Le parole e la loro vita segreta

La vita è fatta di silenzi e parole.

Forse.

In un mondo tanto rumoroso ed assordante, che prevarica con le sue oscene immagini i nostri pensieri, che fa “silenzio” sugli oltraggi ai nostri tanto simili sparsi in questo ormai troppo piccolo villaggio che è il pianeta, che “grida” sulle porcate politiche dei grandi del potere, che dimentica così facilmente gli orrori come la guerra fratricida nei Balcani, venuta a galla occasionalmente per la morte del boia Milosovic( primi di marzo 2006), il film "La vita segreta delle parole" (2005)di Isabel Coixet, presentato fuori concorso alla 62ma Mostra di Venezia nella sezione 'Orizzonti' ed ora in circolazione in Italia, Svizzera, Germania, Giappone e Stati Uniti, oltre che in DVD, ospite del Festival di Sarajevo la prossima estate, aggiudicatosi 4 premi Goya (miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale, miglior direttore di produzione, massimo riconoscimento del cinema spagnolo, paragonabile all’Oscar), ci richiama con imprevedibile forza a riesaminare il grosso problema dell’intangibilità della persona e. di conseguenza, gli orrori che sono tuttora perpretati sulle donne da sempre, assieme ai bambini, i soggetti più deboli, specie nelle spaventose guerre, il seme di Caino tanto difficile da estirpare.

Il film La vita segreta delle parole

Il film è incentrato sul suono della verità e sul silenzio, quel silenzio fatto di costrizione, di vergogna, di dolore. Perché le parole a volte non bastano a dire un segreto di cui non ci si riesce a liberare, spesso è meglio far parlare il proprio corpo, i suoi segni, le sue cicatrici indelebili.

Parole sottovoce intercalate da mutismi ben più eloquenti si rivelano, quindi, i veri protagonisti della pellicola.

Hanna è una ragazza sorda, che vive i suoi giorni in una solitaria routine, fra quintali di saponette alla mandorla e cibo in scatola della mensa lavorativa. Efficienza e seria professionalità sembrano essere i connotati salienti di questa biondina dal volto perennemente triste ed impenetrabile, cui un giorno viene addirittura ordinato di andare in ferie, per almeno un mese; proprio a lei, che non ha mai fatto neanche un giorno d'assenza. Hanna va in “vacanza”, ma su di una piattaforma petrolifera sperduta nell'oceano per accudire e curare Joseph, un uomo rimasto gravemente ustionato a causa di un'esplosione. Fra i due si instaura giorno per giorno un legame sempre più profondo, speciale, insolito a cominciare dal fatto che lei non può sentire, ma ascolta attraverso un apparecchio acustico, che spegne quando decide di estraniarsi da ciò che la circonda. Lui, del resto, non può vedere, eppure tenta di farlo in ogni modo possibile, servendosi di sensi ed immaginazione. Sembra quasi che la regista voglia indirizzare lo spettatore a cercare nei due handicap, in quel binomio di dolore e malattia a cui fa da sfondo una macabra solitudine, l'unica via di salvezza per due anime apparentemente perse: è soltanto dall'affrontare le proprie paure, angosce, sofferenze più profonde che si riesce a risalire alla superficie di se stessi. E a partire da quel preciso istante, seppur con molta fatica, si può ricominciare a vivere.

Tim Robbins(Joseph) si distingue per la sua interpretazione toccante quanto professionalmente impeccabile: dopo La guerra dei mondi, e Mystic River , sa trasmettere emozioni e sentimenti con una sola espressione facciale, così come riesce a strappare risate amare con battute che testimoniano ancora una volta l'efficacia di una sceneggiatura mai logorante né noiosa, firmata dalla regista stessa che dimostra grande maestria nel riesumare la tragedia dei Balcani per poi rielaborarla artisticamente senza mai scadere nella facile morale del lutto.

Di grande originalità anche l'interpretazione impregnata di mistero di Sarah Polley, apprezzata già nel L'alba dei morti viventi"o nel più recente Non bussare alla mia porta e di Javier Camara, visto ne La Mala Education, che qui interpreta il cuoco di bordo, simpatico quanto estroso, che cucina ogni giorno al ritmo di musiche provenienti da quei paesi di cui prepara i piatti tipici.

Il resto del cast, in cui spicca Julie Christie che interpreta Inge Genefke, la neurologa che ha fondato in Danimarca l'istituto per il recupero delle vittime della violenza (ed ora è in azione con il suo staff a Guantanamo), nei panni della custode della vergogna dei sopravvissuti, contribuisce a portare sul grande schermo le molteplici tematiche affrontate, a volte solo con accenni simbolici, in questa pellicola prodotta da Almodòvar : malattia, guerra, violenza, speranza, ideali (insuperabili le battute di saggia ecologia da parte dell'oceanografo conta- onde) testimonianza, colpa, amore, nostalgia, rimorso, paura, angoscia, memoria… tutti in fondo riassumibili nell'eterna lotta fra passato e presente, in cui il passato è un'ombra scomoda che ritorna costantemente ad incrudelire un presente che pare impossibile fin quando il proprio doloroso segreto non viene finalmente condiviso. Perché a volte la sofferenza sembra vivere di vita propria: è questa, la vita segreta delle parole.

La regista Isabel Coixet.

Dopo la laurea in Storia all'Università di Barcellona, lavora per un periodo come giornalista nella rivista 'Fotogramas'. Nel 1988 debutta come regista con il suo primo lungometraggio "Troppo vecchio per morire giovane"(1995) a cui segue "Le cose che non ti ho mai detto"(1998), apprezzato sia dalla critica che dal pubblico. Nel 2003 è la volta di "La mia vita senza me" (2003) con cui ha ottenuto alcuni riconoscimenti. Ha poi realizzato "La vita segreta delle parole" (2005) presentato fuori concorso alla 62ma Mostra di Venezia nella sezione 'Orizzonti' .

E’ esperta anche di pubblicità, avendo lavorato in questo settore.

Il suo film é un’elaborazione controllatissima sulla violenza contro le donne nelle recenti guerre, immagini che non si vorrebbero vedere e che non si possono ricreare al cinema. Ma Isabel di queste violenze ha sentito parlare a lungo nei documentari che ha girato nei Balcani, ore e ore di registrazione e la sua mente si è riempita di parole, oltre che di immagini. Le parole e il silenzio a volte sono deflagranti come avvenimenti, questo ha imparato da quegli incontri e con questi due elementi principali ha costruito un film magistrale per composizione e recitazione che piacerà a chi ha voglia di pensare che la vita si può anche migliorare.

Basta l’amore.

DOMANDE & RISPOSTE

Dall’incontro con la regista catalana Isabel Coixet alla Casa del Cinema di Roma, in occasione della presentazione del suo ultimo film, La vita segreta delle parole, emerge una riflessione dettagliata sull’esistenza umana, modificata nel profondo dall’esperienza della Guerra (Cfr. quotidiani marzo 2006).

- Come mai ha sentito l’esigenza di ricordare una Guerra così atrocemente dimenticata come quella dei Balcani?

Nel periodo della Guerra dei Balcani io ero molto preoccupata, anzi ossessionata dalla questione. Lavoravo a Milano all’epoca e stavo realizzando uno spot per il Mulino Bianco… All’aeroporto di Linate ho letto l’annuncio di un volo per Sarajevo e mi sono detta: perchè non faccio qualcosa, perchè non vado? Me lo sono ripetuto tante volte ma non ci sono mai andata, non ho fatto mai niente. Da quel momento però ho raccolto il maggior numero di notizie e informazioni possibili, poi ho girato un documentario per l’IRCT (The International Rehabilitation Council for Torture Victims) ed ho avuto l’occasione di intervistare molte donne di Sarajevo, che mi hanno indotta a conoscere il dramma femminile di quella realtà. E’ necessario parlarne. Non racconto il contesto bellico e sociale, ma l’atrocità che improvvisamente si abbatte su due donne.

Hanna, la protagonista, è muta e misteriosa, però tiene inchiodati sulla sedia fino a quando non rivela il suo segreto…

Ho conosciuto molte donne che hanno vissuto cose ben peggiori di quelle raccontate nel film e ciò che mi ha sempre sorpreso e che più mi meraviglia, conoscendo storie diverse, è che le persone sopravvivono a queste esperienze, alcune addirittura mantenendo la gioia, altre invece sono morte dentro, vivono ogni cosa esterna come una minaccia…Per me è stata una grande sfida presentare un personaggio di cui non si sa nulla per tutto il film, eppure lo spettatore vuole conoscerlo, vuole intendere qual è il suo passato… A Sarah Polley(Hanna), va il merito di esprimere l’emotività di un personaggio chiuso nel silenzio e nel dolore dei ricordi.

- I suoi films sono sempre così duri?

Molte persone dicono che i miei film sono forti, ma secondo me penso che le vittime di queste torture hanno bisogno di giustizia, ed hanno bisogno di sapere che l’amore esiste, perché forse è l’unica cosa che può riscattarle dal dolore, l’unica cosa che può farle sopravvivere. Le donne che hanno vissuto esperienze simili si sono crudelmente identificate.

- Perchè il film è ambientato su una piattaforma petrolifera?

Questo è un luogo affascinante e irreale, un non luogo. Anni prima avevo girato in Cile un documentario su una piattaforma petrolifera, da quel momento non c’è stato giorno in cui non ho pensato di girarci un film. Per me rappresenta un posto dove difficilmente riuscirei a vivere, però ogni tanto penso anche che mi piacerebbe fuggire in un luogo isolato, dove la realtà non ti possa seguire. La realtà in ogni caso ti raggiunge e la piattaforma è vista proprio come metafora dell’impossibilità di fuga. L’uomo può nascondersi ovunque ma non lascerà mai quello che porta dentro, nel suo cuore.

- Il suo è un film universale?

Io sono di Barcellona e credo che capire cosa succede altrove non si può, solo la gente che vive nel posto riesce a capire cosa sta succedendo; ci può essere un’empatia per le situazioni, ci si può interessare ad una storia. La storia che mi interessava è quella di queste due ragazze che sono in macchina e cantano La dolce vita e improvvisamente il mondo crolla loro addosso, rimangono intrappolate in una situazione che non hanno determinato loro(sono stuprate animalescamente e quelli che lo fanno, chiedono in un mormorio indistinto, “scusa”). Questa è una cosa che può succedere a tutti e dovunque. Perchè da fuori è molto facile giudicare, hanno ragione i serbi, i croati, ma quello che mi interessava era il dramma di queste due donne che rimangono intrappolate in una tragedia che non hanno determinato loro, che le coinvolge per sempre.

- Qual’è il significato e il valore che viene dato alla parola, visto che la protagonista non parla per quasi tutto il film?

Tutti ci difendiamo in un modo o nell’altro dal mondo esterno, Joseph lo fa con l’ironia, con le battute, con il cinismo, Hanna lo fa con il silenzio. Mi ricordo che mentre giravamo il documentario a Sarajevo eravamo accompagnati da una persona che ci aiutava a comunicare con gli abitanti del luogo; intervistammo un uomo che non parlava da sei anni, non era mai uscito di casa, perchè nessuno gli aveva mai chiesto che cosa gli fosse accaduto. Una volta arrivati in casa sua, dopo cinque minuti di silenzio cominciò a raccontarci la sua storia e da quel momento fu una valanga di parole, non smise più di esporci date e sentimenti che per la prima volta qualcuno gli chiedeva di esternare. A volte il silenzio è più eloquente delle parole. Però deve esserci una luce verde alla fine del tunnel, come ne Il grande Gatsby, cerco sempre di non fare dei documentari ma dei film dove mostro come vorrei che fossero le cose. Anche se il finale del film prevede un riscatto, i fantasmi di Hanna torneranno di tanto in tanto e ripenserà a ciò che è successo. Penso che bisogna sempre oscillare tra ciò che vuoi che siano i tuoi personaggi e la realtà, la realtà deve essere sempre presente, ma insieme a qualcosa di diverso, di altro.

I silenzi, l’isolamento dei personaggi, hanno una grande importanza nel film. Per Hanna sono una forma di difesa. Così come il cinismo lo è per lui. Io volevo creare una intimità particolare, alienata, che abbattesse quei muri. Volevo che il mutismo si trasformasse in un fiume di parole.

Le due figure femminili, interpretate da Sarah Polley e Julie Christie, sono molto coraggiose.

Julie interpreta Inge Genefke, una dottoressa danese tra i fondatori dell'IRCT, che si dedica da vent’anni alla riabilitazione dei torturati e alla battaglia politica contro la tortura stessa. Una donna straordinaria, che recentemente ha lavorato su Abu Grahib e Guantanamo. Ho voluto inserirla nel film perché finché vi saranno donne come lei, il mondo avrà la speranza di diventare migliore.

SCHEDA DEL FILM

La vita segreta delle parole

Titolo originale: La vida secreta de las palabras

Nazione: Spagna

Anno: 2005

Genere: Drammatico

Durata: 112'

Regia: Isabel Coixet

Sito ufficiale: www.lavidasecretadelaspalabras.com Sito italiano: www.bimfilm.com Cast: Sarah Polley, Tim Robbins, Julie Christie, Javier Cámara, Sverre Anker Ousdal, Steven Mackintosh, Eddie Marsan

Produzione: El Deseo

Distribuzione: BIM Data di uscita: Venezia 2005

17 Marzo 2006 (cinema)

TRAMA:

Un punto in mezzo al mare. Una piattaforma petrolifera, dove lavorano solo uomini, su cui c'è stato un incidente. Una donna solitaria, misteriosa che sta cercando di dimenticare il suo passato, viene portata sulla piattaforma per curare un uomo che ha temporaneamente perso la vista. Fra di loro si sviluppa una strana intimità, un legame ricco di segreti, verità, bugie, umorismo e dolore. Un legame che cambierà per sempre le loro vite.

Maria De Falco Marotta & Antonio De Falco

Maria De Falco Marotta & Antonio De Falco
Società