I RACCONTI DI CRISTINA: BIROBIDJAN ( O BIROBIDZHAN), UN’ALTRA ANOMALIA STORICA DELL’EX-UNIONE SOVIETICA

Anni fa, intorno al 1980 mi sembra, quando mi occupavo della biblioteca comunale di Porlezza, mi era capitato fra le mani uno splendido reportage del famoso fotografo comasco Enzo Pifferi “Transiberiana Proibita”. Temo che il libro sia ormai introvabile e chi ce l’ha dovrebbe tenerselo ben stretto, perché si trattava della documentazione fotografica di un viaggio effettuato d’inverno sul famoso treno. Ricordo come fossi stata colpita dalle immagini di donne imbacuccate che armate di piccone toglievano il ghiaccio formatosi sotto i gabinetti del treno, e da altre ugualmente eloquenti, come un getto d’acqua ghiacciato nel momento in cui veniva buttata da un secchio.

I lavoratori erano perlopiù lavoratrici che di femminile sembravano avere ben poco. Comprensibile date le condizioni disumane in cui lavoravano.

La Siberia (Sever in russo vuol dire nord) è sempre stata la valvola di scarico della Russia. Se ne ha già cronaca dal tempo del grande “raskol”, lo scisma dei “Vecchi Credenti” all’interno della chiesa ortodossa nel diciassettesimo secolo, quando il loro leader, il vescovo Avvakum, fu condannato e mandato in esilio con tutta la sua famiglia. Ne parla egli stesso nella sua autobiografia.

Ne parlano i grandi scrittori russi dell’800. Dostoevskij stesso sarà condannato a scontarvi sei anni di lavori forzati e Cechov vi si recherà volontariamente per studiare le condizioni di vita dei condannati e degli esiliati. Il regime sovietico ha naturalmente continuato la tradizione e “gulag” ha ormai il significato sinistro che tutti conosciamo.

Dell’inverno siberiano si parla spesso. Si parla meno delle altre stagioni, seppur brevi, quando fango, umidità e zanzare la fanno da padroni.

Ed è proprio in un angolo remoto di questa terra a dir poco inospitale, per la precisione nel distretto di Birobidjansky, che Stalin pensò di fondare la Regione Autonoma Ebraica nel 1928.

Fino ad allora la maggior parte degli ebrei nell’Europa orientale risiedevano nella cosiddetta Zona di Residenza, una larga fascia che va dal Mar Nero alla Lituania. La Russia degli Zar non voleva ebrei sul proprio territorio, ma fu costretta ad accettarli alla fine del XVIII secolo dopo l’annessione della Polonia orientale al proprio impero. La maggior parte vivevano negli shtetl e parlavano yiddish, lingua simile al tedesco scritta con caratteri ebraici.

Come si sa la vita degli ebrei sotto gli zar non era facile. C’era un rigido sistema di numero chiuso che limitava la presenza di ebrei nelle scuole e nelle professioni. Era proibito loro l’accesso a cariche statali o militari e pochissimi erano coloro che avevano il diritto di possedere terra. Tutto ciò equivaleva ad una condanna alla povertà e alla disperazione. Non solo, purtroppo ciclicamente gli ebrei erano vittime dei famosi pogrom, che seminavano terrore e distruzione nei loro villaggi.

Queste a grandi linee anche le condizioni che videro nascere il sionismo e i primi movimenti rivoluzionari alla fine dell’’800.

La prima guerra mondiale, la rivoluzione poi, anche se molti ebrei intellettuali vi ebbero una parte importante, e altri pogrom (1914, 1921) avevano duramente indebolito le comunità ebraiche. In certe zone la disoccupazione raggiungeva il 70%. Nonostante la NEP (Nuova Politica Economica voluta da Lenin) la politica di nazionalizzazione continuava e moltissimi ebrei, piccoli commercianti e artigiani, erano rimasti senza lavoro.

Malgrado ciò il partito comunista, tramite le sue sezioni ebraiche, continuava la propaganda per avvicinare gli ebrei alla campagna, per trasformarli in agricoltori.

Come sotto gli zar si ripeteva così il tentativo di modificare il profilo socioprofessionale della comunità ebraica. La normalizzazione e la produttivizzazione della comunità ebraica avrebbero dovuto limitare l’antisemitismo e facilitare l’integrazione degli ebrei nella società e nell’economia socialista che si stava formando.

Le circostanze che portarono alla decisione, nel 1928, di scegliere il distretto di Birobidjansky come futura regione autonoma ebraica sono ancora avvolte nel mistero. Si trattava di una regione, grande più o meno come il Belgio, che prende il nome dai due affluenti del fiume Amur, Bira e Bija, appunto, che l’attraversano. La Russia l’aveva annessa nel 1858. Contava allora circa 27000 abitanti, un clima estenuante, estati umide e calde, inverni gelidi e secchi, molte paludi e delle ricchezze naturali nelle regioni del nord. Vi passava già la ferrovia.

Stalin aveva deciso che il popolo ebraico che possedeva già una cultura e una lingua –yiddish - doveva avere anche la sua terra. Naturalmente in quanto comunista doveva essere anche uno stato laico. Le pratiche religiose sarebbero state proibite.

Con gli occhi di poi la scelta di quella zona così remota e inospitale si può spiegare oltre che con la politica delle deportazioni di intere popolazioni volute da Stalin, con l’intenzione di sostenere le rivendicazioni sovietiche su un territorio che poteva essere reclamato da Cina o Giappone e non correre il rischio che si formasse una regione ebraica in una delle repubbliche europee. Non solo, si volevano sfruttare al meglio le risorse naturali della zona, legname, pesce, graffite, ferro, stagno e oro.

Nel 1934 la Regione Autonoma Ebraica di Birobidjan fu costituita ufficialmente.

I primi coloni avevano cominciato ad affluirvi già dal 1928, spinti dalla disperazione, dalla propaganda e alcuni anche dall’idealismo. Lo stato offriva il viaggio e prometteva lavoro, ma al loro arrivo trovavano condizioni di vita durissime per uomini e bestiame. Mancanza totale di strutture, di alloggi, disorganizzazione, terreni non drenati, clima ostile, zanzare, malattie.

Eppure il progetto attirò ebrei idealisti persino dalla California e dall’Argentina, dove la propaganda era attivissima e si raccoglievano anche fondi a sostegno dei coloni di Birobidjan.

Nei primi anni trenta nonostante tutte le difficoltà si possono riscontrare i primi risultati, non solo sul piano agricolo: industrie, costruzioni, lavorazione dei prodotti locali (legno, pesce, ferro, stagno, carbone, grafite).

Il secondo piano quinquennale prevedeva la presenza di 300.000 abitanti, di cui la metà dovevano essere ebrei, ma nel 1939 la popolazione era di 109.000 abitanti, di cui solo 18.000 ebrei.

Viene spontaneo chiedersi a questo punto se tutti questi idealisti o disperati migranti avevano davvero trovato la nuova terra promessa, la Sion sovietica.

Alle condizioni materiali ho già accennato. E tutto il resto? Lingua, scuola, cultura?

Questo è davvero uno degli aspetti più interessanti dell’ “esperimento”. La lingua era l’yiddish. Ma come accadeva anche in America e in Russia, questa lingua aveva poche speranze. Non perché non fosse viva, anzi, ma chi voleva migliorare le proprie condizioni di vita doveva comunque parlare russo o inglese. C’era una letteratura yiddish, pensiamo a Sholem Aleichem, (i cui racconti sono stati portati in teatro anche da noi da Moni Ovadia) e più tardi a Isaac B. Singer, premio Nobel.

A Birobidjan si fecero grandi sforzi per mantenerla viva, furono costruite scuole, teatri, una biblioteca e fu fondato un giornale, ma non poteva comunque essere l’unica lingua, vista la presenza di tante altre etnie. Molti testi in Yiddish erano soprattutto manuali propagandistici di regime.

Invece l’ebraico era bandito. Era considerata la lingua borghese dei borghesi sionisti.

Qui le pratiche religiose erano proibite e l’ebraico, si sa, è la lingua sacra per eccellenza. Ma dopo la guerra, quando ci fu un allentamento da parte del regime, si formarono senza difficoltà anche delle comunità religiose e si celebrarono le feste ebraiche.

Purtroppo le purghe staliniane e la guerra poi non risparmiarono il piccolo stato. Come in tutto il resto dell’Unione Sovietica vi furono deportazioni (anche se si trovavano già in Siberia), arresti arbitrari ed esecuzioni sommarie. Le vittime forse furono alcune migliaia.

Per tragica ironia della sorte il trauma della guerra portò un soffio di speranza alla regione. Fra il 1946 e il 1948 forse 10.000 ebrei affluirono nella regione, portando così il loro numero a 30.000.

Riaprirono o ebbero nuovo impulso tutte le istituzioni yiddish, teatro, scuole, giornale, museo e perfino la sinagoga, anche se senza rabbino.

Questo “revival” fu purtroppo di breve durata. Nel 1948 l’ira di Stalin contro tutto ciò che era ebreo si abbatté anche sul piccolo Birobidjan. In un enorme falò, degno di Fahrenheit 451, furono bruciati 30.000 volumi della biblioteca giudaica. Gli ultimi anni dell’antisemitismo staliniano furono un colpo mortale per il piccolo stato.

Il periodo post-staliniano non portò nulla di nuovo, se non una lenta decadenza. Si dovette comunque prendere atto del fallimento di questo strano tentativo di creare una nuova Sion in Siberia. Ma poiché Birobidjan è ormai entrato a far parte della storia, della storia subisce anche le leggi ed ecco che con la fine del comunismo gli ebrei rimasti a Birobidjan fanno un ultimo sforzo per ridar vita a quel po’ di cultura yiddish ed ebraica che vi erano rimasti.

Nel 1991 è diventato uno stato indipendente della Federazione Russa.

Tuttavia la “nazione” ha mantenuto il nome di “Regione Autonoma Ebraica” .

Ho cercato su internet, ho trovato il sito ufficiale: http://www.eao.ru/eng , con tanto di galleria fotografica e storia della regione, in cui purtroppo non si accenna né alle purghe staliniane né all’ondata repressiva degli ultimi anni del regime del dittatore.

Ma Birobidjan è oggi nota soprattutto perché è una fermata della transiberiana. Chissà, fare un viaggio sulla Transiberiana è sempre stato un mio sogno. Adesso però sappiamo che Birobidjan non è solo una tappa di questa storica ferrovia.

Cristina Cattaneo

Cristina Cattaneo
Società