I RACCONTI DI CRISTINA: CODICE DA VINCI? CE NE SONO TANTI INVECE DI BEI LIBRI. EVVIVA LA VARIETÀ

E’ un periodo che non si fa che parlare di un libro e di un film.. Conferenze, incontri, recensioni. Il Codice da Vinci, la menzogna. Il Codice da Vinci, la verità. Cosa ci sta dietro, cosa ci sta davanti. Basta, non se ne può più. Io non l’ho letto, tendo a non leggere i best-seller. Ce ne sono tanti di bei libri. Evviva la varietà.

DUE LIBRI, UN FILM.

Nessuno mi ha detto di leggerli o non leggerli, di andarlo a vedere o no. L’ho fatto da sola, e mi sono piaciuti, tanto.

I nonni. Ecco, direi che il tema che accomuna queste tre opere, due libri e un film, sono proprio i nonni. La famiglia, insomma, nel bene e nel male. Eppure sono lavori di autori giovanissimi, più o meno coetanei dei miei figli. Sto parlando di “Ogni Cosa è Illuminata”, di Jonathan Safran Foer, del film omonimo tratto dallo stesso romanzo, e di “La Storia dell’Amore” di Nicole Krauss.

Perché ne parlo insieme. Perché Jonathan e Nicole sono marito e moglie. E per adesso si amano, e spero ancora per molto tempo. Mi ha commosso vedere le dediche sui loro libri. “A Jonathan, la mia vita”, “A Nicole”, la mia idea di bello”.

Storia nella storia dunque, proprio come i loro romanzi. Diversi tra loro, come dicevo, ma con il comune tema della memoria.

Ma andiamo con ordine. Nel primo romanzo, “Ogni cosa è illuminata” Jonathan, giovane intellettuale americano, futuro scrittore, pignolo fino all’inverosimile e vegetariano, decide di andare in Ucraina alla scoperta delle proprie radici. Ha solo una fotografia sbiadita con un nome scritto sul retro. Augustine.

Si appoggia ad una agenzia locale, dal nome altisonante, “Odessa Heritage”. L’agenzia è un’impresa famigliare. Il padre organizza, il nonno guida una sgangherata Zigulì, il nipote, figlio del suo tempo e delle tre I (inglese, internet e impresa), tiene i contatti via mail e fa un po’ da interprete. Si fa per dire. Ma questo è uno degli aspetti più divertenti del romanzo, dove i qui pro quo linguistici fanno continuamente sorridere.

Stride il contrasto fra i due mondi, l’occidente sofisticato e la rozzezza ma anche la gran voglia di vivere o meglio rivivere, nella ex-sovietica Ucraina.

Il giovane americano rappresenta il mito vivente agli occhi del giovane ucraino, che in realtà è molto più entusiasta, aperto e vivace dell’aspirante scrittore newyorkese. Ma perché questi non mangia carne? E’ malato, forse? Perché non vuole andare in discoteca?

Sullo sfondo la ferita della storia, la ricerca di indizi, col solo aiuto di una fotografia e di un nome. Il romanzo si sofferma più a lungo sulla storia di uno shtetl, sulla storia immaginata ma documentata degli antenati di Jonathan. Nel film si è preferito concentrarsi più sul presente. In entrambi, film e romanzo, si vivono la nostalgia, i sensi di colpa, si cercano risposte a domande che di risposte non ne potranno mai avere. L’unico che qualche risposta potrebbe darla, e cioè il nonno, non potrà farlo, schiacciato dal peso della storia e della memoria.

Anche ne ”La storia dell’amore” c’è un nonno, un nonno e uno scrittore mancato, forse, e dei nipoti, non necessariamente i suoi, che vogliono aiutare, capire. Anche qui c’è un libro, nella memoria di questo nonno mancato. Pubblicato, mai pubblicato? L’abilità della scrittrice riesce a tenere il lettore col fiato sospeso fino all’ultimo. Non mancano sorprese e colpi di scena.

Anche qui sullo sfondo l’Olocausto. Le domande senza risposta. I libri forse rappresentano i bambini non nati da quelle storie d’amore che avrebbero potuto essere e non sono state.

In entrambi i romanzi la ricerca assillante del passato, il collezionismo maniacale, la volontà di non perdere altri pezzi di memoria.

Difficile capirlo per noi, nati e vissuti non così lontano dove sono nati e vissuti i nostri nonni. Per noi che non abbiamo mai dovuto nascondere la nostra appartenenza a un paese, a una chiesa, a una famiglia. Per noi che non abbiamo mai dovuto scappare. Che abbiamo ancora tanti parenti non troppo lontani che magari ci danno anche un po’ fastidio. Che non ci siamo mai allontanati più di tanto dalle nostra radici. Radici che a volte pesano. Ho sentito un ebreo dire che noi uomini non siamo piante, non abbiamo bisogno di radici. Le radici degli ebrei, ma non solo naturalmente, sono la memoria che coltivano da millenni. La loro fede si basa sulla memoria. Pensiamo alle storie bibliche. Gli ebrei hanno un patrimonio ereditato (Heritage in inglese rende bene quest’idea), ma se lo devono portare dietro. Ho sentito Moni Ovadia dire una volta, perché i musicisti ebrei suonano per lo più il violino? Ma ve lo vedete uno scappare con un pianoforte sulle spalle? Ma ci siamo mai chiesti perché tanti ebrei sono scrittori, e così bravi per giunta? Perché nei loro libri ci sono le loro radici, il loro mondo che non hanno potuto portarsi in esilio. Il loro sacchetto di terra… magari promessa.

Ma torniamo a questi due giovani scrittori. Entrambi sono figli del loro tempo. Hanno probabilmente frequentato scuole di scrittura. Entrambi i romanzi sono gradevolissimi, lingua e tecnica perfette. Ma di romanzi così, scritti a tavolino, magari in società, ce ne sono tanti. Ne ho letti altri. Non hanno lasciato segno. Invece tutte e due queste storie, così diverse ma così belle, hanno qualcosa in più. In tutte le pagine. Umanità, tenerezza e amore. Davvero.

Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata, Ed. Guanda, pp.327, Euro 14,50 - Nicole Krauss, La storia dell'amore, Ed. Guanda, 299 pag., Euro 15,00

Ogni Cosa è illuminata, film, regia di Lijev Schreiber con Elijah Wood.

Cristina Cattaneo

Cristina Cattaneo
Società