DONI O NON DONI: QUESTO È IL PROBLEMA!

Ma intanto Obama e consorte danno l'esempio

La dichiarazione dei coniugi Barak di non donare mai niente di particolare alle loro figlie Malia e Sasha durante compleanni e festività varie, tra cui quelle di Natale, avrà sconvolto non poco i piani commerciali già ampiamente pubblicizzati da TV e giornali che dagli inizi di novembre ti inondano fastidiosamente ogni dieci minuti. Le due ragazzine educate fin d'ora a sani principi del "limite"( non tutto è permesso, non tutto è possibile se si hanno stipendi con cui devi coprire tutte le spese).

Per il resto, Malia e Sasha porteranno a Pennsylvania Avenue(Casa Bianca) il decalogo di regole che scandisce le loro giornate a Chicago. Sono loro a rifarsi i letti, a mettersi la sveglia all'ora giusta per andare a scuola in tempo, a mantenere pulita la zona-giochi e in ordine l'armadio dove si accumulano i loro giocattoli. Si va a letto alle 20,30 - senza eccezioni - e si riceve dai genitori una paghetta settimanale di un dollaro, in cambio del quale aiutano ad apparecchiare o a mettere in ordine la sala da pranzo. L'insieme di calore e disciplina con cui Barack Obama ha guidato la propria campagna elettorale, si ritrova nel ritmo della vita familiare e spiega anche la tradizione di non fare regali di compleanno né di Natale, né in altre feste, perché i genitori hanno voluto insegnare «l'esistenza di limiti» alle figlie. Le due ragazzine vedono poca TV e fanno molte altre attività.

Malia è un'appassionata giocatrice di «soccer», il calcio europeo, oltre ad amare danza e recitazione, mentre a Sasha piace la ginnastica. Entrambe prendono lezioni di tennis e pianoforte ma soprattutto vanno pazze per «andare per mano con il padre» a fare lunghe passeggiate lungo il lago Michigan. Non credo che i due giovani genitori stravolgeranno completamente il loro "modo" di vivere la famiglia. Anzi, come Michelle ha raccontato in una recente intervista vanno spesso ad assistere alle attività delle figlie. Il loro background culturale ha radici profonde. Oltre a Gioacchino da Fiore( per Barak) c'è da ricordare che sono fedeli della United Church of Christ (UCC), una delle chiese protestanti forse meno note ma certamente delle più interessanti degli USA e conoscono molto bene la filosofia del teologo protestante R. Niebuhr.

Per capire meglio:

L'United Church of Christ (UCC), è stata la prima chiesa bianca a consacrare un pastore afroamericano, già nel 1785; la prima ad aprire al pastorato femminile e quindi a consacrare una donna al ministero, nel 1853.

La UCC si costituì formalmente nel 1957 in seguito all'unione di alcune chiese di origine europea e di teologia calvinista, ma la sua radice è molto più remota: undici dei firmatari della Dichiarazione d'Indipendenza (1776) appartenevano a chiese che sarebbero poi confluite nella UCC; inoltre il 10% delle comunità locali che oggi aderiscono alla denominazione si sono costituite prima del 1776.

Membri autorevoli della UCC sono stati il grande teologo Reinhold Niebuhr, e due protagonisti della scena pubblica americana degli anni '60 e '70: il pastore William Sloane Coffin, famoso per il suo impegno sociale e pacifista, e il pastore Andrew Young, dirigente del movimento per i diritti civili prima e ambasciatore degli USA alle Nazioni Unite dopo.

L'UCC è una chiesa di frontiera, assolutamente distante dal conservatorismo etico e politico della destra religiosa prepotentemente in auge negli anni di Bush. Tuttavia non è affatto schierata su un unico versante politico: attualmente, ad esempio, siedono nel congresso dieci parlamentari che sono anche membri della UCC: cinque di loro sono democratici, cinque sono repubblicani(e questo fa capire il perché Barak ha chiesto a Mac Cain di "collaborare" con lui per il bene dell'America):

Rispetto ad altre chiese storiche, la UCC appare una chiesa più "moderna", capace di lanciare vere e proprie campagne di evangelizzazione trasmettendo spot televisivi (è possibile scaricarli dal sito www.ucc.org) e usando tecniche proprie del marketing pubblicitario: "Non mettere mai un punto dove Dio ha messo una virgola", recitava uno slogan lanciato negli scorsi anni. E una piccola virgola rossa era diventata il "logo" di una campagna tesa a dire che la fede non è un punto che chiude perentoriamente un discorso ma una virgola che fa proseguire il ragionamento e il confronto.

Il senatore Barak è membro attivo della Trinity Church di Chicago, una delle 5700 comunità locali che aderiscono alla UCC che, nel complesso, conta un milione e duecentomila fedeli. La UCC riconosce due sacramenti: Battesimo e la Santa Cena.. E in quanto a Barak Obama, più che un musulmano, come era stato accusato di essere, è in realtà un pio calvinista. Tant'è che le "tecniche" del parlare in pubblico le ha proprio imparate nella sua chiesa!

Reinhold Niebuhr (1892-1971) è una figura singolare e interessante. Nel pensiero di Niebuhr, pastore protestante, teologo e filosofo sociale, l'essere cristiani implica sempre un conflitto tra l'uomo religiosamente motivato e le strutture economiche, sociali e politiche: tra "uomo morale e società immorale", come è scritto in un suo libro. Tuttavia per Niebuhr prendere atto di questo conflitto non significa, sposare la causa dell'utopismo sociale. In questo senso, il suo realismo sociale, rappresenta ancora oggi un ottimo antidoto a ogni forma di pericoloso romanticismo politico.

Reinhold Niebuhr nasce nel 1892 a Wright City, nel Missouri, da una famiglia di immigrati tedeschi. Il padre è un pastore luterano. Fin da adolescente manifesta il suo desiderio di abbracciare la vita religiosa. Studia teologia all'Eden Theological Seminary . E dopo aver conseguito nel 1913 il diploma in teologia prosegue gli studi presso la Yale University, dove nel 1915 si laurea Pur essendo portato per la ricerca pura, preferisce accettare l'incarico di pastore a Detroit presso la Bethel Evangelical Church (1915-1928). Viene così a contatto con le durezza della vita operaia, scoprendo bruscamente i limiti del capitalismo . Nel 1928 accetta di insegnare Etica cristiana all'Union Theological Seminary di New York. Inizia a svolgere attività politica, dopo essersi impegnato negli anni precedenti in un'intensa attività pubblicistica. Negli anni Trenta fonda il "Movimento dei cristiani socialisti". Ma guarda con simpatia, nonostante alcune perplessità iniziali, anche al New Deal. E, a poco a poco, si allontana dal socialismo "rivoluzionario". Nel 1941 diviene presidente nazionale dell'Unione di azione democratica, movimento vicino al Partito democratico, partito con il quale inizia a collaborare, ricoprendo incarichi di prestigio e responsabilità. Nel 1952, la salute malferma, lo costringe a sospendere gli impegni politici, pur continuando a insegnare e scrivere. In questo periodo riceve riconoscimenti prestigiosi da parte di università americane e straniere. Muore nel 1971. Niebuhr pone un problema fondamentale: l'uomo va educato alla libertà? E, se sì, quale può essere il ruolo del potere in questo processo?

A questa domanda egli risponde negativamente. A suo avviso il potere va suddiviso e imbrigliato: perché ogni forma di costrizione, che non provenga dal basso, e magari anche a"fin di bene" (come la stessa educazione "obbligatoria" alla "libertà" teorizzata dai liberali) rischia di avere implicazioni totalitarie.

Per quale ragione?

Perché l'educazione dall'alto, può dare frutti solo se riguarda l'individuo preso singolarmente. Mentre non ne può dare, se concerne il rapporto tra individuo e gruppi sociali (in particolare quelli economici e politici). Perché si tratta di un rapporto segnato, soprattutto nella società moderna, da una evidente sproporzione delle forze in campo. Perciò un individuo può anche essere "educato" alla libertà, ma, ad esempio, una volta "immesso nel circuito produttivo" scopre , e subisce, "differenze sociali", spesso ingiustificabili. E così finisce regolarmente per restare prigioniero di un enorme squilibrio di potere (come nella Detroit degli anni Venti, vennero a trovarsi i singoli operai, privi di rappresentanze collettive sindacali). E magari vittima di pulsioni anarcoidi e distruttive. Pertanto il problema concerne la distribuzione del potere del sociale. Prima dell'educazione, che comunque è importante, viene l'equa divisione del potere politico ed economico , affinché anche gli individui socialmente deboli possano finalmente essere "giustamente" rappresentati da un gruppo sociale specifico e dotato di sufficiente potere contrattuale. Secondo Niebuhr, le società non si reggono sull'amore o sul puro altruismo individuale, ma dipendono principalmente dalla giusta (non perfetta…) distribuzione del potere sociale: scopo che si può conseguire puntando sulla sussidiarietà e sulla rappresentanza contrattata degli interessi. Se, per esempio, la società è immorale (perché il potere è gestito da ristrette oligarchie) anche l'uomo morale è destinato, prima o poi, a divenire immorale (perché comunque, pena l'isolamento totale o la morte per inedia, sarà in qualche modo costretto a servire le élite del potere…). Di qui la necessità di una riforma in senso pluralistico e democratico della società moderna( Cfr.:Reinhold Niebuhr, Moral Man and Immoral Society. A Study in Ethics and Politics, 1932, trad. it. Jaca Book, Milano 1968; Does Civilization Need Religion? A Study in the Social Resources and Limitations of Religion in Modern Life ,The Macmillan Co., New York 1927), nonché Giovanni Dessì, Niebuhr. Antropologia cristiana e democrazia, Edizioni Studium, Roma 1993 ( www.edizionistudium.it); Massimo Rubboli, Politica religione negli USA. Reinhold Niebuhr e il suo tempo, Angeli, Milano 1986 ( www.francoangeli.it) .

Il dono

Nella cultura odierna si tende spesso a parlare di una logica del "dono", a proposito e a sproposito. Si usa il termine quando si fa riferimento alla solidarietà sociale, al volontariato, ma anche all'interno dei dibattiti bioetici talora entra la logica o la retorica del dono. Il termine latino (donum) richiama l'atto del "dare" e i filosofi di lingua latina - riprendendo Aristotele - definiscono il dono come una "irreddibilis datio", cioè qualcosa (o qualcuno) che è dato (o si è donato) senza possibilità di revoca: è questo che distingue il dono dal prestito. Una seconda caratteristica è che il dono non deve prevedere un contraccambio ("do ut des"), perché in tal caso avremmo uno scambio. Questo non significa che - soprattutto nelle relazioni di amicizia - non possa esservi una reciprocità del dono (anzi, questo propriamente qualifica le relazioni di amicizia), ma l'elemento essenziale che qualifica il dono come tale è che non vi sia un contraccambio previsto e voluto nell'atto stesso del dare (il "do ut des", appunto). È del tutto irrilevante che tale contraccambio si configuri come un compenso di tipo economico (denaro), uno scambio di beni materiali (baratto), uno scambio di favori, o anche una sottile gratificazione di tipo emotivo, prevista, voluta e cercata come tale nel momento in cui si compie l'atto di donare qualcosa.

Il dono può avvenire sia nell'orizzonte delle realtà materiali, sia in quello delle realtà spirituali, anche se in qualche modo - per gli uomini - queste due dimensioni si intrecciano sempre. Nel caso del dono di qualcosa di materiale (un oggetto o il suo surrogato sociale, cioè il denaro) o di connesso al mondo materiale (come il tempo, che è la misura del divenire delle cose materiali), all'idea del dono è collegata quella della "perdita" del bene materiale, che per questo viene chiamato "irreddibilis", nel senso che non deve essere restituito, a differenza del prestito. Si può osservare, però, come ciò non avvenga quando il dono riguardi i beni spirituali, come il frutto degli atti della conoscenza e della volontà. Quando - per esempio - si comunica un'idea, un concetto, magari frutto di una faticosa elaborazione intellettuale, propria e della cultura a cui si appartiene, certamente si fa un "dono" a coloro che lo ricevono, ma non per questo colui che dona si priva anche dell'idea che ha comunicato: essa, di fatto, non si cancella dalla mente di chi l'ha comunicata per "trasmigrare" in quelle di coloro che l'hanno appresa, anzi avviene esattamente il contrario. Nella comunicazione intellettuale umana - infatti - il comunicare un'idea significa anche essere "costretti" a riformularla interiormente, a "spiegarla" meglio prima di tutto a se stessi e quindi a possederla meglio nel momento stesso in cui la si comunica (la si dona). Ancora più significativo poi è il fatto che chi riceve il dono di un bene intellettuale non lo accoglie come un oggetto materiale, ma - a sua volta - nel "farlo proprio" lo rigenera nella propria mente, lo riformula e può "restituire" a chi glielo ha trasmesso un feed-back che a sua volta arricchisce la mente di tutti.

Nella nostra tradizione culturale dell'Occidente cristiano il tema del "dono" ha anche una fortissima valenza teologica, perché da un lato qualifica una delle divine Persone nella SS. Trinità (lo Spirito Santo, il cui "nome proprio" è esattamente "donum"]) e dall'altro lato indica diverse tipologie di "doni" divini fatti agli uomini: la grazia e i cosiddetti "doni dello Spirito Santo" (Sapienza, Intelletto, Scienza, Consiglio, Fortezza, Pietà, Timor di Dio), che sono dati agli uomini perché possano vivere la vita soprannaturale elevando le potenze naturali della dimensione spirituale. La riflessione sugli aspetti teologici della dimensione del dono aiuta a coglierne nella sua purezza la dimensione concettualmente qualificante, ovvero quella della "gratuità": Dio, nel donare se stesso agli uomini non si aspetta un "contraccambio", o meglio non nel senso che ha qualcosa da guadagnare (o da perdere) in rapporto al suo essere Dio. Evidentemente però il dono di sé operato nella logica dell'amicizia attende (e chiede) una reciprocità, che si colloca - come si è detto - non tanto nell'ordine della giustizia (contraccambio) ma in quello dell'amore corrisposto.

Sul piano sociologico si tende oggi a parlare di "cultura della solidarietà", alludendo sia ai sistemi di welfare di cui gli Stati devono farsi carico, sia all'azione delle associazioni di volontariato che in qualche modo si fanno portatrici di una cultura della solidarietà più legata alla logica del "dono" che non a quella del "diritto sociale". In questo caso è necessario mantenere una corretta distinzione tra ciò che è in qualche modo "socialmente dovuto" (il cui ambito tende a crescere e definirsi meglio nel corso dei secoli) e ciò che rappresenta un supplemento di cultura della solidarietà di cui si fanno carico organizzazioni dedite alla testimonianza di una solidarietà operosa.

Sul piano economico, invece, si è introdotto il "Terzo settore" (il primo è lo Stato, il secondo è il mercato), per indicare una pluralità di soggetti che operano avendo come fine né quello di rendere un pubblico servizio socialmente "dovuto" (come è compito dello Stato e della pubblica amministrazione in genere), né quello di operare al fine di ottenere un lecito profitto (che è il ruolo del mercato).

Il dono della vita e la vita come dono

La vita stessa é un dono, un "bene" da apprezzare, valorizzare, difendere. Il tema può essere declinato almeno a tre livelli:

 a livello teoretico: che cosa è la "vita", sul piano metafisico e valoriale, e che cosa significa considerarla un "bene" e in che senso può essere considerata un "dono",

 a livello esistenziale: come ciascuno di noi considera la "propria" vita, in che senso le attribuiamo un valore, in vista di che cosa, con quali progetti, con quali scelte?

 a livello sociale: nessun uomo è un'isola, in che senso la vita di ogni altra persona è un "dono" per ciascuno di noi e per la società tutta? In che senso ogni nuova vita che si affaccia all'esistenza può essere considerata un dono?

Il dono del tempo ed il tempo come dono

Oggi, viviamo in una società sempre più frenetica, caotica e convulsa in cui è difficile trovare il tempo per ciò che conta, per se stessi, per la propria vita interiore, per le relazioni più importanti e significative. Talora si parla di "dono del tempo", soprattutto a proposito dell'attività di volontariato, ma anche questo dono del tempo può essere inteso in termini molto "materiali" (vi è chi addirittura ha inventato la "banca del tempo") in una logica di scambio o comunque come un modo per sentirsi utili e riempire un proprio vuoto. In realtà è possibile concepire il dono del tempo se, in radice, si riesce a concepire il tempo stesso (quello che ci è dato di vivere, quello che gli altri ci dedicano, ecc.) come un dono, dotato di senso e di valore.

Maria de Falco Marotta

Maria de Falco Marotta
Società