TUTTO CHIARO A CAPORETTO. ... OPPURE NO ..?

Di chi le responsabilità del disastro?

Non tutti lo sanno, altri preferiscono “dimenticarlo” ma, prima dell’indipendenza slovena, conquistata armi alla mano (ma per fortuna con poco sangue) contro le forze di Belgrado, l’argomento Grande Guerra era pressoché tabù a Caporetto come, del resto, in ogni terra jugoslava. Per cui in quella minuscola cittadina, il cui nome -per noi italiani- ha un suono ancor oggi sinistro, nulla ricordava gli anni tra il 1914 ed il 1919, gli Anni di ferro della Prima Guerra Mondiale. Anni in cui le rive di quello splendido fiume che è l’Isonzo (Soca, in sloveno) specchiavano non bagnanti e canoisti, come oggi, ma soldati a centinaia di migliaia.

Come ho detto molti hanno preferito “rimuovere” il ricordo della guerra nell’ex Jugoslavia, ricordo di un avvenimento che ha messo in crisi molte ideologie che, ancora oggi, vanno per la maggiore. Per cui lo strano silenzio ufficiale, su avvenimenti tanto importanti, non viene ancor oggi ricordato o spiegato.

Ma, proprio per questo, vale la pena di rammentarlo, anche per meglio comprendere le vicende jugoslave, sia legate alla Grande Guerra che successive.

Se la Serbia fu una degli attori principali del Primo Conflitto Mondiale nel campo dell’Intesa, non si può dire lo stesso della più parte degli altri popoli dell’ex Jugoslavia. Sloveni, Croati e, in larga parte pure i Bosniaci specie di etnia croata o mussulmana, combatterono, sin quasi agli ultimi giorni, con assoluta fedeltà nelle file imperial-regie. Del resto parecchi dei massimi Ufficiali di quel secolare esercito erano proprio di etnia croata, qualcuno persino serba (della Krajna).

Quanto ai Macedoni, da poco “annessi” alla Serbia, pare accogliessero, almeno all’inizio, i Bulgari, alleati di Tedeschi ed Asburgici, come liberatori.

Insomma molti combatterono e bene, molto bene, “dall’altra parte”.

Ovvio che tutto ciò, a Belgrado, che voleva accreditare la versione di aver combattuto per liberare i fratelli di sangue dal giogo austriaco, garbava poco. Per cui si preferiva coprire il tutto con un pesante velo di oblio e silenzio.

La cosa non è senza importanza anche sul piano storiografico: bisogna infatti tener conto che ciò che fu scritto nell’ex Jugoslavia, non molto, su queste vicende rifletteva più il punto di vista serbo che sloveno o croato. Per di più, dopo il 2° Conflitto Mondiale, tutto fu rivisto in pretta salsa marxista, con risultati alquanto unilaterali.

Dopo l’Indipendenz slovena un gruppo di amici, appassionati della Grande Guerra, con qualche appoggio locale, riuscì, in breve tempo, ad organizzare, a Caporetto (in sloveno Kobarid) uno splendido museo, probabilmente tra i più belli ed equilibrati delle Alpi. Non certo esaltante la guerra ma neppure piegato a quel pacifismo, sovente solo di facciata, che domina spesso da noi.

Un museo che voleva – e vi è riuscito – esaltare l’umanità ma pure il coraggio, facendo rilevare il volto orrido della guerra ma senza retorica e riconoscendo che, al tempo, le cose si vedevano sotto un’angolatura sovente diversa dai tempi attuali.

Ecco perchè il Kobariski Muzej, il Museo di Caporetto è oggi tra i più visitati ed apprezzati tra quelli dedicati alla Grande Guerra.

Noi ci recammo a Caporetto poco dopo l’indipendenza slovena, sull’onda dell’interesse e dell’entusiasmo per questo piccolo popolo che aveva conquistato, dopo secoli, la sua indipendenza.

Ad un certo punto ci apparve una piramide rocciosa. Il Monte Nero! Era difficile non pensare a quella struggente canzone degli Alpini “...Monte Nero, Monte Nero, traditor della vita mia ...”.

Chi, come me è nato nel 1947 ha fatto in tempo a conoscere i reduci di quel conflitto, ad interrogali, a raccogliere i loro ricordi. E quelle parole, quella musica allora risuonano con ben diversa forza di quanto può apparire oggi.

A Caporetto, tra visite storiche, escursioni, mangiate di ottimo pesce (la cittadina era – ed è – giustamente famosa, pure in Italia, per i suoi ristoranti) scoprimmo una grande intesa con quel gruppo di Amici che aveva messo su il Museo.

Tornammo più e più volte a Caporetto, in estate ed inverno, per approfondire e camminare.

Ogni volta scoprendo qualcosa, ammirando i restauri effettuati ed i progetti futuri degli Amici, salimmo al Monte Nero, battemmo ogni angolo della Valle dell’Isonzo, carte alla mano, cercando di ricostruire non solo la Battaglia di Caporetto ma pure gli avvenimenti precedenti.

Eppure... eppure più visitavo quelle valli, più salivo quelle montagne, più percorrevo strade e trincee, più mi assaliva una sensazione d’insoddisfazione, quasi di malessere. Qualcosa non mi tornava. Ogni volta meno convinto che, nel 1917, le cose fossero andate come scritto dai libri di storia.

Già, i libri di storia!

Ma cosa scrivono i libri di storia, su Caporetto?

Lasciamo in pace quelli di tipo scolastico: non fanno che ripetere, in genere in modo approssimato, la vulgata più alla moda nel momento.

E lasciamo pure da parte ciò che è stato scritto da giornalisti, sovente in gamba ma certo non storici, che hanno banalizzato, secondo l’uso dei quotidiani e dei periodici, la storia. Anche il loro apporto non ha fatto altro che confondere le idee, senza nulla aggiungere di veramente nuovo.

Basiamoci invece su “quelli che c’erano”, Generali italiani, tedeschi (i veri artefici della Battaglia) od austriaci. E su quanto scritto dagli storici, quelli veri.

Salta all’occhio come anche molti di loro fossero un po’ in difficoltà a spiegare i fatti, l’incredibile “cedimento” del Regio Esercito che pure aveva sopportato (ed in genere bene) ben altre prove.

C’è che invoca la durezza di Cadorna, per comprendere una sorta di stanchezza della 2° Armata. In fondo l’altra faccia della versione del famoso bollettino proprio di Cadorna, che bollava di codardia i reparti che “avevano mollato”.

Ma altri sostengono esattamente il contrario. E devo dire che le voci raccolte a Caporetto, almeno in parte, confermano. Sulla Prima Linea le truppe resistettero con valore, con molto valore. A sbandarsi furono sopratutto i reparti di seconda e terza linea ed, ancor di più, i reparti non combattenti delle retrovie: furono loro, assieme ai profughi civili, ad intasare le strade, impedendo spesso una ritirata ordinata.

Altri ancora affermano che il Piano d’Attacco fu geniale, molto geniale e che questo spiegherebbe il nostro crollo. Che i tedeschi ci sapessero fare, quanto a tattica e strategia, nessun dubbio. Ma, in fondo, almeno a Plezzo (Bovec, in sloveno), non vi fu che un tremendo bombardamento a gas, nulla di veramente originale, tanto più che già sul Carso i nostri ne avevano provato gli effetti. Per non parlare di francesi, inglesi e degli stessi germanici, sul fronte occidentale franco-belga. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole!

E poi perchè le seconde linee mollarono di schianto? Mal comandate, dice qualcuno. Stanche, ribatte un altro. Tutto vero ma ... perchè le truppe della stessa 2° Armata, schierate sulla Bainsizza, non mollarono affatto, pur provate e stanche pure loro, riuscendo a ritirarsi in relativo ordine, almeno sino al Tagliamento? E la 3° Armata? Se avesse ceduto, sul Piave non ci sarebbe stato nessuno a fermare gli austro-tedeschi. Ma la 3° Armata, pur dopo una tremenda ritirata alle spalle, non mollò. E fermò il nemico. Come mai? Il Duca d’Aosta – ribatte qualcuno – comandava meglio la sua Armata. Forse è vero, certo pare fosse più popolare. Ma non era certo affatto tenero con chi cedeva, né più né meno come nella contigua 2° Armata. Nessuna meraviglia, del resto: ai tempi si usava così e non certo solo nel Regio Esercito. L’Armèe fece di peggio, di fronte agli ammutinamenti nel 1917.

E poi tutto si può dire salvo che la 3° Armata fosse fresca e riposata: era da due anni e mezzo che si sfiancava, con risultati sovente molto relativi, sul Carso. Basta il nome!

Non poteva essere in migliori condizioni dell’Armata contigua.

Ed allora, ci si potrebbe chiedere, se si fosse trattato solo di stanchezza, di sfiducia, di una sorda rivolta contro Cadorna ed i suoi Generali, perchè a Caporetto sì e sulla Bainsizza ed ancor più sul Carso no?

Difficile e terribile quesito.

Ma andiamo avanti.

Delle responsabilità del Generale Badoglio, molti hanno parlato. Certo la figura di questo uomo tra il militare ed il politico lascia molti dubbi. Basti pensare alla sua carriera, non certo usuale nel Regio Esercito. Capitano, nell’11, in Libia, è già Tenente Colonnello all’inizio della Grande Guerra. Ma è successivamente che il cursus honorum diviene tanto rapido dall’essere persino imbarazzante. Nel ’16, da Colonnello, guida il vittorioso attacco al Sabotino. Da questo momento, come ricorda nel 1930 la stessa Enciclopedia Italiana, guadagna ben 7 (sette!) Promozioni per Meriti di Guerra. Colonnello l’agosto del ’16, nell’ottobre dell’anno successivo comanda un Corpo d’Armata. Proprio quel XXVII la cui azione (...o meglio inazione ...) face – e fa ancor oggi – tanto discutere. Nonostante ciò divenne il vice di Diaz e, nel ’19, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito... e sorvoliamo sulle vicende successive.

Tutto merito suo, tutto “guadagnato sul campo”, oppure vi era chi “spingeva” da dietro, “coprendolo” persino di fronte alla Commissione d’Inchiesta su Caporetto? E, se si, chi e perché? Sta di fatto che molti sostengono fosse irreperibile all’inizio della Battaglia. Sarà poi vero ciò che dice una vulgata locale che passò la fatidica notte ad un appuntamento galante con una bella slovena? E perchè diede il non meno esiziale ordine, in seguito al quale le artiglierie, numerose e potenti, del suo Corpo d’Armata non spararono, proprio nel momento del bisogno?

Ancora c’è chi dà tutte le colpe a Cadorna, altri hanno invece crocifisso Capello, il Generale geniale ma ambizioso che era al comando della sfortunata 2° Armata, che avrebbe creduto di poter contrattaccare, non rispettando gli ordini di Cadorna.

Ambedue si sono difesi, anche con credibili affermazioni, in parte accusando l’altro, in parte portando tutta una messe di dati inconfutabili.

Questo è il punto, forse troppi dati, troppe ragioni.

Leggendo la Relazione Ufficiale Italiana, pubblicata nel 1967, ben cinquant’anni dopo i fatti, sono stato assalito dallo stesso malessere provato a Caporetto. Cosa è REALMENTE successo ... perchè tanti studi e poche vere conclusioni, sopratutto conclusioni che si perdono in una lunghissima, anche se dettagliatissima, narrazione?

Le truppe hanno mollato o no? Cadorna era una macellaio o faceva solo ciò che tutti gli altri eseguivano, dalla Somme alla Polonia? Perchè la 2° Armata si è mezzo sfasciata e la 3° no? Come potevano tedeschi ed austriaci solo immaginare che le artiglierie di Badoglio NON avrebbero fatto fuoco?

Domande, domande.

Talmente tante domande che addirittura c’è chi ha iniziato a pensare che vi fu tradimento, oppure, ancor più incredibile, che forse furono gli italiani stessi a volersi ritirare, oramai convinti che, sull’Isonzo, non vi fosse più nulla da fare. Idea da far tremare i polsi, è vero, ma in tali situazioni, le cose più assurde non possono forse divenire realtà ..?

Resta il fatto che i nostri Comandi sapevano, sapevano tutto.

I disertori, sempre numerosi, specie in un esercito multinazionale come quello asburgico, ove i vari popoli oramai iniziavano ad agitarsi, avevano portato informazioni dettagliate.

Del resto, bisogna vedere per credere. La valle dell’Isonzo è certo bella e pittoresca ma ampia e larga certo no, salvo in pochi punti. Dalle vette – e molte erano in mani italiane – si vede ogni cosa, sull’opposto versante e verso le retrovie. La conca di Plezzo era dominata, d’ambo le parti, dalle nostre trincee. La Testa di Ponte di Tolmino, da cui partì l’attacco che raggiunse Caporetto e da dove iniziò la sua incredibile marcia il Tenente Rommel (sì, proprio lui, la Volpe del deserto ...) è completamente dominata dalla costiera del Kolovrat. Proprio la montagna ove erano le possenti artiglierie di Badoglio. Possibile che gli osservatori non avessero notato nulla? Non solo è impossibile ma sappiamo che gli italiani erano effettivamente sul chi vive. Informati e sul chi vive! Eppure gli austro-tedeschi sfondarono ugualmente. Senza bombardamenti a tappeto o carri armati!

Ancora qualcuno osserva: “ era brutto tempo, nebbie, pioggerellina ... i nostri non videro nulla ...”. Verissimo ma due domande s’impongono.

Primo, come facevano, gli austro-tedeschi, a prevedere in anticipo che fosse brutto, tanto brutto e sopratutto tanto nebbioso? Al tempo le previsioni meteo non erano quelle odierne. Che sbagliano pure loro. E se un colpo di vento avesse spazzato il cielo e le nostre artiglierie, sparando a tappeto, avessero fatto un macello (come fu per la Battaglia del Piave)? Possibile che un piano di tal portata, non un’incursione di pattuglie si basasse sulla nebbia?

Ed ancora, i nostri erano in quelle posizioni da quasi 30 mesi, conoscevano benissimo gli obbiettivi e che, ad ottobre, vi fosse nebbia e brutto, non poteva certo essere una novità. Possibile che nessuno ci avesse pensato, vi avesse posto rimedio? Per di più di fronte ad un attacco annunciato ed pressoché sicuro?

Altri tremendi quesiti, tremendi poiché ci si rende conto che anche le teorie più ardite, più incredibili, potrebbero avere un fondo di realtà, forse sono meno assurde di quanto sembri.

Ma allora ... allora forse non tutto è stato ancora chiarito, forse vi sono argomenti, magari accennati, che non sono stati sviscerati a fondo.

Ed allora, invece di addentrarci subito in una lunga trattazione teorica, abbiamo deciso di tornare a Caporetto/Kobarid, vogliamo ripercorrere passo a passo la cavalcata del tenente Rommel, per verificare, capire come mai lui ed i suoi uomini fossero così sicuri di raggiungere il lontano Matajur, pur tra mille possibili ostacoli e tra forze avversarie di gran lunga superiori.

Vogliamo ripercorrere le linee ove si verificarono i primi sfondamenti, vedere se, in effetti, la Stretta di Saga, se difesa, avrebbe arrestato gli avversari irrompenti da Plezzo oppure no.

Poi trarremo qualche conclusione e – forse – azzarderemo delle ipotesi.

Ma non illudiamoci, il velo non sarà mai realmente squarciato, se vi fu, come molti credono – e noi anche, inutile negarlo – chi ebbe interesse a “cambiare le carte in tavola” non sarà certo in Italia che troveremo delle vere risposte.

Ma solo porre altre domande, insinuare dei dubbi, sarà già qualcosa.

Nemo Canetta

Nemo Canetta
Società