LE LINGUE DEL CINEMA (DOPPIAGGIO E SOTTOTITOLAGGIO NEI FILM D’AUTORE) "DIVERSITÀ CULTURALE: DI QUALE LINGUA PARLIAMO?"

La Mostra Internazionale del Cinema di Venezia è un festival che da sempre mette a confronto le tematiche e le culture più diverse: quale luogo migliore per discutere allora anche di tematiche importanti e sempre attuali come quella della diversità linguistica nel cinema con tutte le problematiche che ne conseguono specialmente riguardo la conservazione dell’identità culturale legata alla scelta del doppiaggio, sottotitolaggio se non alla decisione di "girare" in una lingua "dominante", determinata spesso dalla necessità di entrare nel mercato globale audiovisivo?

Un tema questo sempre attuale, di molto peso e sentito dal mondo cinematografico autorale e da quanti difendono con forza la propria identità contro l’appiattimento linguistico determinato sempre più dalla scelta "obbligata" verso "una sola lingua", l’inglese.

Quale lingua, quale e che tipo di doppiaggio, di traduzione e di adattamento; quale e che tipo di sottotitolaggio, didascalico, indicativo, letterale?

(Il convegno si è tenuto presso la Villa degli Autori al Lido di Venezia, nell'ambito delle iniziative delle Giornate degli Autori, sezione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia).

"Diversità culturale: di quale lingua parliamo?".

L'evento, realizzato in collaborazione con la Coalizione Italiana per la Diversità Culturale, nata per volontà dell'Associazione Nazionale Autori Cinematografici - ANAC – in sinergia con la Società Italiana Autori ed Editori - SIAE -, con la Fondazione Nazionale Accademia di Santa Cecilia e con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ha voluto essere un momento di riflessione ed elaborazione sul complesso rapporto tra identità culturale e linguaggio audiovisivo.

In particolar modo, si è cercato di indagare la relazione tra lingua parlata e scritta, utilizzate nei film, e le variabili storiche, geografiche, socio-culturali e economiche.

Molte personalità della cultura italiana hanno già preso parte all'Assemblea Costituente della Coalizione Italiana per la Diversità Culturale, quali Bernardo Bertolucci, Andrea Camilleri, Ennio Morricone, Ugo Gregoretti, Citto Maselli e Carlo Lizzani.

In un'epoca in cui la globalizzazione incide profondamente anche sul linguaggio diffondendo idiomi e suoni comuni, uniformando e semplificando la ricchezza dei rispettivi segni, ma anche facilitando il dialogo tra diverse culture, il Cinema, nella sua specificità di mezzo universale di cultura e comunicazione, riveste un ruolo di grande importanza sia come diffusore di modelli che ispiratore di tendenze.

Nell’incontro quindi sono stati affrontati aspetti di grande interesse per chi oggi s'interroga sulla Lingua ed il Cinema del futuro e su come preservare le rispettive 'identità' e originalità: dalla necessità di tutelare l'autenticità di un racconto e quindi l'utilizzo della lingua originale, alla creazione di linguaggi e codici linguistici che rappresentino delle sintesi e mediazioni riconoscibili; dalla problematica predominanza di una lingua forte - l'inglese - alla 'riscrittura' della stessa attraverso la traduzione, l'adattamento, il sottotitolaggio ed il doppiaggio.

Nell’incontro al Lido di Venezia ci sono stati una serie di interventi coordinati da Luciana Castellina.

Tra questi quelli di:Vincenzo Bugno (World cinema found);

Eddie Mbalo (National Film and video foundation, South Africa);

Clara Montella (Università Orientale di Napoli);

Silvana Buzzo (Coalizione Diversità Culturale Italiana);

Massimo Cestaro (SAI, Sindacato Attori Italiano);

Sergio Patucchi (Università Pio V di Roma);

Ugo Gregoretti (Presidente ANAC)

e l’immancabile Citto Maselli, Regista e Presidente dell'AIDAA (Associazione Internazionale delle Società per il diritto d’autore).

Se ne riportano solo alcuni, tra i tanti seppure singolari, che danno un quadro chiaro della situazione attuale.

Eddie Mbalo

(National Film and video foundation, South Africa)

Il Sud Africa è un paese che ha qualche problema con la questione delle culture e delle lingue perchè si trovano ad avere due lingue imposte dalla colonizzazione: olandese ed inglese oltre all’afriKaner ed una quantità di lingue indigene. Come riuscite ad affrontare il problema o lo omettete nel cinema?

Non sono uno specialista di lingue e diversità però forse già molti di voi sanno che nella nostra situazione locale abbiamo 11 lingue ufficiali. Molti europei ridono pensando a questa realtà e si chiedono come facciamo a comunicare con così tante lingue...

Forse bisognerebbe tornare qualche anno addietro nella storia per ricordare che l’inglese è la lingua dell’aphartaid e serviva anche a rinforzare il sistema dell’aphartaid stessa. In realtà l’aphartaid è stata strutturata dagli inglesi e gli olandesi boeri l’hanno soltanto perfezionata e dandole un nome.

La lingua è stata un mezzo per sopprimere le altre lingue esistenti ma, soprattutto per sopprimere la libertà di pensiero.

La soppressione della propria lingua per sopprimere la libertà.

La spiegazione etimologica di aphartaid significa "sviluppo separato".

Le persone erano suddivise per unità linguistiche e non per gruppi etnici, in modo da impedire delle forze di aggregazione.

Nel 1976 ci fu una rivolta che si originò dal fatto che nelle scuole si decise di adottare la lingua dell’apartaid che in quel periodo era l’africans e la lingua boera. Dopo il 76 il Sud Africa non è più stato lo stesso.

Lo spunto di andare contro una lingua dominante è stata la scintilla che ha permesso le lotte successive contro la struttura politica dominante.

Dopo il 76 l’inglese divenne predominante e anche all’interno delle famiglie di colore i bambini venivano educati in questa lingua che era considerata come modello superiore di educazione.

Ancora oggi soffriamo delle sue conseguenze. Molte lingue africane non vengono più insegnate ai bambini perchè la gente crede che i loro figli avranno più possibilità imparando l’inglese.

Dopo la fine dell’aphartaid nel 1994, il governo ha ritenuto necessario riconoscere tutte le 11 lingue del Sud Africa come lingue nazionali e soprattutto sviluppare le lingue che erano state soppresse.

Per ridare dignità e coraggio alle persone che erano state precedentemente oppresse, è stato considerato necessario attribuire un valore alla lingua. E’ stata una lotta molto lunga perchè anche tra i sudafricani di origine africana, si ritiene che scrivere in inglese può essere una possibilità di accesso maggiore alla comunicazione, piuttosto che nella lingua locale.

Noi come National Film and Video Foundation cerchiamo di incoraggiare le sceneggiature e i film che vengano prodotti nelle lingue autoctone, per controbilanciare questa tendenza linguisticamente unidirezionale.

Il film sudafricano presentato nella scorsa edizione del festival (Yesterday) e che tra l’altro è stato anche nominato all’Oscar, era in lingua autoctona e non aveva neanche una parola d’inglese.

Non pensiamo sia solo la lingua a fare la differenza ma anche tutte le nuance, le sfumature che derivano dai toni di una lingua autoctona.

Come istituzione noi abbiamo adottato una politica che dà preferenza ai film che vengono prodotti in lingua indigena e riconosciamo anche l’africans come lingua indigena. Credo che combiniamo al meglio queste diversità e nelle serie televisive ci sono molte volte fino a 5 lingue nella stessa puntata…

Ugo Gregoretti

(presidente dell ANAC)

Quali sono le problematiche italiane legate alle lingue nelle produzioni cinematografiche?

Anche all’ ANAC si parlano "molte lingue" e spesso è un problema intendersi... soprattutto quando si deve fare un comunicato...

Ma preferirei parlare di altro e raccontare un piccolo aneddoto ricollegandomi al problema del doppiaggio dei nostri film. Io ho girato un film con un attore protagonista anglofono, inglese di origine, americano di adozione (Malcom Mc Dowell). Questo film è stato girato in presa diretta perchè si voleva salvaguardare e conservare il parlato di Malcom; lui ed un’altra erano gli unici attori di lingua inglese. Scoprimmo che a Roma esiste una compagnia di doppiatori inglesi, e il film sarebbe stato doppiato in inglese tranne che per la colonna originale di Mc Dowell che era bellissima. Nella presa diretta bisognava avere l’accortezza di non accavallarsi sulle sue battute, però dovevamo recitare tutti in inglese e dopo la prima settimana di riprese, quando il responsabile ed altri attori avevano visto i nostri primi "giornalieri", cioè il materiale girato sino ad allora, arrivò una telefonata allarmatissima del direttore del doppiaggio il quale chiese esplicitamente: per favore gli attori italiani recitino in italiano! Spiegò che per noi è molto difficile doppiare con sincronismo labiale l’italiano, ma è assolutamente impossibile doppiare il vostro inglese perchè avete tali aritmie, slegature della bocca, espressioni che non c’entrano niente...

Finì che si recitò in italiano e poi lo doppiammo…

Le lingue, i dialetti

L’amico africano (Eddie Mbalo) mi informa che ci sono 11 lingue ufficiali in Sud Africa, poco più della metà di quante ce ne sono in Italia....

Romano, piemontese, bolognese napoletano siciliano etc.. queste lingue stanno progressivamente prendendo "cittadinanza" nel cinema, dando luogo poi alla nascita di prodotti originalissimi.

Finalmente così come è stato per la letteratura, la narrativa, anche il cinema si "regionalizza" ma regionalizzandosi si diversificalizza. In fondo come nessuno denominerebbe la narrativa siciliana come provinciale, lo stesso vale per il cinema dialettale con dei piccoli capolavori che abbiamo visto in questi ultimi anni.

All’epoca della mia direzione del Teatro stabile di Torino, si decise il tema delle teatro delle lingue "sconfitte" cioè una rassegna di teatro dialettale di alto livello prelevato nelle culture regionali. Da Torino scelsi un testo in dialetto torinese della metà dell’ottocento, una commedia di Vittorio Bertelli che non si recitava più da tempo essendo morti i grandi interpreti di lingua torinese antica; la commedia era finita nelle mani dei filodrammatici e per poterla riproporre si stabilì che i personaggi principali venissero interpretati da due attori non piemontesi ma di grande livello i quali, avevano accettato di mettersi a studiare piemontese e di recitare in piemontese come se fosse una lingua straniera, l’olandese, il finlandese... Un operazione raffinata, un grande impegno interpretativo ed espressivo dei due attori ma ci fu una specie di sollevazione quando andò in scena perchè erano i primi anni della Lega e si gridò allo scandalo perchè la commedia non veniva interpretata da protagonisti piemontesi...

Lo portai, poi, al festival di Benevento (dove non esisteva il problema del patriottismo linguistico), però il problema era che il pubblico non capiva un’ acca della lingua piemontese della metà dell’800, come a dire l’olandese.... ebbene la commedia era talmente straordinaria, gli attori talmente bravi che dopo i primi dieci minuti di gelo assoluto, pian piano il pubblico si sciolse e alla fine comprese tutto, senza conoscere una parola...

Intendo dire come una lingua ancorché incomprensibile se veicolata da una bravura, da una forza espressiva e rappresentativa in questo caso teatrale e non cinematografica, è capace di raggiungere la sensibilità e la mente di tutti.

Per cui io starei molto attento a tradurre... questo discorso vale per il teatro come per il cinema... Io credo che una notevole parte delle opere cinematografiche possano trasmettere emozioni anche se non si comprende quello che si dice.

ROBERTO BARZAN (presidente delle giornate degli autori)

Io ritengo come chiunque abbia fatto un certo lavoro nelle istituzioni europee che le politiche che abbiamo chiamato del "MULTILINGUISMO" cioè che sono tese a favorire la traduzione in varie lingue e le politiche di formazione che accrescono la padronanza delle lingue siano le priorità fondamentali delle politiche culturali europee. Sviluppare degli strumenti anche con carattere sopranazionale per far sì che i patrimoni linguistici e le lingue che sono così variamente presenti nel contesto europeo siano, in linea di massima, più comprensibili, più affrontabili e siano di dominio più esteso.

Tutto questo avrebbe conseguenze enormi dal punto di vista strumentale legislativo e finanziario e significherebbe per esempio, per quanto riguarda i media, accrescere in modo sostanzioso tutta una serie di interventi.

Se questo è vero sia dal punto di vista formativo che dal punto della strumentazione tecnica che dobbiamo avere a disposizione, non altrettanto questo discorso si può riproporre in termini espressivi, cioè della lingua come strumento espressivo. Questo significa che le politiche del multilinguismo, quelle che ci danno la possibilità di tradurre di più, di capire di più quello che non è la nostra lingua d’origine, non devono dimenticare che insieme a questa "strumentazione tecnica" di servizio, ci deve essere ancora una impostazione forte, rigorosissima ed essenziale per non solo tutelare, ma valorizzare in termini espressivi le lingue nella loro enorme varietà per quello che sono e per come si manifestano.

Un grande sostegno va a tutte le iniziative contro la "omogeneizzazione linguistica" all’insegna della lingua dominante (l’inglese) che è una lingua inevitabilmente scarsamente dotata di qualità espressive e soprattutto privata di quella varietà, di quella autenticità che solo la lingua della poetica, dell’invenzione e quella di tutti i giorni ha.

Vedo questo doppio binario: non mi scandalizzo affatto se l’inglese diventa la lingua del computer cioè una lingua veicolare, una lingua strumentale...

Ad esempio, il sottotitolo in inglese, se io non lo prendo come traduzione ma lo prendo come un aiuto, un suggerimento per accostarmi al testo, mi va bene. Basta che io lo sappia.

Questi sono strumenti di approccio linguistico, mentre siamo contrarissimi ad elevare la strumentazione inevitabile a surroga o sostituzione o addirittura cancellazione della lingua nella sua qualità espressiva, nella sua autenticità profonda che è un patrimonio straordinario che deperisce ogni giorno( basta ricordarsi di quanto ha detto Gregoretti a proposito del "torinese" ).

LUCIANA CASTELLINA

Durante la costituzione dell’Unione Europea dove anche si è parlato moltissimo

delle diversità culturali si è completamente sottovalutato il problema con il

rapporto con l’esistenza di lingue diverse.

Le lingue viaggiano ad una velocità enorme, ogni mese ne muoiono decine, scomparendo con esse un patrimonio di valori, cultura, memoria e fantasia; la lingua non è solo un veicolo tecnico ma un pezzo di storia importante.

D’altra parte questo si giustifica con la necessità di avere una lingua veicolare che consenta la comunicazione reciproca, ma in realtà la lingua veicolare è una lingua impoverente perchè non si tratta nemmeno dell’inglese ma è la lingua del computer stesso che abbrevia e semplifica concetti in due parole...

I francesi difendono "disperatamente" la loro lingua, con una giustificazione: beh meno male che esiste il francese altrimenti ci sarebbe solo l’inglese!!!

Il dibattito quindi è molto aperto e interessante, lo stesso dibattito che viene portato avanti dalla Coalizione Italiana per la Diversità Culturale.

Silvana Buzzo

(direzione organizzativa Coalizione Italiana per la Diversità Culturale)

Quali sono gli intenti della Coalizione Italiana?

La nostra nascita è recente e siamo inseriti in un coordinamento internazionale ed europeo che comprende già altre 30 coalizioni; la peculiarità della Coalizione Italiana in particolare è stata quella di identificare la possibilità di collaborazione tra l’Accademia, l’alta cultura e il cinema, le arti, lo spettacolo e la creatività appunto, che si esprime nelle sue diverse manifestazioni.

Sulla base di questa peculiarità nasce questo incontro con rappresentanti dell’università, della cultura ufficiale, membri del cinema, persone che hanno a che vedere con tutto questo e che da tempo si pongono la questione estremamente rilevante che riguarda proprio la possibilità di diffusione, di comunicazione attraverso quello che è lo strumento principale, di impatto immediato che è il cinema come mezzo di comunicazione e conoscenza.

ALLORA, quale lingua, in che lingua e quali sono le difficoltà che si pongono in particolare oggi, in un momento in cui tante culture diverse cominciano ad esprimere se stesse attraverso uno strumento audio-visivo e a subentrare in un mercato internazionale, quindi ad avere un problema di confronto ma anche di comunicazione della propria identità?

Citto Maselli

(Regista, Presidente dell'AIDAA)

Come si vive questo problema nel cinema in un momento in cui la tendenza molto forte del produttore è quella di dire: giriamo il film in inglese perchè così ha più mercato?

Noi abbiamo sempre come esempio imbarazzante i francesi che però sono così fondamentalmente autocentrici ma anche se si amano e si propongono ininterrottamente, d’altra parte è vero che sono quelli che hanno portato avanti sotto questo profilo i discorsi più avanzati, più austeri e sono ammirevoli per questo… La loro tematica sulla lingua è precisissimo; non esiste per loro che un film francese, anche se in co- produzione, possa essere girato in inglese; questa normativa fa parte della loro legislazione e della loro prassi del Centre cinématographique che dirige e coordina tutta l’attività cinematografica francese.

Voglio dire che i produttori in generale tendono con un drastico e arrogante semplicismo a chiedere: ma scusate che differenza c’è?

Pensate che la seconda edizione dei "Promessi sposi" per la televisione era girata in inglese con l’idea di vendere all’estero ma non hanno venduto a nessuno! Alberto Sordi che faceva Don Abbondio in inglese, era una cosa patetica.

Voglio dire che il rischio è che si arrivi ad una approssimazione semplicistica terrificante.

In questo senso l’idea nostra e dell’ANAC in particolare è stata quella di fare una coalizione italiana che coinvolgesse più aspetti dell’alta cultura italiana non solo cinematografica e a differenza di altre coalizioni presenti all’estero siamo riusciti in questo intento.

Doppiaggio o sottotitoli?

Secondo me è un discorso irrisolvibile. Io sono "violentemente" contro i sottotitoli perchè quando leggi in primo luogo sei distratto, quindi tutto il tempo che tu hai impiegato nella sceneggiatura per fare un dialogo indiretto, che toccasse un argomento in un modo più sottile, ti viene semplificato e palesato in due parole...

Leggendo i sottotitoli non vedi la recitazione, non vedi l’immagine!


Clara Montella

(Università Orientale di Napoli) insegna linguistica.

Che cos’è la lingua?

In termini tecnici la lingua è un sistema. La lingua è un patrimonio di un popolo e un patrimonio di memorie ed è soprattutto questo che consente la comunicazione. è un patrimonio di parole che hanno una radice ciascuna, quindi quando parliamo anche senza saperlo stiamo riportando alla luce anche il sapere antico. Di conseguenza la lingua è un qualcosa che non si può inventare personalmente, si può inventare come artisti ma noi la ereditiamo dai nostri genitori; è come quando impariamo a cucinare, quando impariamo un’arte di qualunque tipo. La nostra lingua ci identifica come popolo anche se non è sempre vero la corrispondenza tra un popolo ed una lingua perchè spesso tanti popoli parlano una lingua non propria. Comunque noi siamo portati ad identificare la nostra lingua con la nostra cultura e quindi alienare la nostra lingua significa anche perdere i nostri valori culturali così come li abbiamo ereditati e tramandati.

Perchè accettiamo molte parole straniere nel nostro linguaggio comune?

Le parole "in prestito"

Il problema però è un’altro da un punto di vista sincronico e cioè che abbiamo questa sorta di intervento omologante o globalizzante di una lingua che sembra essere perlomeno nella nostra area culturale imperante. Ma la lingua italiana è una lingua aperta, naturalmente aperta; è una lingua predisposta ad accettare prestiti in particolare dalle lingue dominanti di ogni periodo storico, così come qualche decennio fa noi eravamo molto aperti al francese che rappresentava la lingua di moda, oggi la tendenza è quella di accettare moltissimi "prestiti" dalla lingua inglese senza spesso capirne il significato reale. Questo accade quotidianamente e personalmente per quanto riguarda il linguaggio del computer ad esempio, quindi la "barriera" di un altra lingua spesso viene eliminata dall’accettazione della stessa.

Il problema qual”è: se si accettano certi atteggiamenti di gruppo o di comunità questi sono anche consequenziali in altri aspetti della nostra vita quotidiana e anche, secondo me, in altri aspetti che possono rientrare nel mondo dell’arte.

Nella mia visione soggettiva e non necessariamente negativa, questo significa che se c’ è una predisposizione all’accettazione, diventa facile essere "più predisposti" e "globalizzati".

Un altro tema della propria lingua come aspetto di una diversità culturale è qualcosa che deve diventare sospinta individualmente nel momento in cui parliamo. Non sempre sono possibili delle "imposizioni" dall’alto, i francesi l’hanno fatto e per questo hanno un’accademia linguistica; il nostro ministero un paio di anni fa ha istituito una sorta di centro di controllo dell’italiano ma molti istituti universitari sono "insorti" contro questa sorta di atteggiamento da "padroni della lingua".

La lingua è di tutti, ognuno la manipola, la crea, la gestisce come meglio crede, non ci possono essere obblighi e se la tendenza anche nel linguaggio giornalistico è quella di andare verso l’apertura all’inglese è molto difficile intervenire...

La differenza fra il testo scritto ed audiovisivo?

Perchè secondo lei bisogna girare i film d’autore nella propria lingua?

Altra è la storia della testualità creativa, io vi colloco tutti i tipi di testi incluso i film anche se hanno una semiotica particolare. Nel momento in cui non ci si trova più a trattare solo con la lettura di un testo d’autore, di un testo scritto, il problema diventa molto serio perchè la ricezione dell’opera d’arte cinematografica è molto diversa dalla ricezione di un testo scritto.

L’opera d’arte può essere recepita a prima vista dal punto di vista visivo ma se non c’è la cotestualità del testo che supporta, che chiarisce, che caratterizza e che fa diventare anche estetico quel messaggio visivo, il cinema diventa qualcosa di incompleto.

Allora è chiaro che chi fa cinema d’autore non può che realizzarlo nella lingua del contesto nazionale e culturale cui appartiene quella produzione cinematografica.

L’aiuto delle "parole in prestito" da un’altra lingua, come avviene nel parlato comune, svuota di significati emotivi la stessa produttività testuale.

Sergio Patucchi

(Università Pio V di Roma), vice presidente dell’Associazione Italiana dei traduttori e interpreti.

La traduzione, quale importanza?

Mi fa molto piacere parlare di traduzione in un contesto autorale. Essa è sempre stata identificata come doppiaggio e sottotitolaggio, però non è soltanto questo, specialmente in ambito cinematografico.

Il grande problema della traduzione è che non è conosciuta e molte volte anche tra gli stessi traduttori… Uno dei nostri compiti all’università è quello di spiegare quale é la vera funzione del traduttore e che cos’è esattamente il traduttore.

Il traduttore è come dire un letterato, un elemento estremamente largo, ampio; la prima cosa da dire è che in quanto tale, non può essere l’artista per definizione; non può avere una subalternità culturale né della propria lingua, né della lingua che pratica come professionista e studioso, perchè nel momento in cui per una ragione qualsiasi si "innamorasse" dell’altra lingua, o privilegiasse la propria, non potrebbe più fare il traduttore.

Entrando nel contesto della traduzione conosciamo il valore delle lingue ma anche il valore della propria identità culturale.

Un secondo elemento è quello del dialetto e della lingua…

Noi come italiani abbiamo un grossissimo problema, in realtà parliamo in dialetto, la prova è che leggiamo ancora Dante Alighieri e lo capiamo perfettamente perchè in realtà non abbiamo mai usato la lingua italiana come mezzo vero di espressione. Noi ancora imprechiamo, diciamo le parolacce in dialetto e seguiteremo a farlo perchè noi parliamo in dialetto; uno dei metodi che noi usiamo per poter risolvere dei problemi di traduzione è proprio quello di dire traduco non in italiano ma in dialetto, poi lo riporto in italiano, riuscendo così ad ottenere delle interpretazioni che sono più fedeli.

Come si traduce l’intraducibile?

A volte ci viene chiesto di inventarci delle parole, certe volte diviene indispensabile; non è vero che esiste qualcosa di intraducibile, non esistono a volte dei concetti, delle parole: per esempio alcune parti del corpo non hanno proprio un nome in un’altra lingua.

IL NON DETTO

il primo elemento che emerge è che noi dobbiamo fare la traduzione del "non detto" che è la parte più difficile.

Il non detto presuppone che quando due parlanti attuano una comunicazione tra loro e noi ci interessiamo sostanzialmente di dialogo tra due persone, una persona parla all’altra tenendo presente che ha un territorio comune; un elemento che ha fatto parte anche della nostra letteratura, del nostro cinema, è il momento dell’incomunicabilità, perchè in effetti l’uno fa appello confidando che l’altro abbia lo stesso tipo di "non detto" a livello di comunicazione e quindi che ci sia una reciprocità di reazione rispetto all’enunciato. Ora, nel momento in cui noi facciamo la traduzione, che sia per i sottotitoli o il doppiaggio, dobbiamo preoccuparci anche della parte tecnica: le due righe, le trentotto battute per i sottotitoli, il sincronismo labiale per quanto riguarda la problematica del doppiaggio....ma la difficoltà più ardua è sicuramente quella del non detto.

Il non detto, cioè spiegare da una lingua all’altra che cosa voleva dire quel parlante, quel particolare attore in quel ruolo, con quella sua storia, quella sua definizione ad un’altro attore/attrice; renderlo in italiano, cioè nella nostra lingua d’arrivo, rispettando quello che voleva dire l’autore, considerando quello che si vede.

La traduzione è particolarmente difficoltosa per quello che riguarda il cinema, proprio perchè alla traduzione di significati, letteraria, non letterale, vengono aggiunti tutta una serie di altri codici che sono i codici filmici. Pensate al valore di un commento musicale di un certo tipo sotto un enunciato, ne varia completamente l’indicazione.

La traduzione è un passaggio fondamentale e difficilissimo per la resa filmica corretta.

Quale conclusione possiamo trarre dalle varie opinioni espresse dai partecipanti al convegno?

Siamo 25 lingue in Europa e dobbiamo comunque renderci conto che è una realtà che esiste e quindi bisogna arrivare intanto ad accettare la traduzione in primo luogo, poi dopo arrivare ad un doppiaggio o sottotitolaggio che sia effettivamente la conseguenza di una buona resa, questo è fondamentale.

Il sottotitolaggio rimane sempre una questione molto aperta e discussa, è una guida o deve avere la pretesa di interpretare l’autore?

Bisognerebbe impegnarsi a capire la lingua originale, però poi, la realtà è quella che abbiamo davanti. Il sottotitolaggio serve per i sordi e per i sordastri; serve, per esempio, nei paesi bilingui per poter insegnare a leggere ai bambini (in Belgio per es.) per cui ascoltano le parole e contestualmente le vedono anche scritte nella stessa lingua. Un altro tipo di sottotitolaggio viene usato per poter mantenere la massima fedeltà di certi contenuti, per esempio, ove il valore documentale di una certa voce, di una certa testimonianza deve rimanere in quanto tale e non deve essere deturpata da un doppiaggio o da un voice-over.

Bisogna valutare il doppiaggio da che cultura a quale cultura, da che tipo di film a che tipo di film.

L’adattamento

È importante l’adattamento per la comprensione di certi concetti; in realtà quando per esempio faccio una traduzione destinata ai paesi arabi, non posso dire "mangio pane e prosciutto" perchè per loro è una bestemmia; nello stesso tempo se io traduco un film arabo ho, per esempio, il concetto della poligamia che da noi è un problema, oppure se parlo della dinastia imperiale, in giapponese è basata su due famiglie, non su una come in occidente.

Quando mi trovo di fronte a una cultura totalmente diversa,

necessariamente devo fare un adattamento che sia più vicino al target cioè

a colui che la recepisce quindi, ci dovrà essere un tipo di traduzione che

sarà assolutamente divulgativa, assolutamente informativa quasi

didascalica anche per il "non detto".

Il "non detto"

Se io dico cavallo, è vero che è una parola traducibile ma, ognuno di noi ha un’immagine diversa del cavallo, per esempio: se io dico latrato di cane, da noi è Bau Bau, in americano è Harf Harf, in tedesco è Wuf Wuf; lo stesso accade per il chicchirichì del gallo, quindi ci sono delle grosse differenze su elementi che sono assolutamente uguali!

L’elemento fondamentale non è tradurre latrato di cane ma se io debbo sintetizzarlo a quel punto subentrano altri elementi che sono necessari in ambito traduttivo. Non è solo una questione di conoscenza della lingua straniera, il percorso è piuttosto lungo: quando parliamo di traduzione si parte dal presupposto della conoscenza base, poi ci sono 5 anni di università per imparare a tradurre e poi la specializzazione come quella che fanno i miei ragazzi all’Università Pio V a Roma dove studiano traduzione ed adattamento per il doppiaggio e il sottotitolaggio cinematografico e televisivo oppure apprendono come interprete e traduttore di produzione di set cinematografici e televisivi.

Come considera il discorso autorale, girare o no in un’altra lingua non propria?

Secondo me, quello è un discorso che va verificato più a livello produttivo che dal punto di vista autorale cioè, bisogna vedere chi è il cliente.

Il problema grosso che Maselli conosce (ma non solo lui..) è quello del box office, cioè, se io ho una prevalenza del cinema come industria, allora girerò in una lingua che per natura è di grande comunicazione.

La lingua viene rapportata anche alle tematiche: se io giro un film sul cristianesimo, lo giro in spagnolo perchè il mercato della lingua spagnola è molto più vasto di quella inglese. è importante capire l’ambito di interesse.

La visione "politica" del mercato, del girato in inglese è una visione sicuramente legittima ma comunque estremamente parziale.

Il mercato Anglo-sassone vuol dire anche la Cina... ci sono dei meravigliosi traduttori dall’inglese al cinese mandarino... pensate che un film di Hong- Kong viene sottotitolato in mandarino e se è parlato in inglese è sottotitolato anche in cantonese oppure se è in cantonese viene sottotitolato anche in inglese e questo determina sottotitoli che stanno da tutte le parti sullo schermo!!! (orizzontali per l’inglese e verticali per il mandarino e cantonese...)

Come vede infine la problematica dell’impoverimento del linguaggio nella traduzione inglese?

Alla Chinese University di Hong- Kong dove ho tenuto un seminario ho detto una cosa che ritengo importante per noi traduttori. Noi è chiaro che comunichiamo in inglese, quando ci incontriamo tra traduttori decidiamo che lingua parlare in base alla necessità e per comunicare si utilizza questa lingua prevalentemente per la semplicità, ma in Cina ho detto: nel momento in cui ti piacciono le cose che dico, ti piace la mia cultura, tu impari l’italiano ed io imparo il cinese! Poi io vengo da te, ti spiego in inglese quali sono i punti della lingua cinese che mi interessano e tu mi dai le indicazioni, affinché io possa studiare sui testi. Non si può pretendere di fare cultura o insegnare, se uno non studia!

La cosa fondamentale è studiare, leggere, conoscere, frequentare e non avere pregiudizi!

Che sia inglese o italiano le lingue sono impoverite ugualmente nel linguaggio giovanile? Un linguaggio da sms?

I nostri ragazzi purtroppo arrivano all’università che non sanno molto. E’ una lingua molto povera quella che parlano, oggi c’è una grande valenza della parte iconica del linguaggio per cui molto avviene attraverso delle sintesi che nascono dal fumetto; la sintesi degli sms è sicuramente un elemento importante ma bisogna verificarlo. Gli sms rimangono in un ambito comunicativo "futile", non viene utilizzato per le dichiarazioni importanti, almeno credo.

Bisogna capire la forza di ogni linguaggio nel proprio contesto?

Sicuramente bisogna anche rendersi conto di questo: le lingue sono un patrimonio vivo, hanno delle evoluzioni e nessuno può fermare l’evoluzione delle lingue. Esse acquisiranno termini nuovi e i puristi non potranno che storcere il naso, però una lingua datata è una lingua datata.

I problemi ci sono e sempre ci saranno… Rimane una questione che va studiata "dinamicamente".

I francesi hanno una cultura loro al cui interno sono giustificate certe soluzioni…

E’ vero che i francesi hanno tradotto molte parole universali come walk-man in una parola francese, ma noi siamo italiani ed anche qui agiamo con una certa creatività, è vero che usiamo l’inglese, ma lo "adattiamo" a nostro piacimento per cui diciamo montan-bike invece di mountain-bike etc....

DOCUMENTO

Coalizione Italiana per la Diversità Culturale

Il Comitato Promotore

(Accademia di Santa Cecilia - ANAC - IIpSF—SIAE)

Roma, 22 giugno 2005

DOCUMENTO DI BASE PER LA COSTITUZIONE DELLA COALIZIONE ITALIANA PER LA DIVERSITA CULTURALE

Nel 1996, alla conclusione del Trattato istitutivo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, fu trovato un accordo affinché gli Stati aderenti alla OMC potessero, con una apposita notifica, escludere dal campo di applicazione del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) i `prodotti culturali' e, in particolare, gli audiovisivi. Questo accordo, promosso sinteticamente come "eccezione culturale", è stato rimesso in discussione quando, nel 2000, si sono aperti i negoziati in seno alla OMC per la conclusione del trattato per la liberalizzazione degli scambi nei servizi (GATS).

L'eventuale inclusione degli audiovisivi (comprendenti cinema, musica, ecc...) in un trattato di natura commerciale ha incontrato l'opposizione delle società degli autori e suscitato vive proteste da parte delle associazioni culturali e di categoria del Cinema e dell' audiovisivo. Le società degli autori hanno, inoltre, dato vita a coalizioni nazionali per la diversità culturale (tra le quali le coalizioni di Francia, Germania, Argentina, Australia, Belgio, Canada, Messico ecc.), coordinate dal Comité International de Liaison des Coalitions pour la Diversité Culturelle (CIL). Nel mondo, quindi, sinora esistono 24 Coalizioni Nazionali, un Coordinamento Internazionale e il Coordinamento Europeo, pienamente attivi.

Anche grazie all'azione da parte del CIL, l'UNESCO ha dato seguito alla Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, approvata il 2 novembre 2001, aprendo così i negoziati internazionali che, entro il termine previsto di ottobre 2005, dovrebbero portare al varo di uno strumento giuridico internazionale volto a dare alla cultura pari dignità, rispetto ad altre urgenze quali il libero scambio e la libertà d'impresa.

La Dichiarazione afferma i seguenti principi fondamentali:

- Il patrimonio culturale di ciascuno costituisce il patrimonio culturale di tutti.

- La libertà di espressione, il pluralismo dei media, il multilinguismo, l'accesso paritario all'arte e alla conoscenza culturale, scientifica e tecnologica, sono "garanti della diversità culturale".

- Il diritto all'identità culturale è parte integrante dei diritti umani

- I diritti degli autori e degli artisti nonché la specificità dei beni e dei servizi culturali, in quanto portatori di identità e valori, non devono essere considerati beni di consumo come gli altri.

Il Governo italiano ha finora appoggiato l'iniziativa assunta dall'UNESCO tanto che, in occasione della Conferenza Generale dell'UNESCO, lo stesso presidente Ciampi ha preso posizione a favore dell'adozione di una convenzione internazionale in materia di diversità culturale.

Nell'ambito del Congresso Mondiale della Confederazione Internazionale degli Autori e Compositori (CISAC), svoltasi a Seoul nel mese di ottobre 2004, la SIAE, in accordo con l' Associazione Nazionale degli Autori Cinematografici, ha presentato una risoluzione, approvata all'unanimità, a sostegno del progetto di Convenzione dell'UNESCO sulla diversità dei contenuti culturali e delle espressioni artistiche.

In considerazione della prossima costituzione della Coalizione Italiana, il Comitato promotore ha già partecipato con un suo rappresentante ai recenti incontri di Parigi, Bruxelles e Madrid.

La creazione della coalizione italiana, alla quale stiamo lavorando da tempo, è ormai vicina all'atto ufficiale della sua costituzione che si formalizzerà, con l'approvazione dello Statuto, nel corso della Assemblea Costituente del 22 giugno 2005, presso la Biblioteca del Senato.

Si invitano, pertanto, Enti pubblici e privati, Fondazioni, Associazioni e Organizzazioni della cultura, associazioni professionali dei settori specifici ai quali la risoluzione dell'UNESCO fa particolare riferimento, a mobilitarsi a sostegno dell'iniziativa, dando conferma al Comitato Promotore della loro adesione alla Coalizione Italiana.

IL COMITATO PROMOTORE

(ACCADEMIA DI S. CECILIA, ANAC, ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI, SIAE) - info www.coalizioneculturale.it

Diana Barrows

Diana Barrows
Società