NEL SILENZIO SI ASCOLTA DIO (1).

Gli uomini oggi avvertono, più o meno coscientemente, nel loro cuore un desiderio di assoluto; ed in qualche modo hanno bisogno dell'esempio di qualcuno, magari di quei monaci contemplativi, che sono una testimonianza di qualcosa che non si realizza né con le parole, né con un contatto personale. E in effetti, con il suo solo esistere, il monaco testimonia che Dio è presente e che è al di sopra di ogni cosa, poiché «tutto è da Lui, per mezzo di Lui e per Lui».

Il documentario IL GRANDE SILENZIO (Die Grosse Stille) di Philip Groning, presentato alla 62 Mostra di Venezia, nella sezione Orizzonti, racconta dei sei mesi trascorsi dal regista nel monastero della Grande Chartreuse, nelle Alpi francesi, per fotografare la vita dei monaci certosini.

Dura ben 164 minuti di silenzio ed ha stregato migliaia di tedeschi tanto da vincere al boxoffice natalizio Harry Potter, poi è stato accolto con grande entusiasmo ai Festival di Rotterdam e di Toronto, ed ha vinto il Gran Premio della Giuria al Sundance e il prestigioso Premio attribuito della critica tedesca assegnato durante la Berlinale 2006. Dopo la Germania, l’Italia è il primo paese che distribuirà il film(fine marzo 2006) e che prossimamente uscirà anche in Canada, Francia, Olanda, Spagna e Inghilterra.

Il documentario Il Grande Silenzio

IL GRANDE SILENZIO è il primo film in assoluto sulla vita all’interno della Grande Chartreuse, la casa madre del leggendario ordine certosino nelle Alpi francesi.

“Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.” (1 Re 19, 11-13) .

Solo in completo silenzio si comincia ad ascoltare, dicono i mistici.

Solo quando il linguaggio scompare, si comincia a vedere.

L’ordine dei Certosini è ritenuto una delle confraternite più rigide della Chiesa cattolica . Nascosta agli occhi del pubblico, la vita quotidiana dei monaci segue le regole ed i rituali secolari dell’ordine. I visitatori ed i turisti sono tenuti fuori dai locali del monastero. Non esistono di fatto pellicole sui monaci. L’ultima ripresa avvenne nel 1960 quando due giornalisti furono ammessi nel monastero. Non gli fu però concesso di riprenderli.

19 anni dopo il suo primo incontro con l’attuale Priore Generale dell’ordine, al regista Philip Gröning é stato dato il permesso di girare un film sulla loro vita . Il contratto, molto rigido prevede che per almeno 7 anni non verrà consentito di girare alcun altro film nel monastero. Il regista ha vissuto lì ed ha seguito i monaci con la telecamera, sperimentando la stessa vita di un recluso, divenendo parte del rituale e della vita quotidiana, potendo, così, scoprire il mondo dei monaci e dei novizi che conducono una vita tra antichi riti e moderne conquiste.

Più in dettaglio:

La pioggia cade sui pannelli di vetro e le campane suonano richiamando alla preghiera echeggiando nei cortili innevati del convento della Grande Chartreuse. Non si sente quasi mai parlare i monaci, se non per cantare e l'unico ad avere la parola è un anziano monaco non vedente che mette a parte il regista di alcune sue riflessioni molto brevi come: "Non bisogna avere paura della morte. Più ci si avvicina a Dio, più si è felici". Per il resto si sentono solo i suoni che illustrano l'operosa attività del convento, le forbici che tagliano la lana, la pala che scava nella neve friabile ed i passi dei monaci nel chiostro. Talvolta il regista mostra anche il lato giocoso dei frati, ad esempio, riprendendoli mentre si divertono a discendere lungo un dirupo innevato.

Si tratta di un film che si potrebbe definire di “riflessione” e senza dubbio è necessario trovarsi in un particolare stato di ricettività spirituale per poterlo apprezzare.

Il grande silenzio, dà un senso di pace a chi vive ritmi più frenetici e meno legati al misticismo dei monaci della Grande Chartreuse.

Noi che l’abbiamo visto alla 62 Mostra di Venezia, siamo rimasti shoccati. Non avremmo scommesso un euro sulla sua capacità di presa sui cuori tanto induriti dei nostri simili, così ottenebrati dal rumore del mondo.

Invece, pare, che il miracolo stia avvenendo( è proprio vero che le vie del Signore sono infinite).

Per il cineasta girare questo film è stata la realizzazione di un sogno. "L'idea de 'Il grande silenzio' l'ho avuta nel 1984 . Volevo realizzare una pellicola che consentisse a me di trovare una pace interiore e agli spettatori di incontrare se stessi". Così tra l'estate del 2002 e l'inverno del 2003 Groning, da solo, armato di una cinepresa ad alta definizione e di 700mila dollari come budget, si è stabilito per sei mesi nel monastero. Un periodo del quale ricorda il grande freddo, l'ottimo rapporto con i monaci e la naturalezza con cui i religiosi, che non rompono quasi mai il silenzio, si sono abituati alla sua presenza: "Mi sono reso conto che nel vivere seguendo infinite regole, sono molto più liberi di quanto siamo noi".

Poche parole sui certosini

"A lode della gloria di Dio, Cristo, Verbo del Padre, per mezzo dello Spirito Santo, si scelse fin dal principio degli uomini per condurli nella solitudine e per unirli a sé in intimo amore . Seguendo tale chiamata, nell’anno 1084, Maestro Bruno entrò con sei compagni nel deserto di Certosa e vi si stabilì."

Bruno, il fondatore dei certosini, è nato a Colonia, in Germania, verso il 1030, giovanissimo studiò nella scuola cattedrale di Reims. Promosso dottore, Canonico del Capitolo cattedrale, nel 1056, fu nominato Maestro , cioè Rettore dell’Università. È stato uno dei maestri più insigni del suo tempo: " ...un uomo prudente, dalla parola profonda."

Egli, però, si trovò sempre più a disagio in una città in cui i motivi di scandalo coinvolgevano anche l’alto clero e il Vescovo stesso(oggi è cambiato qualcosa???). Dopo aver lottato, non senza successo, contro questi disordini, provò il desiderio di una vita dedicata totalmente a Dio solo.

Dopo un tentativo di vita solitaria di breve durata, giunse nella regione di Grenoble, il cui vescovo, Ugo, gli offrì un luogo solitario nelle montagne della sua diocesi. Nel mese di giugno del 1084, il vescovo lo conduce assieme ai suoi sei compagni nell’impervia valle di Chartreuse, che darà il suo nome all’Ordine. Qui costruiscono il loro eremo, formato da qualche capanna di legno che dava su un chiostro o portico, che permetteva l’accesso, senza troppo soffrire le intemperie, ai luoghi di riunione comunitaria: la chiesa, il refettorio, la sala del capitolo.

Dopo sei anni di quieta vita solitaria, Bruno fu chiamato dal papa Urbano II al servizio della Sede apostolica. Pensando di non poter continuare senza di lui, la sua comunità decise dapprima di sciogliersi, ma poi si lasciò convincere a continuare la vita che lui aveva iniziato. Consigliere del Papa, Bruno non si sentì a proprio agio presso la corte pontificia. Rimase a Roma solo pochi mesi. Con il suo consenso fondò un nuovo eremo nei boschi della Calabria, presso l’attuale Serra San Bruno. Alcuni nuovi compagni si unirono a lui. È qui che morì il 6 ottobre 1101.

La prima Regola

"Per ripetuta richiesta di altri eremi, fondati ad imitazione della Certosa, Guigo, quinto priore di Certosa, mise per iscritto le consuetudini di quella vocazione, che tutti accettarono per seguirle ed imitarle, come regola delle loro osservanze e vincolo di carità della nascente famiglia."

Fu lo stesso Guigo a ricostruire l’eremo nel luogo dell’attuale Gran Certosa, dopo che una valanga l’ebbe distrutto nel 1132; sette monaci morirono soffocati sotto la neve.

A partire dal 1140 l’Ordine dei Certosini nasce ufficialmente e si colloca accanto alle grandi istituzioni monastiche del Medio Evo.

L’EREMO DI CHARTREUSE.

Nel giugno 1084, Maestro Bruno con sei compagni si faceva condurre da Ugo, vescovo di Grenoble, a Chartreuse, per costruirvi un eremo: un luogo ritirato dove la sua anima poteva elevarsi liberamente a Dio, cercato, desiderato e assaporato più di ogni altra cosa.

Le vicissitudini della storia non hanno risparmiato questo luogo d’elezione; tuttavia, malgrado qualche interruzione, gli eremiti CERTOSINI vivono sempre nello stesso territorio dove continuano la loro vita di preghiera, di lavoro, di silenzio.

Riuniti in un piccolo gruppo, all’interno del quale ciascuno vive soprattutto in solitudine, questi monaci sono guidati da un priore e si riuniscono tre volte al giorno per la Santa Eucaristia e per il canto della Liturgia delle Ore.

Sia in cella che nei laboratori o nei campi, sono instancabilmente alla ricerca di Dio, che li ha condotti e radunati in questo posto.

Attratti dai liberi spazi dell’interiorità, hanno scelto la solitudine, imponendosi volontariamente notevoli limitazioni all’unico scopo di essere più aperti all’assoluto di Dio e alla carità di Cristo.

Rimanendo stabilmente in questo spazio, abbastanza isolato dal mondo, conducono, rinunciando alla propria volontà, una vita povera e semplice, nel celibato, ad imitazione di Cristo, loro Maestro, per una maggiore disponibilità al dono della salvezza e alla comunione fraterna.

Ascoltano continuamente, nella preghiera, nella meditazione, nel silenzio, l’appello a crescere e migliorare nell’amore.

La Parola di Dio riempie il loro silenzio.

Attraverso la povertà ed il lavoro sono solidali con tutti quelli che soffrono, ovunque essi siano.

Hanno sempre in fondo al cuore l’attrazione verso orizzonti più remoti, dove prende sempre più forma la sola immagine di Dio nel Cristo, crocifisso ma vivente, speranza della loro gloria.

Vivono così , nel cuore stesso dell’umanità, anche se lontano dagli occhi del mondo, il ricordo incancellabile della nostra origine divina, il costante richiamo di un medesimo destino spirituale per tutti gli uomini, la custodia di una libertà personale sempre più minacciata e soffocata, l’ardente desiderio dell’Eterno, la certezza di un progresso interiore infinito, anche se circoscritto in uno spazio ristretto: sono votati alla solitudine dell’eremo e della cella, per meglio sbocciare nel Cuore di Dio.

Il primo monastero fu fondato nel Delfinato, regione del versante occidentale delle Alpi, a sud- ovest della Savoia, vicino all'attuale città di Grenoble, nell'estate dell'anno 1084, verso la Festa di Giovanni Battista, in una zona montana e boschiva, a 1175 m. di altitudine, nel cuore del massiccio che, al tempo di Bruno, si chiamava «Cartusia», donde il nome italiano di «Certosa» e francese di «Chartreuse».

I lavori di costruzione cominciarono subito e proseguirono rapidamente. La parte principale infatti doveva essere ultimata prima dell'inizio dell'inverno. Le celle per gli eremiti vennero costruite attorno ad una sorgente e dovevano somigliare alle capanne dei pastori e dei boscaioli: costruzioni primitive e rustiche, ma abbastanza solide. Dovevano infatti resistere da un anno all'altro al peso della neve. All’inizio ciascuna abitazione (o cella) ospitava due monaci, probabilmente per risparmio di tempo e di mezzi; solo in seguito ogni solitario ebbe la propria cella.

La chiesa fu l'unico edificio in pietra: condizione indispensabile per la sua consacrazione, che avvenne il 2 settembre 1085 per il ministero del vescovo Ugo e sotto il patrocinio della Madonna e del Battista. Oggi, nel luogo dove si suppone che fossero ubicate un tempo le celle dei primi certosini, sorge una cappella detta «Cappella di San Bruno» e un'altra dedicata alla Madonna, chiamata «Madonna di Casalibus». La vita di quei primi padri della Gran Certosa ci è nota per le testimonianze dello scrittore Guigo, nella Vita di Sant’Ugo, e del viaggiatore Guiberto di Nogent dalle quali, aggiungendo alcune notizie contenute nelle «Consuetudini» di Guigo e alcune frasi significative delle lettere di San Bruno, di Pietro il Venerabile e di San Bernardo, emerge un quadro pittoresco di fervore, di austerità e di autentico spirito monastico. Il vescovo Ugo procurò loro ogni sicurezza proteggendoli in ogni contesa con i vicini e facilitando a Bruno e alla sua famiglia il pieno possesso del deserto di Chartreuse. I nuovi solitari poterono quindi vivervi completamente separati dal mondo in un ritiro legalmente inviolabile, che formava solo la cornice esterna di un’esistenza dove l’essenziale era altrove. San Bruno manifestava premura paterna verso i suoi fratelli e senso dell'equilibrio e della misura che gli faceva dire ai suoi, forse troppo fervorosi come è abituale ai principianti: «Se l'arco è continuamente teso, si allenta e diviene meno atto al suo compito». Alla vista delle belle pareti di roccia coperte di neve e risplendenti al sole, lasciava espandere dal suo cuore profondo e contemplativo la sua preghiera abituale di ammirazione e di adorazione del Creatore: «O Bontà di Dio!».

Nei sei anni durante i quali visse alla Gran Certosa, Bruno aveva dato inizio alla vita solitaria certosina dirigendo quella piccola comunità, la prima culla dell'Ordine.

Le grazie concesse dallo Spirito Santo ai primi Padri hanno loro permesso di rendere l'Ordine quale è oggi. Infatti, essi hanno scolpito lo spirito certosino che i figli attuali di San Bruno, generati alla vita monastica da quella generazione di testimoni, ricevono dalle loro preghiere e dai loro esempi. Fin da allora essi hanno guidato nel deserto molti uomini, che plasmarono la forma della vocazione certosina e formarono il corpo dell'Ordine e la sua spiritualità di preghiera contemplativa nel silenzio e nella solitudine.

Le parole di San Bruno

«Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo.

Che cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di questo bene, in parte percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma d'amore dice: L'anima mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?».

Così si esprimeva Bruno, il primo certosino. Parole folgoranti che, per tutti coloro di cui è il padre, tratteggiano e illuminano il cammino della contemplazione; ma anche parole disincantate, visto che non fanno che aprire l'orizzonte su un mistero insondabile e ineffabile. Ciò che è chiesto è di procedere sempre più lontano, sempre più in alto, sempre più in profondità.

Il Cristo

Gesù Cristo è «la via, la verità e la vita».Nessuno va al Padre senza passare attraverso di Lui, poiché «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Di fatto la Parola che ha spiegato i cieli si è come nascosta nella carne di un popolo, fino a farsi essa stessa carne, per abitare in mezzo a noi. «Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, questo vi annunziamo!». Il Figlio nella sua carne ci rivela il Padre e fa di noi dei figli.

«Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te».

Più noi siamo uniti a Cristo per mezzo della forza dei sacramenti e della fedeltà nella preghiera, e più, per Lui, con Lui ed in Lui, penetriamo nell'intimità del Padre.

Ascolto nel silenzio

Per disporsi ad un tale incontro niente è più importante di rimanere nell'ascolto. Divenire silenzio nell'ascolto del silenzio, al fine di percepire nel cuore di esso la voce dell'amato.

«Dio conduce il suo servo nella solitudine per parlargli al cuore, ma solamente colui che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore. Abbia dunque familiare quel tranquillo ascolto del cuore che lascia entrare Dio da tutte le porte e da tutte le vie. Così, purificato dalla pazienza, consolato e nutrito dall'assidua meditazione delle Scritture, e introdotto dalla grazia dello Spirito nelle profondità del suo cuore, il monaco diverrà capace non solo di servire Dio, ma di aderire a lui».

Mistero di ascolto, mistero di fede, mistero dello Spirito. Lui che condusse Gesù nel deserto e lo fece esultare di gioia, Lui per il quale l'amore di Dio è stato versato nei nostri cuori, e viene in soccorso della nostra debolezza perché non sappiamo come pregare, e ci insegna a dire: «Abbà! Padre!».

Purificato, vivificato, fortificato per mezzo dell'amore di Cristo, rianimato, sospinto dal soffio dello Spirito, abbracciato nel desiderio dal Padre.... il monaco solitario entra in comunione con il Dio tre volte santo, partecipa allo scambio ineffabile di conoscenza e di amore che è la vita delle persone divine nella Trinità. Tutta la sua esistenza non diventa altro che stupore davanti alla bellezza infinita, immutabile e trascendente di Dio nell'immensità del suo amore.

Semplicità

Desiderare, contemplare, accostare il Dio tre volte santo, eterno ed insondabile, richiede una perseveranza a tutta prova, che non dispensa assolutamente dall'invocare il Signore della tenerezza e della misericordia. Di fatto per vivere negli anni un'esistenza fondata sulla sola contemplazione è necessario che questa vita sia improntata ad una grande semplicità.

Lontano da ogni genere di complessità, di molteplicità e di dispersione, il solitario si attiene con forza all' «unico necessario». Egli ordina con equilibrio ed armonia tutte le cose all'unione con Dio, applicandosi serenamente al compito di ogni momento. L'alternanza di vita solitaria in cella e di vita comunitaria, di preghiera personale e liturgica, di studio e di lavoro manuale, come anche la differenza tra la sobrietà quotidiana e la letizia dei giorni di festa, lungi dall'essere fonte di dispersione, fanno della vita certosina un insieme sapientemente costruito, dove ogni elemento riceve piena forza e valore solo se visto nella totalità.

Con un cuore semplice e uno spirito purificato, il monaco si sforza di fissare in Dio i suoi pensieri e le sue emozioni, al fine di divenire una dimora tranquilla dello Spirito, un tempio abitato dalla Maestà divina, alla quale tutto si consacra con amore.

«In cella - dicono gli Statuti - la nostra attività scaturisca sempre come da una sorgente interiore, sull'esempio di Cristo, che opera sempre con il Padre, di modo che il Padre, dimorando in lui, compia egli stesso le opere. Così seguiremo Gesù nella sua umile e nascosta vita di Nazaret, sia pregando il Padre nel segreto, sia lavorando al suo cospetto in spirito di obbedienza».

Pace e gioia

Consacrare tutta la propria vita a Dio nella contemplazione è sorgente di pace e di gioia sempre nuove. Tale è stata l'esperienza di San Bruno, che, secondo la testimonianza dei suoi figli, aveva sempre il viso in festa. Nella sua lettera alla comunità della Certosa egli apre la sua anima traboccante di gioia e invita i suoi fratelli ad unirsi al suo canto di esultanza:

«Veramente esulto e mi sento portato a lodare il Signore..... Gioite dunque, fratelli miei carissimi, per la felicità che avete avuto in sorte e per l'abbondanza della grazia di Dio verso di voi. Gioite, poiché siete sfuggiti ai molteplici pericoli e naufragi di questo mondo sballottato dalle onde. Gioite, poiché avete guadagnato il tranquillo e sicuro rifugio di un porto ben riparato».

Separazione dal mondo

I primi monaci certosini «seguivano il lume dell'oriente, ossia di quegli antichi monaci che, ardenti d'amore per il ricordo del Sangue del Signore versato di recente, popolarono i deserti per professarvi la vita solitaria e la povertà di spirito. Bisogna quindi che i certosini, calcando le loro orme, dimorino come loro in un eremo sufficientemente remoto dalle abitazioni degli uomini; ma soprattutto bisogna che si rendano essi stessi estranei anche alle preoccupazioni mondane».

Secondo la tradizione dei Padri del deserto la ricerca dell'unione con Dio, nel modo più diretto possibile, richiede normalmente la separazione dal mondo. La pace esteriore della solitudine protegge la pace interiore del cuore. Così il monastero è costruito lontano da abitazioni, e ciascun monaco vive solo in cella all'interno della cinta muraria, astenendosi da ogni ministero, escluso quello della preghiera. Questo costituisce per il certosino un'esigenza che gli Statuti esprimono con forza: «Essendo il nostro Ordine totalmente dedito alla contemplazione, è necessario che conserviamo in modo assolutamente fedele la nostra separazione dal mondo. Ci asteniamo perciò da qualsiasi ministero pastorale, pur nell'urgente necessità di apostolato attivo, per adempiere nel Corpo mistico di Cristo la nostra funzione specifica».

Guigo, il monaco a cui lo Spirito ha affidato la missione di redigere la prima regola dei certosini, da parte sua ha celebrato al seguito di tutti i Padri le ricchezze spirituali offerte al solitario: «Sapete infatti che nell'Antico e soprattutto nel Nuovo Testamento quasi tutti i più grandi e profondi segreti furono rivelati ai servi di Dio non nel tumulto delle folle, ma quando erano soli. Gli stessi servi di Dio, tutte le volte che li accendeva il desiderio di meditare più profondamente qualche verità o di pregare con maggiore libertà o di liberarsi dalle cose terrene con l'estasi dello spirito, quasi sempre evitavano gli ostacoli della moltitudine e ricercavano i vantaggi della solitudine (…) considerate voi stessi quanto profitto spirituale nella solitudine trassero i santi e venerabili padri Paolo, Antonio, Ilarione, Benedetto e innumerevoli altri, e avrete la prova che nulla, più della solitudine, può favorire la soavità della salmodia, l'applicazione alla lettura, il fervore della preghiera, le penetranti meditazioni, l’estasi della contemplazione e il dono delle lacrime».

Esodo nel deserto

«Lasciare il mondo per dedicarsi nella solitudine ad una preghiera più intensa, non è altro che un particolare modo di esprimere il mistero pasquale di Cristo, che è una morte per una resurrezione».

La Sacra Scrittura presenta l'Esodo attraverso il deserto come l'evento principale della storia d'Israele. Sotto la guida di Mosè gli ebrei uscirono dall'Egitto; e dopo aver attraversato il Mar Rosso, vissero quaranta anni nel deserto. Non mancarono le prove, ma giunti nel cuore del deserto, al Sinai, Dio si manifestò in modo straordinario e concluse con loro un'alleanza.

I Padri della Chiesa e tutti i monaci hanno visto nell'Esodo una prefigurazione dell'itinerario mistico dell'uomo alla ricerca di Dio.

Guigo nel suo elogio della vita solitaria ha ricordato al certosino l'esempio dei grandi contemplativi della Bibbia, che nella solitudine hanno vissuto il mistero dell'incontro con Dio: Giacobbe, che lottò solo con l'Angelo e ricevette la grazia di un nome migliore; Elia, che visse per lungo tempo nel burrone di un torrente e marciò quaranta giorni e quaranta notti fino all'Oreb dove Dio si manifestò a lui in una brezza leggera; Eliseo, che amava ritirarsi in preghiera nella camera al piano superiore preparata dalla sunamita; e soprattutto Giovanni Battista, che è considerato come il patrono degli eremiti.

Lo stesso Gesù ha cercato la solitudine: subito dopo il suo battesimo nel Giordano fu condotto nel deserto dallo Spirito Santo; ed in molti episodi dei vangeli lascia la folla e si ritira solo sulla montagna per pregare; un giorno invita i suoi apostoli ad andare in disparte in un luogo solitario; infine solo sulla croce, abbandonato da tutti, si offre al Padre per la salvezza del mondo.

Il monaco, seguendo Cristo nel deserto, partecipa al mistero che riconduce nel seno del Padre il Figlio crocifisso e resuscitato dai morti. Nella solitudine egli compie un vero Esodo spirituale, in cui dalla morte sgorga una nuova vita.

Solitudine della cella

La clausura nel cui interno si pone il monastero è per il certosino il segno visibile della sua separazione dal mondo. Al di fuori dello spazio settimanale il monaco non è autorizzato a uscire dalla casa, salvo in rari casi e per una reale necessità. Lo stesso priore della Gran Certosa, pur essendo superiore generale dell'Ordine, non oltrepassa mai i limiti del suo deserto.

Tuttavia è soprattutto nel segreto della loro cella che i padri vivono la loro vocazione di solitari; mentre i fratelli la vivono in parte nella cella e in parte nelle obbedienze dove essi lavorano. Ciascuno ha così la sua propria solitudine nel seno di un monastero, che è esso stesso solitario.

Gli Statuti ricordano a tutti che la cella è un luogo privilegiato di unione con Dio: «Il nostro impegno e la nostra vocazione consistono principalmente nel dedicarci al silenzio e alla solitudine della cella. Questa è infatti la terra santa e il luogo dove il Signore e il suo servo conversano spesso insieme, come un amico col suo amico. In essa frequentemente l'anima fedele viene unita al Verbo di Dio, la sposa è congiunta allo Sposo, le cose celesti si associano alle terrene, le divine alle umane». Anche le obbedienze di lavoro sono separate le une dalle altre come le celle, e sono organizzate affinché si salvaguardi il più possibile la solitudine. In tal modo la solitudine è adeguata alla situazione di ognuno.

I Padri del deserto hanno celebrato a gara i benefici della fedeltà alla cella, dove il solitario, secondo un'immagine usata da loro e ripresa dagli Statuti Certosini, si trova come un pesce nell'acqua. Guglielmo di Saint-Thierry scrisse ai certosini di Mont-Dieu: «la cella non deve esser mai una reclusione forzata ma una dimora di pace; la porta chiusa non nascondiglio ma ritiro. Colui con il quale Dio è, infatti, non è mai meno solo di quando è solo. Allora infatti gode liberamente della propria gioia; allora egli stesso è suo per godere di sé e di sé in Dio».

Il silenzio

Silenzio e solitudine vanno di pari passo, poiché il primo protegge la solitudine interiore e favorisce il raccoglimento: «Solamente colui che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore».

I certosini sono dei fratelli che vivono fianco a fianco nel silenzio, rispettando reciprocamente il loro colloquio interiore con Dio. Grande è la virtù del silenzio. «Benché nei primi tempi tacere possa essere una fatica, gradualmente, se saremo stati fedeli, dallo stesso nostro silenzio nascerà in noi l’attrattiva verso un silenzio ancora maggiore». L'incontro dell'anima con Dio avviene al di là di ogni discorso, in un semplice scambio di sguardi: linguaggio dell'amore che non è altro che il linguaggio dell'eternità.

«Noi riconosceremo la qualità della parola divina, quando consacreremo il tempo in cui non abbiamo da parlare ad un silenzio privo di preoccupazioni e accompagnato da un'ardente ricordo di Dio». Vi è infatti un silenzio interiore che è ben più difficile della semplice assenza di parole. Esso consiste nel distaccarsi da pensieri erranti che penetrano nel cuore attraverso l'immaginazione. I Padri del deserto a questo riguardo mettevano i loro discepoli in guardia, e cercavano al di sopra di tutto la purezza di cuore, ossia l'amore di Dio preferito ad ogni altra cosa. Come scrisse uno di essi, Cassiano: «In vista dunque della purezza di cuore tutto deve essere compiuto e inteso da noi. Per essa deve essere cercata la solitudine.... Pertanto le virtù che vi si accompagnano, e cioè i digiuni, le veglie, la solitudine, la meditazione delle Scritture, ci conviene esercitarle in vista dello scopo principale, vale a dire della purezza di cuore, che è la carità»

Fratelli in Cristo

Lo scopo di tutta la vita monastica è la perfezione dell'amore di Dio. Ma il Cristo ci ha insegnato che non si possono separare l'amore di Dio e l'amore del prossimo; l'uno e l'altro si approfondiscono insieme. Tutta la vita cristiana, e dunque anche la vita certosina, comportano una dimensione fraterna. Durante l'ultima cena Gesù ha detto: «vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

L'apostolo San Giovanni, indirizzandosi alle prime comunità cristiane, fa eco alle parole del suo Maestro: «Ecco il comandamento che abbiamo ricevuto da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello... Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore viene da Dio. Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore..... Se ci amiamo gli uni gli altri Dio dimora in noi e il suo amore è perfetto in noi.... Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui».

Come già detto, i certosini formano una famiglia; essi sono dei solitari che vivono come dei fratelli riuniti attorno a Cristo presente in mezzo ad essi. Solitudine e vita fraterna si equilibrano mutuamente: una solitudine che non è isolamento o ripiegamento su sé stessi, ma desiderio di Dio e comunione dei santi; una vita comunitaria che non è né libero sfogo né ricerca di compensazioni affettive, ma ricerca delle esigenze dell'amore, se c'è bisogno fino alla croce.

Nella vita concreta del certosino non mancano le occasioni di mettere in pratica la carità fraterna, dal semplice sorriso, quando capita di incontrare un fratello con cui non si è potuto rompere il silenzio, fino ad altri momenti in cui la carità può rivelarsi più difficile, poiché l'amore vero esige sovente la rinuncia a se stesso: «Se non siamo d'accordo con un altro, sappiamolo ascoltare, e cerchiamo di capire il suo modo di vedere.... di certo conviene in modo tutto speciale a noi, che dimoriamo nella casa del Signore, testimoniare la carità che procede da Dio, accogliendo amorevolmente i fratelli coi quali conviviamo e sforzandoci di comprenderne con il cuore e la mente i temperamenti e i caratteri, sebbene diversi dai nostri».

All'interno di una vera solitudine il certosino conosce la gioia di essere unito a dei fratelli con legami di reciproco affetto; così da poter cantare con il salmista: «Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!».

Il monaco «non può entrare nella quiete contemplativa, se non dopo essersi cimentato nello sforzo di una dura lotta, sia mediante le austerità nelle quali persiste per la familiarità con la Croce, sia mediante quelle visite con le quali il Signore lo avrà provato come oro nel fuoco… lungo è il cammino attraverso brulla e riarsa strada prima di arrivare alle fonti d'acqua e alla terra promessa». Perché il monaco possa pervenire all'unione intima con Dio, il suo cuore e il suo spirito devono essere purificati nel crogiolo dell'ascesi.

La solitudine, la beata solitudine, certi giorni può essere molto dolorosa: in assenza di ogni scappatoia, per valida che sia (di distrazione, avrebbe detto Pascal), il monaco è lasciato di fronte a se stesso in una povertà e nudità spesso radicali. Poiché in definitiva non sono tanto il quadro e il genere di vita che mettono alla prova, quanto piuttosto ciò che essi rivelano ad ognuno: i propri deserti e le proprie miserie.

Vivere nella solitudine alla ricerca di Dio solo non concede molte soddisfazioni alla natura umana; chiede piuttosto una grande spoliazione a livello dello spirito e del cuore.

Il monaco rinuncia a tutto ciò che renderebbe vana la clausura esterna del monastero: evita le visite di parenti ed amici (dalla regola sono previsti due giorni all'anno per i parenti più prossimi); salvo necessità si astiene dal comunicare per lettera o per telefono con le persone esterne; non legge libri profani, e ancor meno le riviste e i giornali che possono turbare il suo silenzio interiore. Gli Statuti dell'Ordine Certosino vietano esplicitamente la presenza di radio e televisione nei monasteri.

Il certosino dunque, in parte controcorrente in una società dove regna la triade avere- sapere- potere, riprende il cammino delle virtù evangeliche, altro modo di chiamare l'ascesi. Umiltà, povertà, castità, obbedienza, pazienza, temperanza, e al di sopra di tutto la carità: ecco ciò che nello scorrere dei giorni egli apprende alla scuola dello Spirito Santo.

Tra tutte queste virtù conviene sottolineare il posto privilegiato dell'obbedienza. Secondo la parola di una grande figura del deserto, «noi preferiamo molto di più l'obbedienza all'ascesi, perché l'ascesi è maestra d'orgoglio, mentre l'obbedienza è messaggera di umiltà». In effetti l'obbedienza, prima ancora delle diverse pratiche di penitenza, è per il monaco la traduzione nel vissuto quotidiano della rinuncia alla propria volontà. Certo tutti i religiosi fanno voto di obbedienza, ma il monaco solitario deve essere particolarmente fedele a tale impegno, poiché più grande è per lui il rischio di divenire maestro di se stesso. Attraverso la mediazione del priore, testimone e garante dell'opera dello Spirito in coloro che sono a lui affidati, e di una saggia guida spirituale, egli si aprirà e si offrirà docilmente all'azione dello Spirito Santo.

L'ascesi sarà di ben poca utilità se non scava e libera uno spazio aperto ad un incontro, se non conduce all'uomo nuovo, ricreato secondo Dio.

Il certosino sa che non può “possedere” Dio, in una preghiera continua, se prima non si lascia spossessare da Lui, divenendo sempre più spogliato di tutto, distaccato da tutto. Povero per Dio, egli allora sarà ricco di Dio. Liberato da Dio, Egli diventa libero per Lui ed in Lui.

«Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, tanto che i loro membri si occupano solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera continua e nella gioiosa penitenza, pur nella urgente necessità di apostolato attivo, conservano sempre un posto eminente nel corpo mistico di Cristo, in cui "tutte le membra non hanno la stessa funzione"».

I contemplativi sono nel cuore della Chiesa; essi compiono una funzione essenziale nella comunità ecclesiale: la glorificazione di Dio. Il certosino si ritira nel deserto innanzitutto per adorare Dio, per lodarlo, per ammirarlo, per lasciarsi sedurre da Lui, per donarsi a Lui, e questo a nome di tutti gli uomini. La sua vocazione è di cantare la lode nella Chiesa di oggi, in attesa di farlo con la totalità degli eletti alla presenza di Dio nell'eternità.

Ogni giorno, in tutti gli uffici liturgici e nella celebrazione dell'Eucaristia essi pregano per tutti i vivi e i morti. Per mezzo di Cristo, «che è alla destra di Dio, vivente per sempre per intercedere a favore degli uomini», essi portano davanti a Dio le attese e i problemi del mondo, insieme alle gravi intenzioni e preoccupazioni della Chiesa intera.

E per finire…

Il termine "mistico", compare per la prima volta come aggettivo della parola Teologia. Con l'espressione Teologia Mistica si intendeva indicare una Teologia del "silenzio" (mistico deriva dal greco miein, tacere), esprimente l’impossibilità di una conoscenza positiva, ovvero descrittiva di Dio in quanto Assoluto , pertanto non definibile e quindi trascendente ogni concetto.

Ecco quindi il manifestarsi di una Teologia "negativa" che, preso atto dell'impossibilità di conoscere Dio attraverso la via descrittiva, si rifugia nel silenzio, appunto, di ogni concetto, idea, parola.

Figura cardine di questa corrente di pensiero è Dionigi Pseudo Areopagita, che circa nel V secolo d.C. teorizza, in un suo trattato intitolato appunto Teologia Mistica, gli aspetti fondamentali della Teologia Negativa.

Nel 1300 Meister Eckhart e, successivamente, i suoi discepoli Taulero e Suso riprendono, sviluppano e approfondiscono tale corrente di pensiero. Gli aspetti fondamentali dei loro scritti sono l'insistere sulla impossibilità di un conoscenza positiva di Dio e sulla via del distacco. L'uomo, ovvero, si deve disappropriare del proprio Io psicologico (importante ricordare a tal proposito la tripartizione antropologica fornita da S. Paolo, secondo la quale l'uomo risulta costituito da: corpo, anima e sue facoltà, spirito) e di tutte le sue costruzioni ed esigenze, per ritrovare nel "Luogo Mistico" per eccellenza, ovvero quello che Eckhart chiama il "fondo dell'anima", nel silenzio di ogni facoltà mentale, la propria dimensione spirituale. E riunirsi quindi a Dio, che, come ricorda il Vangelo di Giovanni, è appunto Spirito.

Dio, è l'Uno. Inconoscibile. La dimensione dell'Uno riveste un’importanza fondamentale. Uno proprio perché assoluto, onnicomprensivo, infinito quindi non de- finibile; cessazione di ogni alterità.

Le analogie culturali sono profonde e importanti, con altri percorsi spirituali. Soprattutto con il Buddhismo.

Infatti, la via indicata per la liberazione dal dolore, è la via del distacco e della disappropriazione. Quel rifuggire «dal furore dell’incostanza delle cose transitorie», che, pronunciato da Eckhart, assume però un significato ben più universale.

Quel porre in discussione un Io che secoli di cultura ci hanno abituato a considerare come la nostra essenza qualificante, ma che invece non può essere considerato tale. Anzi: proprio il distacco dai vincoli dell’Io definisce e prospetta il cammino di liberazione. Lo scioglierlo nell’infinito oceano dell’Essere- Uno, così come l’onda, una volta formatasi, ritorna nell’indistinto del mare, senza perché e senza tentare in alcun modo di perpetuare la propria transitorietà, che ne definisce l’essenza.

Al di là di ogni pronunciamento teoretico e dottrinale (si ricordi, dopo tutto, che «la scrittura è vana», S. Agostino; «La lettera uccide, lo Spirito vivifica», S. Paolo; «La dottrina è il dito che indica la luna, ma non è la luna», Buddha) è indubbio che si possa parlare di una intuizione etica e spirituale in comune tra culture cronologicamente e contestualmente lontane e differenti, che vengono però a incontrarsi, se non addirittura a completarsi e potenzialmente fondersi, sul piano dell’intuizione, figlia del Silenzio.

Infatti, la regola d’oro di tanti istituti monastici dell’oriente e dell’occidente è: che nell'Ordine, il silenzio è una dei principali valori della vita monastica. Il silenzio assicura la solitudine del monaco nella comunità. Favorisce la memoria di Dio e la comunione fraterna; apre alle ispirazioni dello Spirito Santo, allena alla vigilanza del cuore e alla preghiera solitaria davanti a Dio. Per questo in ogni tempo, ma soprattutto nelle ore notturne, i fratelli si applicano al silenzio, guardiano della parola e nello stesso tempo dei pensieri.

« Recherò con me -

l'ultimo amore della terra,

il dono d'addio della vita,

l'ultima benedizione dell'uomo.

Oggi la mia borsa è vuota.

Tutto quel che dovevo dare l'ho dato liberamente.

I piccoli doni che ogni dì ricevo -

un po’ di tenerezza, un po’ di perdono -

prenderò con me,

quando nella mia piccola zattera

farò l'ultima traversata

al silenzioso festival della fine ! »

(6 Maggio 1941 - ultimo compleanno di Rabindranath Tagore)

Maria, Elisa, Enrico Marotta

Maria, Elisa, Enrico Marotta
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