. O viceversa.

Probabilmente a causa di una svista dei legislatori qui si possono ancora dare le preferenze. Così Caterina scrive anche un nome su una scheda azzurra. Bene, ha votato. Adesso può spedire la busta, dopo un ultimo controllo. Oh no, non è possibile! Con grandissimo sgomento si accorge di aver sbagliato. Proprio così. Colpa dell’agitazione, forse, ma ha scritto la preferenza sulla scheda della camera anziché su quella del senato. Panico. No, la mia scheda non può essere nulla. Deve esserci il modo per sostituirla. Chiama subito il consolato. Risponde la solita voce artificiale, se ha bisogno di informazioni sulle pratiche elettorali prema uno, se ha bisogno di un visto prema due. Preme uno e si sente dire, la stiamo collegando. Ma non succede niente. Riprova tante volte. Sempre senza fortuna. La mattina dopo Caterina e il marito ritentano. Finalmente il marito riesce a parlare con un impiegato. Non c’è niente da fare, vi abbiamo dato tutto il tempo di votare comodamente da casa vostra…. - si sente rispondere.

Qui c’è un problema di analisi logica. Soggetto, complemento oggetto, complemento di termine. Chi ha dato cosa a chi?

E’ venerdì, pensa Caterina, è il mio giorno libero. Andrò di persona al consolato.

E così fa.

Bisogna dire che il consolato si è modernizzato. Lo stabile, in elegante stile fascista, tutto ripulito all’interno, è diventato quasi bello. E poi sono diventati elettronici. Si prende un numero, come al supermercato, e si aspetta seduti in una saletta a guardare due schermi, uno è una televisione, il programma in onda è Rai Uno, l’altro indica i numeri chiamati. L’attesa si fa estenuante. Caterina decide di non rinunciare all’appuntamento che aveva col fisioterapista. Torna che è quasi mezzogiorno. Finalmente chiamano il suo numero, vuol dire due ore e mezza di attesa.

Un carabiniere in pensione, molto gentile, la scorta fino all’ufficio giusto. Da quando impiegano carabinieri in pensione per questo lavoro? Per quegli strani giochi di associazioni mentali vengono in mente a Caterina i “Beefeaters”, le guardie della torre di Londra con la loro pittoresca divisa rossa o blu, spesso militari in pensione, che tengono alte le tradizioni della corona inglese in uno dei simboli più prestigiosi d’Inghilterra. Anche il nostro carabiniere, con la sua divisa blu bordata di rosso, cerca di tenere alto l’onor patrio.

Caterina è pronta a lottare per difendere il suo sacrosanto diritto di voto. Spiega gentilmente il suo caso all’impiegata, che le dice subito, non c’è niente da fare, la scheda è nulla. Caterina non demorde, sta per estrarre la scheda ma l’impiegata la ferma, terrorizzata. Per carità non mi faccia vedere niente. Non si preoccupi, dice Caterina, finché la scheda non è nell’urna è solo un pezzo di carta. Arriva il capoufficio che comincia a fare il predicozzo dicendo che quelle schede sono contate e sono tenute sottochiave. Caterina continua a non demordere. Io da giovane soffrivo spesso di sangue da naso, capitava improvvisamente, se mi fosse successo mentre stavo votando in un seggio normale mi avrebbero cambiato la scheda, dice. E continua, mia mamma una volta aveva sbagliato, se n’ era accorta subito e le avevano sostituito la scheda. Il “dottore” a questo punto capisce che deve trovare una scappatoia, la signora che ha davanti è un osso duro. Si allontana dicendo, attenda prego, e la signora aspetta dieci minuti. Alla fine torna l’impiegata, gentilissima, che la tranquillizza. Signora, dice, il dottore ha chiamato Roma, la Farnesina. Visto l’alto numero di casi come il suo, fatto imprevisto, ci manderanno una risposta via e-mail, non prima di domenica sera. Torni la prossima settimana.

Sarebbe troppo, pensa Caterina, chiedere se anche lei potesse avere una risposta elettronica. Si limita invece a dire, timidamente, ma oggi era il mio giorno libero e ad aggiungere soddisfatta: è così che nasce il diritto. L’impiegata la guarda con aria interrogativa e si mette a fare altro.

Questo succedeva venerdì scorso. Ieri, mercoledì, Caterina trova il tempo per tornare al consolato. Stessa trafila, ma ormai è di casa. Fraternizza con un’altra signora, cui è capitata la stessa cosa. Lei però dalla scheda risultava di sesso maschile.

Le due signore sono in attesa in un corridoio. A quanto pare gli impiegati sono tutti a rapporto dal console. Che orario strano per una riunione dal console, con la sala d’attesa così piena. Passa un impiegato, si interessa al loro caso, e suggerisce di dire che non hanno mai ricevuto la scheda e di chiederne un duplicato. Le signore lo guardano perplesse. Hanno sempre insegnato ai loro figli a non dire bugie.

Passa un’altra signora, sicura di sé, probabilmente una funzionaria, che si interessa al loro caso e promette di tornare con una risposta.

Eccola che torna con la risposta: se la scheda ricevuta fosse stata difettosa si sarebbe potuta cambiare, se avete sbagliato voi non si può far niente.

C’è qualcosa che non va, perché si è previsto solo che potesse sbagliare una delle due parti in causa? Caterina questa volta non ha la battuta pronta, che avrebbe potuto essere: è così che non nasce il diritto.

Sa comunque che la sua scheda non è nulla, vale infatti il voto di lista, anche se la preferenza è sbagliata. Così è scritto su un volantino di propaganda di un partito.

Forse però Caterina si deciderà a fare domanda di naturalizzazione per diventare svizzera.

Cristina Cattaneo

Cristina Cattaneo
Società