VALTELLINA 1987 SENSAZIONI DI UN GIOVANE SOCCORRITORE

Mancavano pochi mesi a finire la mia ferma del servizio militare, iniziato a novembre 1986, dopo la laurea conseguita presso l’Università Statale di Milano in Giurisprudenza , che stavo svolgendo presso il Gruppo Sportivo dell’arma dei Carabinieri a Selva di Val Gardena, allora comandato dal convalligiano mag. Piero Pedrazzi ( oggi Colonnello della Benemerita in attesa di divenire Generale), quando iniziò uno dei periodi più travagliati per la mia terra: la Valtellina.

Ero allora un giovane alpinista che aveva dedicato tutto il suo tempo lasciato libero dagli studi a scalare le montagne sia della nostra Valtellina che delle Alpi in genere.

Un poco di complicità e comprensione del comandante Pedrazzi, la mia appartenenza al corpo del Soccorso Alpino e la obiettiva necessità che si venne a creare di personale qualificato fecero sì che mi fu concesso di rientrare a Sondrio per poter partecipare ai primi necessari soccorsi.

Mi ricordo un viaggio attraverso il Passo dell’Aprica sulla mia utilitaria e quindi a velocità forzatamente modesta, una strada priva di auto civili e percorsa solo dalle prime colonne militari di soccorso; l’arrivo a Sondrio grazie anche al tesserino dell’arma che mi permise di poter passare alcuni posti di “blocco preventivi” già installati in varie parti. Un paesaggio surreale non estivo ma autunnale, grigio freddo e triste; sembrava che la gente fosse fuggita inseguita dal maltempo imperversante e dalla pioggia battente. Appena arrivato a casa a Ponchiera abbracciai la mia famiglia preoccupata dal mio viaggio avventuroso che mi avevano vivamente sconsigliato:“ El ve giù frani da partut, sta egliò e ven minga en scià l’è periculus” mi disse al telefono mia madre prima di partire da Selva. Immediatamente presi contatto con la mia Stazione di Soccorso Alpino di Sondrio. Allora il cellulare era ancora per pochissimi e tra questi io non c’ero e da casa cercai di capire cosa realmente stesse succedendo telefonando a parenti ed amici ( spesso la telefonata saltava o non si prendeva la linea). Offri appunto la mia disponibilità al Soccorso Alpino allora ancora condotto dallo storico capostazione Celso Ortelli.

Immediatamente divenni “operativo” e fui caricato su un velivolo militare per essere elitrasportato con altri amici del Soccorso Alpino nelle località più toccate dalla tragedia. Per la prima volta vidi la mia Valle dall’alto dell’elicottero e durante il volo verso la Val Tartano per cercare un pastore disperso, comincia a capire l’immensa catastrofe che stava avvenendo. Il fondo Valle interamente invaso dall’acqua, tutti i torrenti in piena avevano rotto gli argini, frane ovunque,case sommerse e danneggiate paesi isolati gente che scavava nel fango ruspe e camion in azione ……..

Nessun esito la nostra prima operazione del pastore nessuna traccia come pure della sua baita travolta e del bestiame.

Che dire poi del rientro a casa a operazione terminata: impiegai quasi tutta la notte: prima una camminata di un paio di ore sotto la pioggia, poi un tratto su un camion della polizia (che trasportava materassi, brandine e tende) infine su un’auto privata che ci diede uno strappo bagnati fino al midollo…. L’attraversamento rocambolesco dell’Adda, l’aggiramento di Berbenno ove invece delle auto passavano i gommoni……..

In quella occasione durante il rientro all’imbrunire dagli ultimi tornanti della strada che scende da Tartano in uno squarcio di sereno vidi la mia Valle come mai l’avevo vista prima. Piansi e pensai al disastro che stavamo vivendo. A tarda notte arrivai a casa mia a Ponchiera con mia madre ancora sveglia per la preoccupazione guadagnai il letto. Sicuramente lei avrebbe preferito che fossi rimasto a Selva Valgardena, in caserma al sicuro lontano dalla Valtellina che stava continuamente franando…..

Nessun danno per fortuna mi aveva toccato direttamente e neppure la mia famiglia anche se qualcuno cominciava a istillare il dubbio della frana di Spriana che incombe proprio poco avanti il mio paese di Ponchiera ( poca la sicurezza che veniva riposta nelle Cassandre del Mallero che nel caso estremo avrebbero potuto proteggerci….forse…..). Che dire poi dei massi che cadevano in continuazione sulla strada da Arquino a Ponchiera e qualcuno minacciava addirittura le ultime casse del paese.

L’indomani andai ad Arquino a casa di mio cugino, isolata in quanto il ponte sul Mallero era da considerarsi insicuro e non transitabile già passarlo a piedi era un rischio a carico di chi osava passare.

L’acqua ormai non poteva più essere contenuta nel letto del fiume Mallero e la sua casa unitamente a quelle dei vicini era ormai ad un passo dal disastro. Aveva messo in salvo i cani e quelle cose di valore. Lo vidi che,con una camminata nervosa quasi da animale braccato, con stivali ed impermeabile continuava a muoversi dal letto del torrente a casa. Che dire poi del Valdone che aveva assunto le fattezze di un torrente impetuoso pronto anche lui ad uscire dall’esile e trascurato letto in cui scorreva da anni. Incredibile mai visto così ! Un barlume di speranza era data da un grosso masso sul quale era storicamente posizionato un parafulmine in prossimità della centralina del Mallero che sembrava da solo saper reggere alla furia delle acque, impedendo alle medesime di esondare.

Se questo masso avesse ceduto alla spinta del Mallero in piena probabilmente la parte bassa del paese, costituita da una decina di case, sarebbe stata raggiunta e distrutta dalle acque limacciose.

Il pomeriggio fui ancora impegnato, con altri, in una operazione di soccorso proprio nella vicina Valditogno; questa volta chiamati a recuperare il corpo di un pastore schiacciato da una Baita travolta da una frana in prossimità dell’alpe Painale ( in fondo alla Val di Togno ai piedi del Pizzo Scalino).

Anche in questo caso il volo con l’elicottero militare non è dei migliori e sotto la pioggia e con il pericolo di essere centrati dai sassi che continuano a cadere dai versanti delle montagne veniamo elisbarcati abbastanza vicini alla baita crollata.

Nessuna speranza per il povero pastore che giace sotto un enorme masso.

Il recupero della salma durerà fino al giorno seguente, non è stato facile senza disporre di particolari mezzi. In questi casi quando si ha a che fare con la morte l’intervento non è mai gratificante è sempre mesto e rassegnato. Diverso quando si riesce ad aiutare qualcuno salvandogli la vita: ci si sente appagati gratificati. In questo particolare caso siamo attorniati dai famigliari del sepolto e tutto diventa più difficile. Riguadagno roccambolescamente la mia casa e trascorro le poche ore di sonno che restano in uno stato di dormiveglia.

L’indomani stessa vita e così pure per i giorni a venire quasi portati sempre portati con gli elicotteri ( strumenti preziosissimi in quel drammatico frangente) in diverse parti della Valtellina a compiere gli interventi più rischiosi ed anomali che un alpinista dovrebbe sapere affrontare. Con il passare delle giornate sempre più gente arriva in Valtellina in nostro aiuto: corpi militari, civili e i primi gruppi di protezione civile allora costituiti. Arrivano addirittura dall’estero con tutto quello che serve per la prima emergenza.

Era impressionante vedere anche il lavoro della gente comune che colpita negli affetti e nelle cose non si dava per vinta ma con resistenza eccezionale si metteva a disposizione. Ormai la macchina del soccorso stava entrando a regime e ovunque vi era un pullulare di persone che lavoravano.

Anche se si era ancora nelle prime fasi dell’ emergenza e molto doveva ancora accadere le cose cominciavano ad essere sotto controllo e di questo vi era la percezione in noi che intervenivamo.

Venerdi 20 luglio 2007, sono qui a Santa Caterina ( Valerio Rebai attuale capostazione del Soccorso Alpino di Sondrio mi ha quasi precettato) all’esercitazione del ventennale delle calamità, con me ci sono alcuni degli amici con cui avevo operato durante le fasi dell’alluvione vent’anni prima. C’è un via vai incredibile: molte persone alcune si muovono con l’esperienza e con la modestia di chi da sempre è al servizio, altri in maniera un po’ più “cinematografica” ma animati dalle migliori intenzioni e dalla volontà di fare. Personalmente la divisa del soccorso alpino che indosso oggi è forse più bella di quella che portavo allora e sicuramente più pulita, non sporca di fango e sudata. Quanto tempo è passato da allora le immagini comunque restano e resteranno per sempre scolpite nella mia memoria unitamente all’altruismo ed al coraggio di tutti coloro che hanno operato per portare aiuto a chi ne aveva bisogno……….

Gianpietro Scherini (x)

(x) Corpo Nazionale Soccorso Alpino Sondrio

Gianpietro Scherini
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