DOVE STIAMO ANDANDO?

Se lo chiede il visitatore davanti alla natura evocativa e provocatoria delle opere esposte al rinnovato Palazzo Grassi

Questa non è solo la domanda che quella volta pose Paul Gaugin all’alba del Modernismo, e poi riproposta nel 2000 da Damien Hirst per il titolo di una sua scultura. “Where are we going?” per chiedersi dove stava andando l’arte. E’ ciò che si chiede il visitatore davanti alla natura evocativa e provocatoria delle opere esposte a Palazzo Grassi, rinnovato nel suo antico e moderno splendore che propongono una riflessione sulla condizione umana, sulla cultura contemporanea e sul futuro del mondo in cui viviamo.

L’evento a Palazzo Grassi.

Duecento opere di arte moderna e contemporanea della collezione Pinault, mai esposte in pubblico, hanno festeggiato dal 30 aprile 2006 la riapertura di Palazzo Grassi a Venezia. La mostra si intitola “Where Are We Going?” e comprende lavori di oltre cinquanta artisti, da grandi maestri del dopo-guerra come Mark Rothko , Piero Manzoni e Donal Judd, a star internazionali come Damien Hirst, Pierre Huyghe, Cindy Shermann e Maurizio Cattelan, fino ad artisti più giovani come Urs Fischer, Piotr Uklanski e Rudolf Stingel.

Con questa ricca e stimolante kermesse François Pinault, uno dei maggiori collezionisti di arte del XX e XXI secolo, inaugura nel modo migliore la presidenza di Palazzo Grassi SpA, responsabilità che era già stata del suo personale amico Giovanni Agnelli. All’architetto giapponese Tadao Ando è stata affidata la ristrutturazione e il restyling degli interni del prestigioso palazzo settecentesco. Grazie ai lavori, durati un anno, i 3.000 metri quadrati di spazi sono stati trasformati per dare vita a un ambiente ideale per l’esposizione di opere d’arte moderna e contemporanea.

“Where are we going?” ne è un esempio. La mostra, curata da Alison M. Gingeras, propone opere dal dopoguerra in poi e comprende varie correnti artistiche come la Scuola di New York e l’Astrattismo Europeo, l’Arte Povera, il Minimalismo, il Post Minimalismo e la Pop Art, oltre a esponenti delle più recenti rivisitazioni Pop.

L’attività di Palazzo Grassi prevede un programma di esposizioni della collezione personale di François Pinault alternate a mostre tematiche e storiche con opere provenienti da prestatori e istituzioni internazionali.

Il percorso della Mostra

Il cagnolino multicolorato di Jeff Koons, in acciaio, simile ai palloncini delle fiere che fanno la gioia dei bambini, dà il benvenuto ai visitatori. A sottolineare la svolta anche una rilettura della facciata, affidata alla trama di fili di Olafur Eliassion. Inizia così il percorso espositivo del rinnovato Palazzo Grassi, con la mostra dal titolo "Where are we going?" ( "Dove stiamo andan¬do?").

Quasi a far da guardiani all' entrata d'acqua, due robot dell' astro nascente: il giapponese Takashi Murakami. L'interno dell'atrio è dominato dal cuore sospeso, enfatizzazione estrema anche per il colore definito, di un'icona della pop art, altra opera di Koons, il protagonista “coccolato” dai media(in fondo, la sua celebrità la deve a quella famosa Cicciolina, diva del porno, eletta al parlamento. Ma ciò non turba più di tanto, visto i “traffici” odierni dei nostri governanti che si contentano di non darsi troppo fastidio tra di loro, piuttosto che scegliere, per esempio, come capo dello stato l’economista al di sopra di tutti, quel Mario Monti, troppo perbene per accontentare le due fazioni parlamentari!)di questa esposizione. Del tutto mimetizzata, invece, l'installazione sul pavimento di Carol Andre, uno degli esponenti più significativi della minimal art, ovvero l'antitesi concettuale della pop .

Nel 1970 Carol progettò per il Guggenheim di New York una superficie di 120 metri quadrati, composta di un modulo ripetitivo di 36 quadri, di sei diversi materiali, più la superficie stessa a costituire la "37esima opera", come recita il titolo. Successivamente, la composizione fu smembrata tra collezionisti pubblici e privati, poi ricostituita nel 1980 e esposta di nuovo dal 1981 al 2000 a Schaffhausen (Svizzera). Lo scorso autunno Pinault l'ha acquistata per 7 milioni di dollari, con l'intenzione di inserirla tra le opere di Palazzo Grassi.

Nello scalone di ingressi si è investiti da una pioggia di gocce arancione del giovane artista svizzero Urs Fischer. Infine il colpo di teatro che conclude il prologo alla vera esposizione: alla sommità dello scalone il ritratto-radiografia di François Pinault, sotto forma di teschio, dovuto al giovane polacco Piotr Uklanski.

E già in questo posto ci si può anche chiedere "Where Are We Going"? ovvero "dove stiamo andando? Questo il titolo della mostra, mutuato da una citazione di Paul Gauguin, ripresa da un' opera assai complessa, presente in mostra, di Damien Hirst, una teca di vetro con fossili di diversi animali, - anche preistorici, in un percorso concluso da un teschio umano.

La risposta alla domanda è e vuole essere problematica, una voluta equidistanza tra la componente figurativa e quella astratta. La prima come filiazione estrema della pop art e dunque esagerata o, se si preferisce, sfarzosa nei suoi esiti: dopo un omaggio a Keith Haring, il maestro dei graffitisti, ci si smarrisce con la scultura di Maurizio Cattelan: "Lui", ovvero Hitler, che, ripreso di spalle e in ginocchio, si presenta falsamente dimesso come uno scolaro punito. Si prosegue con i fumetti di Raymond Pettibon; la metafora sulla guerra di Jeff Wall; gli sfumati oli di Luc Tuy¬mans, l'ambigua sfinge di Gerhard Richter e gli scenari urbani di Pierre Huyghe.

Poi si sale al secondo piano , dove si ha a che fare con l’arte astratta, con una parte storica di grande considerazione, che rivisita i "Concetti spaziali" di Lucio Fontana, gli essenziali "Acromi" di Piero Manzoni, la rigorosa lezione geometrica di Francesco Lo Savio. Quasi una premessa al capitolo dell'Arte Povera, ben esemplificata nei protagonisti e nelle opere: l'igloo di Mario Merz; l'Italia a rovescio(che profeta, quest’artista: l’Italia oggi non è così?) e dorata di Luciano Fabro; gli specchi di Michelangelo Pistoletto l'albero di Giuseppe Penone; le citazioni dal classico di Giulio Paolini fino all'ultimo epigono, francese, Bernard Frize.

Successiva a questa sezione e affine, se non altro per il discorso dei materiali, è quella ben documentata del minimalismo: Mark Rothko e Brice Marden con le loro campiture monocrome; gli affinati bianchi di Robert Ryman; gli spartiti musicali di Agnes Martin; i multipli in metallo di Donald Judd; gli avvincenti graffiti di Cy Twombly, le luci al neon di Bruce Nauman, la camera in cellotex di Rudolf Stingei (altoatesino) dove il visitatore è invitato a lasciare le sue tracce.

Poi si ridiscende al primo piano per ritornare al capitolo figurativo: a premessa un ritratto di Mao(brutto) di Andy Warhol, a cui si contrappone la bomba atomica(orribile e ammonitrice) del giovane Piotr Uklansky, segue il gradevole barocco di David Hammons; le provocazioni, anche nella lunghezza dei titoli, di Damien Hirst, le foto aggressive e sessualmente terribili di Cindy Sherman( si consiglia, nel caso di visitatori scolari, di “saltare” questa stanza. Non si perde niente e anche adulti sensibili non resteranno shoccati). Ancora una monografia di Jeff Koons con il busto alla maniera di Canova che lo ritrae insieme a Cicciolina, la sua ex moglie(ora sua nemica, per via del figlio); la scrofa palpitante di Pau! McCarthye il congedo finale affidato alla ragazza di alluminio di Charles Ray.

È una mostra che rivela un progetto espositivo, criticabile, frammentario, strettamente personale come possono essere i gusti di ciascuno in fatto di arte, ma senz'altro comprensibile, in un equilibrato confronto di tre generazioni di artisti, merito della giovane curatrice, Alison M. Gingeras( bella trentaduenne)ma soprattutto merito della passione da collezionista di François Pinault., il grande e ricchissimo amatore francese che qui in Italia( si vocifera che farà ristrutturare la Punta della Dogana, un bellissimo posto di Venezia da anni esposto all’incuria del tempo, per dedicarlo a un museo di arte contemporanea) ha trovato porte aperte e un nuovo pozzo di san Patrizio, visto che tutti, ma proprio tutti saranno tentati di fare una capatina a Palazzo Grassi. Però, è ovvio, la domanda Where are we going?", cioé, dove stiamo andando ?, sullo stato dell'arte contemporanea che molti studiosi (Jean Clair, Baudrillard, Meinric etc.) propongono da tempo e che appare davvero inquietante e forse senza risposta., rimane.

Notizie utili

“Where Are We Going?” - opere scelte dalla Collezione François Pinault. Dal 30 aprile al 1 ottobre 2006. Orari di apertura:

tutti i giorni dalle 10 alle 19 - Url: www.palazzograssi.it

Maria de Falco Marotta &Team.

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