Masaniello, il "Che Guevara" napoletano

di Maria de falco Marotta

In questo tempo, così confuso e disperso che ci affatica ogni altro dire, per l’incapacità dei nostri politici, siamo come aquile senza ali, abbattute e frastornanti come un trombone stonato.
Sto seguendo- credo come tutti- le alternanti vicende politiche del nostro governo e non mi capacito dell’incapacità di decidere di troppi nostri eletti (ma da chi?). Pensando al passato, mi è venuto in mente Masaniello. Già, chi se lo ricorda?
Non fumava il sigaro, non era argentino e men che meno laureato, ma potremmo ugualmente considerarlo il Che Guevara dei napoletani. Come il celebre rivoluzionario, infatti, Masaniello riuscì a sollevare il popolo grazie al suo carisma, come il Che fu tradito proprio dalle persone di cui si fidava e, sempre come lui, divenne un mito per i posteri.  
Giovane dall'animo appassionato e dal carattere focoso, Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello, nacque a Napoli nel 1620, in una casa poco distante dalla popolarissima piazza del mercato.
POVERI E SUDDITI. La maggior parte dei 350mila napoletani dell'epoca era una massa di diseredati, impoveriti dalle tasse, emarginati da ogni pubblico incarico ed era vittima di un sistema di governo basato sulla prevaricazione delle caste nobiliari allora presenti: principi, duchi, marchesi, conti, baroni, patrizi e signori.  
Su tutti dominava il viceré che governava Napoli per incarico del re di Spagna Filippo IV. Masaniello come tutti amava il re, ma trovava ingiusta la condizione in cui versava il suo popolo.
La sua risorsa, oltre all'indignazione, era un banco di pesce alla piazza del mercato e forte del suo spirito incendiario, a 27 anni guidò la rivoluzione: era il 7 luglio del 1647. Quella mattina gli ortolani giunsero con il loro carretto e si rifiutarono di pagare la nuova gabella appena introdotta dal Duca d'Arcos.
RIVOLTA! Seguirono urla, spintoni e minacce. Per calmare gli animi fu chiamato un rappresentante (corrotto) del popolo che si schierò dalla parte dei gabellieri. E fu l'inizio della rivolta. Al grido di "Viva il re di Spagna, mora il malgoverno" furono presi d'assalto i palazzi nobiliari e quelli delle imposte. Le prigioni svuotate furono riempite dalle mogli e dai figli di duchi e conti. Le violenze si susseguirono per giorni e Masaniello fu nominato "capitano generale del fedelissimo popolo napoletano". 
CAPOPOPOLO. La leggenda vuole che avesse maturato la sua rabbia di capopolo durante i soggiorni in carcere guadagnati con il suo secondo lavoro di contrabbandiere. In cella fu messo in contatto tramite un amico con l'agitatore politico Giulio Genoino, la vera mente della rivoluzione: l'uomo che gli diede le parole d'ordine e gli obiettivi politici della rivolta.  
Per la sua parlantina poi Masaniello riuscì a imporsi al punto che il potere fu costretto a venire a patti con lui: il capopopolo arrivò addirittura a porre il veto agli ordini impartiti dal viceré di Napoli e a essere ricevuto a palazzo in pompa magna insieme a sua moglie Bernardina.
Sono PAZZO? Eppure qualcosa non andava. Ossessionato dall'idea di un complotto ai suoi danni, Masaniello iniziò a perdere il controllo delle sue azioni.  Non dormiva quasi più, mangiava poco e beveva molto, finendo per compiere azioni illogiche e ordinando esecuzioni sommarie dei suoi oppositori. Alcuni storici oggi sostengono che potesse soffrire di disturbo bipolare.
Pazzo o no, fatto sta che sul complotto Masaniello non si sbagliava. Il rivoluzionario morì il 16 luglio con cinque colpi di archibugio inferti con il benestare del suo "amico" Genoino preoccupato per le sue posizioni sempre più radicali (e premiato con uno scatto di carriera all'ordine forense napoletano). Il suo corpo decapitato fu poi trascinato per le strade della città e gettato tra i rifiuti. 
Alla stregua di un eroe, però, entrò subito nel mito e la sua salma divenne addirittura oggetto di una forma di venerazione religiosa da parte delle donne del tempo che lo invocarono come un redentore.
Allora, che cosa ci fa cambiare idea, in politica e nella vita quotidiana?
I meccanismi psicologici che ci inducono a cambiare idea, anche inconsapevolmente, su cose importanti, come la fede politica, le regole della comunità, le persone.

Si può cambiare idea in politica? E se è possibile, che cosa ci spinge a parteggiare per un’idea, un leader o un partito verso cui fino a poco tempo prima nutrivamo diffidenza? Un gruppo di psicologi dell'università della British Columbia (Canada) coordinati da Kristin Laurin ha studiato il fenomeno con tre ricerche separate e pubblicato i risultati su Psychological Science.
IL CARRO DEL VINCITORE. Col primo studio i ricercatori hanno indagato le reazioni al divieto di usare le bottiglie di plastica a San Francisco, sui cui la cittadinanza si era divisa tra favorevoli e contrari. La squadra di Laurin ha testato 79 abitanti della città californiana prima e dopo l'entrata in vigore della legge, scoprendo che le opinioni degli intervistati erano rapidamente cambiate: una volta scattato il divieto, le stesse persone che si erano dette fermamente contrarie lo erano di meno. E questo senza neppure aver avuto il tempo di adattarsi agli aspetti pratici del vivere senza bottiglie di plastica. Un puro e semplice dietrofront. Che cosa lo giustifica?
L'idea dei ricercatori è che tendiamo a esprimere approvazione per una nuova legge (o per un cambiamento politico) quando diventa effettiva. Questo spiegherebbe anche perché spesso, dopo che un partito ha vinto le elezioni, i sondaggi lo premino attribuendogli persino più consensi dei voti ricevuti. «Quando capiamo che qualcosa sta per accadere, e poi accade per davvero, cerchiamo il modo di adeguare le nostre percezioni per sentirci meglio nei confronti della novità» (Laurin).
In altre parole, razionalizziamo le cose verso cui ci sentiamo obbligati. È un meccanismo spontaneo: come se liberassimo lo spazio del cervello per andare avanti con le nostre vite decidendo che ciò che accade non è poi così male, dopo tutto. Laurin lo chiama sistema immunitario psicologico. In Italia questo comportamento è stato spesso assimilato al "saltare sul carro del vincitore", ma probabilmente è un giudizio ingeneroso, che non tiene conto del fatto che le idee possono anche essere plastiche e che non c'è nulla di male nel cambiare il proprio punto di vista, quando l'alternativa è convincente.
IDEE FUMOSE. Il secondo studio riguarda le opinioni sul divieto di fumare nei parchi cittadini e nelle verande dei ristoranti, adottato in Ontario (Canada) nel 2015. Gran parte degli intervistati (127) non solo avevano cambiato opinione dopo l'applicazione della legge, ma avevano persino modificato il ricordo dei loro precedenti comportamenti. Prima del divieto, i fumatori ammettevano di fumare circa il 15% delle loro sigarette nei luoghi pubblici: in seguito, gli stessi stimavano che fossero solo l'8%. Avevano insomma agito su se stessi, sui propri ricordi, per convincersi che il divieto non aveva modificato poi troppo le loro abitudini.
L'UTILITÀ DEL CAMBIARE IDEA. Quella che potremmo chiamare sbrigativamente come incoerenza ha una sua ragion d'essere: cambiamo il nostro modo di pensare, in modo non del tutto consapevole, perché non sopportiamo di continuare a sentirci arrabbiati e cerchiamo un modo per convincerci che tutto andrà bene.
 
Secondo gli autori dello studio questo ci aiuta a liberare risorse cognitive "per andare avanti con la vita". Un concetto che ricorda un po’ quello formulato dalla filosofa Hannah Arendt con la banalità del male: indagando sul comportamento dei tedeschi durante il regime nazista, Arendt dedusse che molti cittadini avevano infine accettato come "normalità" i programmi del regime nazista, anche se comunemente ripudiati dalla società, perché erano le nuove regole, senza riflettere sul loro contenuto. 
Le conclusioni dello studio suggeriscono che i cambi di opinione non riguardano solo la nostra vita sociale e politica, ma si applicano in una varietà di scenari. «Se avete un nuovo capo al lavoro o se dovete iniziare una nuova dieta per motivi medici o se state per avere un figlio, sappiate che il vostro "sistema immunitario psicologico" probabilmente prenderà il sopravvento e vi farà guardare meglio a qualsiasi aspetto spiacevole delle nuove realtà», conclude Laurin.
Impressiona il numero delle coincidenze con la situazione attuale, vere e proprie sovrapposizioni che dalla metà del XVII secolo tornano a ripetersi uguali nel XXI. La delinquenza, il racket delle estorsioni, il contrabbando. Una città dove si commettevano “infiniti omicidi et assassinamenti, e non si potea parlare”. Nella trasfigurazione mitica, Salvini è stato visto ora come eroe ora come brigante. Questa note – forse-  lo restituiscono alla dimensione dell’Italia, come è diventata oggi.

 

Maria de Falco Marotta
Società