I RACCONTI DI CRISTINA: IMPRESSIONI DI VIAGGIO - CAPPADOCIA

Quando erano piccoli al ritorno da un viaggio i miei figli mi assalivano con la classica frase: “che cosa mi hai portato?” E così aveva inizio il rito di apertura di borse e valige e svuotamento del loro contenuto. Come a Natale.

Diventati più grandi non lo chiedono più, ma lo pensano, e quando tornano anche loro da un viaggio in paesi lontani , rinnovano la cerimonia con grande piacere per chi dà e per chi riceve.

A me piace comprare piccole cose quando viaggio. Veramente mi piacerebbe comprarne anche di grandi, come piatti in ceramica o teiere, di cui tendo a fare collezione, ma c’è il problema del trasporto, quindi devo ripiegare su oggetti più leggeri e meno ingombranti.

Soprattutto se si va in paesi poveri acquistare un piccolo manufatto è una forma di aiuto rispettoso, almeno così si spera, e naturalmente fa parte del piacere del viaggio. Così di solito compriamo un piattino da appendere insieme a quelli acquistati in altri paesi, poi un piccolo dono per tutti, figli e amici cari.

Questa volta oltre al caffè turco e alla marmellata di petali di rosa di cui sono ghiotta, alle spezie e alle ottime albicocche seccate al sole senza conservanti, ho portato a mio figlio un “divitt”. Si tratta di un portapenne in ottone con incorporato il calamaio. Tipico oggetto ottomano è difficilissimo trovarne di autentici e antichi, quindi ho dovuto accontentarmi di una accettabile imitazione.

Avrei comprato volentieri un tappeto, ma non me la sono sentita di affrontare l’ordalia della scelta e dell’eventuale acquisto. Poco il tempo e troppo stanca. E’ vero che a Kaiseri abbiamo incontrato un giovane mercante poliglotta, che vantava conoscenze persino nel paesino di montagna dove passiamo l’estate, è vero che il tè di mele offertoci era gradevole e i tappeti visti erano belli, ma noi non eravamo nella disposizione d’animo giusta. Sarà per la prossima volta.

Le cose più belle però non erano in vendita. Le ho viste nell’albergo Sofà di Avanos in Cappadocia, dove abbiamo dormito in una freschissima stanza scavata nella roccia, troglodita appunto. Evidentemente il proprietario aveva la passione dell’antiquariato, perché era riuscito a mettere in ogni angolo libero un samovar, una teiera, un fregio antico, vecchissime macchine da cucire e altri oggetti che metterei volentieri anche in casa mia, per non parlare dei tappeti e dei puff disseminati dappertutto.

I doni sono un surrogato di quello che si vorrebbe veramente portare ma non è possibile, è cioè le emozioni, le sensazioni, le sorprese provate. Fotografie, cartoline, souvenir , per quanto belli non sono la “cosa vera”.

Io posso parlarne e riparlarne, ma come descrivere lo stupore provato quando all’improvviso la valle che stavamo percorrendo si è aperta e ci siamo trovati di fronte alle meraviglie del paesaggio della Cappadocia, con i suoi colori, i funghi di roccia lavica, i cosiddetti camini delle fate, le finestre nella roccia, le chiese rupestri? Mille splendide fotografie non rendono la commozione del momento.

La Cappadocia potrebbe essere, e forse lo è stata, il set ideale per un film di fantascienza, ambientato sia nella preistoria che in un remoto futuro. Percorrendo certe lunghissime valli, veri e propri canyon costeggiati da rocce “traforate”, con città semisepolte già dimore di monaci e popolo, ci si aspetta di incontrare un dinosauro o un uccello preistorico. Persino le lucertole avevano un aspetto diverso, sembravano dei draghi in miniatura.

Dalla natura alla civiltà, antichissima, come testimoniano gli incredibili reperti del museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara. Ora noi italiani siamo viziati in fatto di bellezze e ricchezze dei musei. Ma qui ci sono oggetti di che risalgono al terzo millennio avanti Cristo. In Anatolia infatti prima degli Ittiti si ha notizia di un’altra civiltà, gli Hatti. Dopo gli Ittiti vennero i Frigi, poi gli Urartei. La bellezza di quegli oggetti, lì davanti a me, coi loro disegni, i loro simboli. Ciò che mi ha colpito di più in quel museo sono delle tavolette di argilla, scritte fitte fitte in caratteri cuneiformi (l’assiro era la lingua franca dell’epoca). Ho guardato meglio. Una era un testamento, un’altra era un atto di divorzio, una era una cambiale, una era un contratto per la vendita e l’acquisto di schiavi, una un atto di matrimonio e infine una era la domanda per l’applicazione dell’ordalia d’acqua.

Una persino era stata ritrovata con la sua busta, pure d’argilla.

C’è di che restare a bocca aperta.

Altre sensazioni non sono così gradevoli da ricordare, come l’attacco di claustrofobia che mi è venuto visitando la città sotterranea di Kaymaky. Interessante, ma quegli stretti e lunghissimi cunicoli non fanno davvero per me. Proprio no.

E poi i cibi, i sapori, gli odori. L’aria asciutta. I suoni. La voce del muezzin che ti svegliava all’alba.

La gente. Anche qui, come nel resto del mondo la provincia, la campagna hanno un aspetto molto più umano che la grande città, Istanbul è infatti una città enorme, che non si ferma mai.

Ormai ho quasi finito di disfare valigie e mettere a posto, fotografie, ricordi e oggetti.

Trovo in una tasca delle caramelle di zucchero, dure bianche e colorate. Da dove vengono? Adesso ricordo, ce le avevano offerte in due occasioni. La prima a Nigde, grossa città anatolica, quando abbiamo incontrato una famiglia che stava facendo un picnic in un parco. Erano venuti a trovare il figlio, che stava facendo il servizio militare. Il padre oltre alle caramelle aveva voluto offrici anche dei frutti. I figli, il ragazzo e una sorella, sorridevano un po’ imbarazzati alla generosità del padre.

Invece altre caramelle ci erano state donate da un’anziana signora, in devoto pellegrinaggio con le figlie al mausoleo di Haci Bektashi, nell’omonimo villaggio, in Cappadocia. Haci Bektashi è venerato come santo dai suoi seguaci che si collocano nella più grande famiglia degli Alevi, una corrente eterodossa dell’Islam, che in Turchia ha fra i quindici e i venti milioni di aderenti. Haci Bektashi era un mistico e filosofo originario del Khorasan (Asia Centrale) che si rifugiò in queste zone per sfuggire all’invasione mongola. Si stabilì in Anatolia con l’intento di potenziare la fede e la cultura nella popolazione e sostenerla nei suoi problemi in un momento in cui il potere Selgiuchide era in grande decadenza regnava il caos. I suoi seguaci ancora oggi sono islamici moderati, intellettuali, impegnati in politica. Anche gli appartenenti al famoso corpo elitario dei giannizzeri erano Bektashi.

I Bektashi e gli Alevi hanno subito pogrom e persecuzioni, anche in tempi recenti.

Eppure Haci Bektashi predicava moderazione e saggezza. Ecco alcuni dei suoi consigli, letti nel mausoleo/museo a lui dedicato.

1. Trovate l’accordo.

2. Istruite le donne.

3. Anche se vi fanno del male, voi non fatene.

4. Ricercate la libertà della mente.

5. Diventa padrone della tua mano, della tua lingua, del tuo desiderio.

6. Tutto quello che cerchi, cercalo in te.

7. Il primo gradino del sapere è il pudore.

8. Non vedere alcuno, persona o nazione, meno valida di te.

9. Non dimenticate che anche il vostro nemico è un uomo.

10. Gli amici di Dio sono i regali che Dio fa all’uomo.

Ripongo le valigie e chiudo il quaderno con la solita domanda senza risposta. Perché in tutti i tempi e in ogni luogo i saggi e i loro seguaci non sono mai ascoltati e sono sempre perseguitati?

Cristina Cattaneo

Cristina Cattaneo
Società