LA GRAINE ET LE MULET (VENEZIA ’64)

Una pioggia di premi è caduta sul film più amato dai critici e dal pubblico alla 64. Mostra del cinema di Venezia: il Gran Premio Speciale della Giuria , il Premio Marcello Mastroianni come miglior attore emergente per Hafsia Herzi e tra i premi collaterali, La Graine et le mulet si è aggiudicato anche il prestigioso Premio Fipresci, il Premio Arca Cinemagiovani, il Premio Nazareno Taddei, il Premio La Navicella- Venezia Cinema e la menzione speciale del Premio Signis. Il fatto è che tale pellicola è un racconto realista che sfiora diversi temi socialmente impegnati - il razzismo, il lavoro precario, la convivenza tra diverse culture e tradizioni - attraverso la quotidianità di una famiglia francese di origini arabe. Abdellatif Kechiche, il giovane regista dal sorriso dolce e gentile, non ne spettacolarizza usi e costumi, ma svolge la narrazione attraverso primi piani che mettono in evidenza la sincerità dei protagonisti. Il titolo francese ("Il grano e il cefalo") deriva dal piatto tipico che l'eIX moglie di Slimane prepara ogni domenica per i figli e le loro rispettive famiglie. Un cous cous al pesce che li riunisce a tavola e offre lo scenario perfetto per farli conversare - animatamente, briosamente -, per tracciare i loro profili e allargare l'obiettivo sulle loro condizioni. Non ne smorza i toni né cerca l'effetto estetico con finzioni scenografiche, ma si basa essenzialmente sulle conversazioni dei suoi protagonisti mettendo in tavola la vita in diretta. Un lavoro scrupoloso provato a lungo con gli attori per ricreare l'ambiente familiare a lui più caro. Tra gli interpreti, tutti notevoli, spicca l'esordiente Habib Boufares che nel sostituire Mustapha Adouani - scomparso dopo aver a lungo provato il ruolo - ha saputo mantenere una maschera di disincanto nel ritrarre il sentimento di fallimento di Slimane lungo tutto il film. E non parliamo del ritratto femminile che emerge da Le Graine et le mulet : è quanto di più realistico ci si possa aspettare. Le donne parlano, gridano, piangono, si lamentano, si disperano, si alimentano di gelosie e invidie ma alla fine rimediano agli errori degli uomini. Così, mentre il patriarca si distrugge rincorrendo il tempo, la giovane Rym - figlia di Latifa - improvvisa una danza del ventre seducente, ipnotica, piena d'amore nei confronti del genitore illegittimo. Sembrerebbe una commedia, come una delle tante che si giravano in Italia negli anni Cinquanta, invece è un doloroso dramma modernissimo, arricchito da quella nostalgica musica etnica, che dà colore e sapore alla storia. Assolutamente da vedere.

Il regista

Attore e regista, nato il 7 dicembre 1960 a Tunisi, ma cresciuto a Nizza, Abdellatif Kechiche prima di dedicarsi alla regia ha fatto diverse esperienze come attore di teatro e di cinema. Ha debuttato sul grande schermo nel 1984 come protagonista di Le thé a la menthe diretto da Abdelkrim Bahloul. Tutta colpa di Voltaire (2000), presentato alla 57ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, segna il suo esordio dietro la macchina da presa.

Filmografia:

2000 Tutta colpa di Voltaire

2003 La schivata

2007 La graine et le mulet.

DOMANDE & RISPOSTE

Da che cosa ha tratto lo spunto per il suo film

Sono partito da una pura fantasia popolare, il genere di storia che si sente raccontare nei paesi, il mito di quelli che “ce l’hanno fatta”, ovvero, di coloro che sono scappati alla schiavitù moderna di una situazione professionale precaria, creando un’impresa propria. E ho voluto trattare questo tema con un certo umorismo. E’ un racconto d’avventura, il protagonista è vecchio, povero e arabo, e vuole creare qualcosa di grande per recuperare la sua dignità e riscattare la sua famiglia.

Mentre mi costringevo a concentrare e mantenere l’interesse intorno all’azione principale, non mi sono allontanato mai troppo dagli eventi della vita quotidiana di questo feuilleton familiare, che è poi la dimensione che mi importa di più. Avvicinarmi a questo universo che mi è familiare, a questi personaggi che sono i miei, per descrivere semplicemente le piccole cose della vita quotidiana.

Si è attenuto molto alla sceneggiatura, che poi è anche sua

Il legame tra la dimensione di ciò che è scritto e la resa dei personaggi e del loro luogo, è per me fondamentale. L’ambiente descritto è quello cui io appartengo, e quindi sono emotivamente molto coinvolto. La rappresentazione di questa famiglia di “francesi-arabi” nella sua complessità, investita nell’apertura di un

ristorante a conduzione familiare (e quindi volta verso un futuro che non sia necessariamente sinonimo di negazione della propria identità) è anche una reazione a schemi ancora troppo spesso riduttivi. Con il mio film voglio anche sottolineare il diritto alla differenza, senza tuttavia cadere nella stigmatizzazione sprezzante.

Nel suo film c’è una musica bellissima. Lo spettatore si sente coinvolto già dalle prime scene…

Per quanto riguarda la realizzazione del film, ho avuto bisogno di provare a lungo - la mia formazione e' teatrale - affinché gli attori si sentissero davvero una famiglia. Per creare la giusta atmosfera fondamentale e' stata la musica: la vita era lì e ho cercato di coglierla. Per renderla, ho utilizzato attori non professionisti. A intraprendere la carriera recitativa sarà probabilmente solo Hafsia Herzi, giovane e splendida, che veste i panni della figlia acquisita del protagonista Slimane (Habib Boufares), operaio navale che sogna di aprire un ristorante di cous-cous.

Lei vive sulla sua pelle i problemi della multiculturalità. Cosa ci può dire in particolare

Nel mio film racconto con ironia e allegria i problemi dell’integrazione sociale e culturale in Francia di una grande famiglia di origine magrebina che vive a Sete, nei dintorni di Marsiglia dove l’immigrazione è irreversibile, la cultura araba un fatto acquisito e la convivenza necessaria. In un mondo che ci riserva troppo spesso notizie di scontri e opposizioni tra culture e religioni, guardare questa epopea familiare può toccare l’anima e il cuore. Sono nato a Tunisi, ma vivo in Francia, sicché la multiculturalità vissuta tra il mio Paese di nascita e quello adottivo, mi induce a guardare all’integrazione come a un fatto doveroso. Le strade per arrivarci possono essere molte. Sta a noi trovarle e percorrerle con umanità.

Nel suo film vuol sottolineare anche le differenze di stile di vita dei migranti che vivono in Francia appartenenti a generazioni diverse

. Non sono poi molte le cose che sono cambiate. Ho voluto dare una dimensione eroica ai personaggi delle generazioni precedenti alla nostra, cui ho sentito il bisogno di tributare omaggio. Li ho infatti descritti in un modo diverso da quello convenzionale. Per esempio, ho dato molto spazio alla sessualità e all'amore, perché ne hanno diritto, tant'è che ho inserito una conversazione sull'amore che si svolge durante la scena del banchetto. Quanto alla critica verso la società francese, questa non è mai affrontata frontalmente: mi limito a mostrare i diversi rapporti che si instaurano tra i membri della famiglia araba e i francesi nei vari momenti del film. Anche il razzismo è visto soprattutto come rifiuto inconscio. Con il personaggio di Slimane ho voluto raccontare le umiliazioni subite da un'intera generazione. Purtroppo le cose non sono cambiate molto per le nuove generazioni. Ma non è questo il centro del film.

Scheda tecnica.

Il film: Le Graine et le Mulet

Regia: Abdellatif Kechiche

Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche

Fotografia: Lubomir Bakchev

Montaggio: Ghalia LacroIX

Scenografia: Benoit Barouh

Costumi: Maria Beloso

Interpreti: Habib Boufares, Faridah Benkhetache, Sabrina Ouazani, Hafsia Herzi, Mohamed Benabdeslem

Produzione: Pathé Renn Productions, Hirsch

Distribuzione internazionale: Pathé Distribution

Nazionalità ed anno: Francia, 2007

Durata: 151'

Formato: 35mm, colore

Lingua: Francese

Trama

"La Graine et le Mulet". E' una gradevole commedia ben strutturata sulle dinamiche interne di una famiglia allargata, come tante moderne, ma con una caratteristica in più: essere di origine maghrebina. La storia si svolge a Sète, una cittadina portuale vicino Marsiglia. Qui tutti lavorano al porto o come pescatori o come maestranze addette alla riparazione/smantellamento delle navi. Il guaio è che c'è sempre meno lavoro soprattutto per un sessantenne malandato come il Signor Slimani Beiji (Habib Boufares), padre di famiglia, divorziato, che nonostante tutto tenta di fare il possibile per restare vicino alla sua eIX moglie e ai suoi figli, così come alla nuova compagna Latifa (Hatika Karaoui) e alla figlia di lei Rym (Hafsia Herzi), che considera come sua. E' un padre amorevole, il cui volto è segnato dal faticoso lavoro a contatto con il mare e il sole, ma nonostante tutto, non si lamenta mai: è un tipo taciturno, di poche parole. In ogni famiglia ci sono problemi e tensioni e Slimane fa il possibile per aiutare come può le persone che ama. Il licenziamento però non fa che acuire il senso di inutilità e fallimento che lo deprimono da tempo. Un giorno mentre sta smantellando una nave vecchia, Gli viene l’idea, proprio quella che potrebbe cambiare il corso della vita di tutti i suoi cari. Perché non trasformare la nave in un ristorante Aiutato da Rym comincia le pratiche amministrative e, come sempre avviene, passa da un ufficio ad un altro che certamente non lo incoraggiano più di tanto. Sembra che tutti per dargli il permesso debbano essere certi che la banca gli conceda i fondi e la banca da parte sua gli chiede delle garanzie più sostanziose della semplice nave. L'unico modo per aggirare l'ostacolo, secondo Slimane, è riparare la nave da solo, con l'aiuto dei suoi figli e organizzare una bella festa invitando tutti i dirigenti, dimostrando così la bontà della sua idea. E' una scommessa rischiosa, ma la famiglia si unisce attorno a lui e così gli amici, nel tentativo di aiutarlo, ma, proprio durante la festosa cena sopraggiungono degli imprevisti e i rapporti familiari da una parte si sgretolano, dall'altra si fortificano. Eventi non programmati sembrano cercare in tutti i modi di far saltare in aria il sogno e la sfortuna si aggira funesta. E' una commedia dal sapore dolce in cui il regista mostra una famiglia normale di immigrati, che si riunisce nel tentativo di realizzare il sogno del padre sperando in un futuro migliore. Il finale è amarissimo ed aperto a più soluzioni che ciascun spettatore dedurrà secondo la sua coscienza. "La Graine et le mulet" rappresenta l'avventura verso l'incognito, il tentativo di decidere da soli della propria vita ed entrare a far parte di "quelli che ce l'hanno fatta", che sono riusciti a scappare dalla situazione precaria e a creare qualcosa. Lo stile è leggero e ad impreziosire la pellicola è l'ironia, che investe e imbeve di sé tutta l'avventura permettendole di acquisire la dimensione narrativa tipica del romanzo.

E come si fa a non dire qualche parola sul cous cous maghrebino

Mille e mille e mille granelli. Come la sabbia del deserto. Le radici del cous sono lì, tra le dune del Nord Africa, del Maghreb, dove da sempre vivono i Berberi, o meglio, come preferiscono essere chiamati, Amazighen – uomini liberi.

Costituivano la popolazione indigena dell'Africa settentrionale. Alle spalle una storia millenaria. Poi vennero gli arabi e fecero proprie anche le tradizioni. Tra queste anche il cous cous. Origine credibile: il piatto, assunto addirittura ad emblema della cucina araba, si fonda in gran parte sulla paziente manipolazione del grano tritato, che è un ingrediente principale di tutte le popolazioni che si sono insediate nelle zone costiere del Mediterraneo e in quelle interne subito vicine.

Ma furono poi gli arabi a diffondere questa pietanza che oggi si consuma anche in Paesi lontani dalla cultura islamica, retaggio di una dominazione avvenuta secoli passati.. Il cous cous oggi è un piatto che si può consumare in tutta la zona del Maghreb – Algeria, Marocco, Tunisia – ma anche in Egitto, in Israele, in Palestina, nello Yemen per arrivare sino al Senegal e alla Costa d'Avorio. Piatto della pace tra i popoli del Mediterraneo lo ha definito Edoardo Raspelli, uno degli specialisti della cucina in Italia.

L'Occidente si accorse del cous cous alla fine dell'Ottocento, quando famosi letterati proposero a un pubblico amante dell' "esotico" i loro resoconti di viaggio nei Paesi dell'Africa settentrionale. Fra questi ci fu anche Edmondo de Amicis, proprio l'autore di "Cuore". In un suo scritto ricorda il "cous cous" come piatto di principi e di popolo, ovvero come un piatto destinato sia alla cena della gente comune ma anche degna di figurare fra le oltre trenta portate di un sontuoso banchetto offerto da Gran Visir di Fez.

Nei paesi del Maghreb il cous cous viene portato sulle tavole alla sera, una tradizione che trae le sue origini dal fatto che i popoli nomadi consumavamo il pasto la sera, quando si fermavano per la notte sotto la tenda. Ma in Marocco lo si consuma nel primo pomeriggio, a pranzo. La tradizione vuole che si mangi tutti insieme intorno a un unico piatto utilizzando le mani. Prima di iniziare il pasto a base di cous cous viene sussurrato "Biss’mi Allah", una preghiera di benedizione per la mensa. Come raccomanda poi il Corano, va mangiato con tre dita della mano destra; perché con un dito mangia il diavolo, con due il profeta e con cinque l'ingordo. Per servirsi non si utilizzano posate ma pane non lievitato. Forte è la valenza sociale di questo piatto: si mangia solo insieme alla famiglia o a chi viene considerato parte della comunità(Infatti, il film le graine e t le mulet, è il punto focale del racconto drammatico di questa famiglia di arabi in Francia )

In Italia ormai è semplice trovare la semola da lavorare a mano. Rispetto a quella tunisina è più grossa per la maniera stessa in cui viene tagliata dalle macine dei mulini locali. E proprio attraverso questa semola passa la via dell'integrazione odierna. A Firenze l'associazione Nosotras formata da 35 donne che provengono dal Senegal, dall'Albania, dalla Repubblica Dominicana, dall'America latina hanno organizzato una cooperativa che si occupa di catering. A far la parte del leone è, naturalmente, il cous cous. E nelle mense scolastiche comunali di Milano è servito il cous cous con carne per festeggiare il capodanno islamico. Un modo per far sentire meno lontano dal loro paese i bambini di cultura islamica e non farli crescere senza radici.

Si comincia la sera precedente mettendo ad ammollare in acqua con poco bicarbonato un paio di manciate di ceci secchie o di fave.... Dell'agnello prenderemo parti miste, in particolare sono adatti la coscia ed il "collier", utili sono anche le parti meno nobili come le costine e i garretti, da evitare invece le costolette, molto più apprezzabili arrostite sulla brace. La carne verrà tagliata a pezzi piuttosto grossi facendo attenzione ad eliminare le schegge d'osso.

Nella parte bassa della couscoussiera si pone abbondante olio d'oliva, qualche spicchio d'aglio, spellato o in camicia a piacimento, un piccolo peperoncino, e a fuoco vivo si rosoleranno i pezzi di carne aggiungendo qualche spezia: molto indicate sono la paprika dolce, la curcuma, pepe nero in granelli, poca cannella e qualche chiodo di garofano. Mentre la carne rosola in un capace catino si versano i grani di cous-cous acquistato al supermercato o in una delle tante macellerie islamiche, di preferenza un grano prodotto in Tunisia o Marocco, decisamente meno buono il prodotto europeo che non è fatto con semola agglomerata ma altro non è che spaghetto sminuzzato.

Al cous-cous si aggiunge poca acqua salata e qualche goccia d'olio, nella misura di un bicchiere d'acqua per mezzo chilo e un cucchiaio d'olio. Con le mani si rimescola bene, in modo da inumidire in modo uniforme i granelli, e si copre il catino con un canovaccio. I grani assorbono l'acqua e si gonfiano un poco, ci vorranno una ventina di minuti a metà dei quali si dà ancora una rimescolata a mani nude.

Nel frattempo la rosolatura dell'agnello è completata e si possono aggiungere acqua e concentrato di pomodoro fino a coprire abbondantemente la carne; quanto pomodoro mettere è un fatto di gusti, così come l'usare il concentrato piuttosto che la polpa fresca. Mentre la marmitta riprende il bollore si preparano le verdure, che possono essere le più varie della stagione: patate, cipolle, zucca, zucchine, rape, carote. Irrinunciabili oltre ai ceci, sono le patate, le carote, le zucchine e le rape bianche. Se la stagione lo consente anche la verza e il cardo.

L'essenziale, a parte la freschezza, è che siano tagliate a pezzi grossi o meglio lasciate intere e che vengano introdotte nella preparazione in tempi diversi, di modo che cuociano in modo uniforme. Sicuramente si aggiungono per primi i ceci o le fave, a seguire il cardo, le rape e le patate, le carote e ad ultimo le zucchine.Sicontrolla il sapore e si aggiunge altro sale e l’ harissa a piacimento. In mancanza di harissa (piccantissima pasta di peperoncini, aglio e coriandolo) si può usare del tabasco o della paprika forte.

Appena si alza un vapore deciso dalla pentola si trasferisce il cous- cous dal catino al "keskes" ovvero la parte superiore della couscoussiera, che è in pratica una seconda pentola dal fondo traforato che si sovrappone a quella dove bolle la preparazione di carne e verdura: il vapore si sviluppa trascinando con se l'aroma della pietanza e si insinua nei fori del keskes, attraversa i granelli umidi e li riscalda, li cuoce e ci si condensa attorno ammorbidendolo senza bagnarlo. Naturalmente durante questa cottura si può rimuovere il keskes per aggiungere nei tempi e nella successione dovuta le verdure.

Il cous- cous rimarrà esposto al vapore per una quindicina di minuti dopo i quali lo si toglie versandolo nuovamente nel catino. Con un mestolo si prende un poco del brodo di bollitura e lo si versa sui grani rimescolando velocemente con un grande cucchiaio: è importante agire velocemente per evitare che si formino grumi e che la bagnatura sia disuniforme. In questo modo il cous- cous prende il sapore delle verdure e della carne( o del pesce come nel film) e prende un bel colore rossiccio. Si rimette subito nel keskes per esporlo nuovamente al vapore: in tutto resterà altri venti minuti alla fine dei quali si riporta nel catino assaggiandone la consistenza e l'umidità ed aggiungendo a piacimento ancora del brodo di cottura.

Il cous-cous verrà disposto in un ampio piatto disponendovi sopra le verdure e alcuni pezzi di carne( o di pesce), la rimanente pietanza si presenterà in un piatto a parte ed il rimanente brodo in una zuppiera così che i commensali possano aggiungerne alla semola per renderla più o meno morbida a piacimento.

Il tocco finale potrebbe essere l'aggiunta al cous -cous di nocciole e uva passa preventivamente fatte scaldare in poco burro con chiodi di garofano e qualche seme di cardamomo: decisamente orientale. Per gli stomaci rodati a mezzodì si possono arrostire a piacimento dei peperoni verdi piccanti, da disporre sul piatto principale.

Il problema di che vino abbinare alla portata non dovrebbe neanche porsi: per quanto la Tunisia sia un paese di forti bevitori il Couscous è piatto principe del Venerdì, giorno santo in cui anche i più laici preferiscono astenersi dall'alcool.

In verità anche la natura del cibo sconsiglierebbe del tutto le bevande durante la consumazione, è preferibile bere prima oppure una mezz'ora dopo, per non soffrire di un fastidioso senso di gonfiore, per rinfrescarsi e attenuare l'eventuale piccantezza del piatto la bevanda migliore è il "lebèn", latte leggermente fermentato, sostituibile con uno yogurt liquido naturale.

Maria, Elisa, Enrico Marotta & Antonio De Falco
Società