La costruzione della strada Colico-Sondrio 1809/1811

Una storia che sembra incredibile nei suoi risvolti anche pittoreschi ma comunque in una difficile condizione di vita, ed anche cosa si è riusciti a fare senza la tecnologia d'oggi!

Dopo oltre due secoli di onorato servizio la strada che si diparte da Colico e arriva, per ora, in Comune di Cosio, deve andare in serie B. Finora ha ospitato, nel suo fluire, i grandi traffici di valtellinesi e di turisti dopo avere nei suoi primi decenni svolto un ruolo di primissimo piano. Lei vedeva infatti passare principi e generali, commercianti e letterati, amministratori e diplomatici, parte dei quali si dirigeva a Vienna o ne veniva quando lo Stelvio era aperto anche d'inverno (lo è stato sino al 1951!).
La serie A è un po' in là, verso le Retiche, verso l'Adda, quella che ha rubato la sigla, SS38. In serie B si chiamerà 'Strada Provinciale e poi il numero che verrà stabilito.
Abbiamo voluto onorare questa strada e la onoriamo nel modo migliore, con Cristina Pedrana Proh (note biografiche in calce) che con grande competenza pari alla passione e con grande passione pari alla competenza ha riceto e ricerca, ha studiato e studia, in particolare con le strade l'opera dell'ing. Donegani e il prodigio delle sue opere.
A Cristina la parola:

La Valtellina è una valle disposta per larga parte  in senso longitudinale e oggi quando si pensa alla sua viabilità si pensa quasi esclusivamente al tracciato che da Colico si snoda sul fondovalle fino a Bormio.
       Se si osservano invece antiche carte geografiche o topografiche della provincia di Sondrio, già a prima vista emerge, tra le caratteristiche più evidenti, il gran numero di vie, sentieri o mulattiere che solcano la Valtellina attraversandola in direzione Nord-Sud. Si trattava di percorsi paralleli, tutti molto battuti, disposti  spesso a breve distanza uno dall’altro, che collegavano i diversi versanti delle numerose valli orobiche e retiche; talvolta addirittura erano situati nella medesima valle, come accadeva per la Valle Spluga. Naturalmente ognuno dei tracciati aveva un preciso senso per i transiti e certo non era un percorso superfluo:  i viandanti sapevano bene che bastava  accorciare anche di poco un tragitto per averne buoni vantaggi economici o militari.  

   Oltre a queste direttrici, ovviamente anche lungo la Valtellina vi erano  strade  che si sviluppavano a mezza costa sia sul versante retico che su quello orobico e avevano la funzione di collegare i vari paesi,  situati al sicuro, ben al di sopra del fondovalle dove l’Adda dominava incontrastata e senza controllo. Più tardi, le vie si formarono ai piedi dei monti come aggregazione di tratti e collegamenti a carattere locale che tortuosamente si inoltravano nelle vallate laterali, spesso seguendo con notevoli pendenze e contropendenze la morfologia del terreno. Tutte erano di difficile percorribilità.
   In valle però il vero problema, fondamentale per ogni tipo di spostamento, era costituito dalla mancanza di regimentazione delle acque, sia dei fiumi principali, sia dei piccoli torrenti o ruscelli.  Il Delegato Provinciale Gaudenzio De Pagave nei primi anni dell’Ottocento parlava di  ricco e torbido tributo delle acque   riferendosi ai sedici fiumi e ai centosessantanove torrenti che bagnano la provincia.
Alluvioni, esondazioni, smottamenti, brusche modifiche dell’alveo  - e quindi di tutto il territorio circostante – con la formazione di paludi e malsani acquitrini,  avvenivano con una frequenza tale da rendere davvero difficoltosi i passaggi.
I ponti sui corsi d’acqua, per secoli, furono l’unico tipo di manufatto, opera del tutto artificiale ed erano considerati tanto importanti da essere disegnati anche su cartine dove è assente l’indicazione delle strade.   
  All’imbocco della valle era situato il borgo di Colico, dove si arrivava prevalentemente via lago su imbarcazioni; gli altri percorsi via terra – sia la strada Regina che quella della Valsassina - erano infatti piuttosto accidentati e spesso poco sicuri.
La situazione nel piano di Colico è molto efficacemente descritta da Cesare Cantù, scrittore ottocentesco con queste parole:  Quella grande spianata così incolta e malsana dove covano le acque dai cui fondi limacciosi non si elevano che carici, equiseti ed altre erbe palustri folte al punto da far credere terraferma quel che è pozzanghera cedevole doveva eccitar la compassione….. Tutto quel terreno è un detrito di minerali e vegetabili, senza ciottoli neppure a molta profondità; ma supponendosi che vi salisse capillarmente l’acqua del lago, i più credevano fosse impossibile il rimediarvi.  Soltanto  all’inizio del XIX secolo il medico Luigi Sacco insieme al francese Rousselin cominciarono per proprio conto a bonificare la zona tagliando una profonda gora che raccoglieva e canalizzava le acque di molti fossati consentendone lo scolo così da liberare campi e prati dall’eccesso di acqua. 
La canalizzazione Adda sfociante direttamente nel Lario, come oggi la vediamo, fu decisa solo più tardi nel 1845 e compiuta nel 1858.

   Per quanto riguarda le strade, nel corso del XVIII secolo, si deteriorarono progressivamente  per l’incuria e forse anche per il disinteresse  dei dominanti Grigioni. Non sembrava necessaria una nuova viabilità perché i trasporti avvenivano per lo più a dorso di cavallo o addirittura a spalle e quindi non si vedeva la necessità di curare e ampliare le vie di comunicazione. Inoltre c’era anche  l’ “insensato timore” (così lo definiva il Gioia ), manifestato da alcuni proprietari di terreni agricoli e vigne, che la sistemazione o la costruzione di strade nuove favorisse il “carreggio”, inducendo i contadini ad abbandonare il lavoro nei campi per dedicarsi a nuove attività.
  Il mantenimento e la pulizia delle strade erano affidati ai frontisti - cioè a coloro che avevano le proprietà affacciate sulla strada stessa -  e, almeno in teoria, ne esisteva un regolamento negli Statuti dei vari borghi.  Regolamento, peraltro, quasi sempre disatteso.
Il risultato, quindi, era di generale abbandono, e il degrado era arrivato a tal punto che, agli inizi del XIX secolo, Melchiorre Gioia arrivò a proporre incentivi - per esempio l’assegnazione di posti privilegiati in chiesa -  premi o epiteti qualificanti a chi sistemava le vie rendendole carreggiabili.  
Mi sembra importante per dare la giusta dimensione dei  forti disagi affrontati dai viaggiatori almeno per quanto riguarda la bassa valle, riferire  la  testimonianza  di Francesco Bellati autore  .
nel 1802 della prima relazione ufficiale sulla situazione geografica, politica, sociale ed economica della provincia di Sondrio che aveva come titolo:                                                                     
RELAZIONE STORICO – POLITICA sullo stato del Dipartimento d'Adda ed Oglio                                            e specialmente delle tre exprovincie di Valtellina, Chiavenna e Bormio  presentata                                                                     al Vicepresidente della Repubblica Italiana
Nell’ottavo capitolo dedicato alle strade così descrive la viabilità agli inizi dell’Ottocento:
                       
  Una sola strada guida il viandante dalla Riva di Colico fino oltre Bormio al confine della Valtellina verso lo Stato Elvetico e l'altra dalla riva del lago di Mezzola passando per Chiavenna lo guida fino al Monte Spluga.  Havvene una terza la quale da Ardenno, costeggiando il monte in cui è tagliata passa per  Traona e Dubino e conduce fino alla riva suddetta del lago di Mezzola; 
queste tre strade sono quelle che dette altre volte  "Provinciali" ora appellansi "Postali".
  Ma quali strade son esse?  Se parlasi della prima essa era una volta servibile e comoda per larghi carri e per carrozze ad uso de' viaggiatori :  ora non l'è più che per cavalli, muli e altre bestie, ed è pericolosa per piccolissimi carri o per carrozze.  Ad un miglio distante dalla Riva di Colico esisteva anticamente una strada la quale scorrendo per la pianura e lasciando fuori la convessità del vicino monte, forniva ai viandanti un comodo e più breve cammino. Guastatasi ella successivamente e pel debordamento delle acque e per quelle che colano dal monte contiguo non è che incomodamente praticabile solo in qualche mese all'anno,  ed intanto convien prendere una orribile alta strada di circa quattro miglia tagliata nel monte medesimo,  la quale segnatamente d'inverno è assai pericolosa e per le nevi e pel ghiaccio e per gli sassi che vi cadono dall'alto.   
  Da qui poi fino a Morbegno e fino al fiume Tartano sopra Talamona per lo spazio di circa otto miglia si viaggia con minore incomodo.
Ma giunto il viaggiatore a quello torrente convien che guadi i moltiplicati  sovente assai gonfi e minacciosi suoi rami per lo spazio di circa un miglio ovvero che con pericolo cammini sui disastrosi suoi antichi letti. Quindi traversando l'Adda sovra un ponte che a mia istanza si sta ora costruendo per togliere il pericolo e la frequente impossibilità di passarlo a guado nei mesi  estivi, si entra nella vasta pianura di brugherie comunali detta la Selvetta, dove nei detti mesi l'Adda gonfiandosi per lo scioglimento delle nevi invade e copre la strada ad una altezza tale che non potendo più né cavalli né carri marciare sicuri, è costretto il pedone e il cavallo di prendere un lungo e pericoloso sentiero tagliato nel monte,  ed il picciol carro e le condotte di muli carichi battono la terza strada che ho qui sopra accennata,  la quale e per la sua angustia e per gli gravi inciampi che vi sovrastano e pel pericoloso guado del fiume Masino e per gli frequenti disgraziati casi che sono occorsi e finalmente anche per la soverchia lunghezza, è mal volentieri e con difficoltà abbracciata.
  Si arriva quindi al bel ponte di San Pietro che sotto i miei occhi e a spese della Cassa Dipartimentale feci rinnovare, giacchè il legname del vecchio era logoro e minaccioso ad ogni momento e giustamente intimoriva i condottieri.
   Da qui fino a Sondrio la strada è carreggiabile e non meriterebbe che di rettilinearla e liberarla dalle acque che vi si lasciano scorrere dalle vicine alture, come pure di portare al piano quel breve tratto di strada assai erta che è stata tagliata nel monte detto la Sassella al tempo in cui l'Adda scorreva alle sue radici.
   Ma inoltrando il cammino nell'Alta Valtellina trovasi questa strada postale ora di qua, ora di là del fiume, guidata da malsicuri ed angusti ponti di legno, ora rovinata, ora pericolosa, ora minacciata, ora coperta dalle acque, ora carreggiabile, ora appena servibile al pedone e al cavallo.
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    Solo con l’avvento di Napoleone Bonaparte la situazione cambiò  in modo radicale.
Esigenze di di tipo politico e stategico  rendevano indispensabile una buona viabilità;  i successi militari del Generale, infatti, dipendevano in larga parte da spostamenti rapidi e agevoli. Perciò Napoleone prestò sempre grande attenzione alle strade dei territori da lui dominati e fece costruire in  pochissimi anni tra le altre  quelle importantissime del Monginevro, del Moncenisio e del Sempione.   Egli si occupò anche di strade minori facendone sistemare i tratti più ardui: ancora oggi si chiama “Napoleona” il tratto di strada tra Lierna e Fiumelatte con la salita fino a Roslina, così pure fece sistemare il tratto scosceso tra Dervio e Bellano.
Sulla strada Regina furono resi carrozzabili il tratto Como - Moltrasio e quello Gravedona - Valtellina. Il resto del tragitto era solo someggiabile perché comunque il grosso dei trasporti avveniva via lago.
Napoleone era ben consapevole della pesantissima situazione della viabilità  testimoniata da relazioni e documenti dell'epoca: come si è visto la trascuratezza era tale da non consentire passaggi sicuri su nessuna delle via allora percorribili. Alluvioni, degrado naturale, frane o valanghe rendevano quasi impossibili gli scambi commerciali ma soprattutto ostacolavano i passaggi  di eserciti, come testimonia la tragica esperienza del generale napoleonico Mac Donald che, partito dal passo Spluga il 27 novembre 1800 giunse a Chiavenna il 6 dicembre dopo aver perduto molti dei suoi 1200 uomini insieme ad armi e bestiame.
Per volontà di Napoleone, nel maggio del 1806 venne costituito l’Ufficio di Acque e Strade con un corpo di 114 ingegneri, su modello dell’Ecole de Ponts et Chaussée di Parigi; tutte le strade vennero censite e distinte, a seconda della loro funzione e del tipo di manutenzione, in  Nazionali, Comunali e Private;  si stabilirono soprattutto le norme precise per la loro costruzione: ad esempio, le strade nazionali dovevano essere tutte larghe da sei a otto metri, presentare una certa convessità ed essere rifinite con fossette laterali per lo scarico delle acque.     Non potevano più essere  una sorta di quasi naturale aggregazione di tratti – quali erano state fino ad allora -  ma divennero opere completamente artificiali, studiate con un progetto unitario e uniforme.
Le spese dovevano essere a carico dello Stato perché si riteneva che  un bisogno pubblico dovesse essere soddisfatto con mezzi pubblici.  Venivano poi regolati con precisione gli appalti per l’assegnazione dei lavori e per la manutenzione riprendendo con intelligenza e rendendole più funzionali le norme già previste dal piano stradale ideato da Maria Teresa d’Austria nel 1778.
Per quanto riguarda Valtellina e Valchiavenna, va ricordato che il Dipartimento in cui esse erano comprese non era  di rilevante importanza per la politica militare napoleonica, soprattutto perché confinava con uno stato neutrale, quello dei Cantoni svizzeri; di conseguenza si pensò di realizzare solo i collegamenti di primaria importanza e cioè quello, ovviamente necessario, tra Milano e Sondrio, che era divenuta capitale del Dipartimento dell’Adda, e quello che, nel modo più rapido e diretto, - proprio  attraverso la Valtellina e i  passi dell’Alta Valle – poteva permettere il passaggio verso la Baviera, con la quale il 12 gennaio 1808 era stato stipulato un Trattato di Commercio; si trattava di un accordo commerciale che prevedeva tra l’altro anche l’apertura di nuove vie di transito tra il Regno d’Italia e il Regno di Baviera.
Al proposito furono pensate vie su tracciati diversi:  uno che da Colico salisse a Chiavenna e attraverso il passo del Maloia e l'Engadina scendesse a Landeck  e un altro che, pur percorrendo la Valtellina, transitasse poi sul passo di Fraele, che fino ad allora era stato il passo più utilizzato per il trasporto di mercanzie data l’altitudine mai  superiore ai 2000 metri. Entrambi i tracciati, però, si stendevano, almeno in parte, nel territorio dei Grigioni. Per questo motivo le due proposte non furono accettate da Napoleone che scelse il passaggio sullo Stelvio perché era la via più breve verso il Tirolo  – territorio allora incluso  nello stato bavarese -  e, soprattutto, si snodava tutta sul territorio dei due stati del Regno Italico e di Baviera.

Nella nostra zona, dunque, Napoleone fece eseguire studi per la strada di fondovalle in Valtellina che sostituisse quelle di versante, percorribili solo con carrette e, quindi,  incompatibili con le nuove esigenze di viabilità. L’incarico di progettare e far costruire in valle la nuova strada che doveva  collegare Colico con Bormio fu affidato all'Ing. Filippo Ferranti.  Esso fu realizzato nella parte fino al capoluogo nell’arco di soli due anni tra il 1809 e il 1811 con la costruzione della strada carrozzabile nel tratto Colico-Sondrio lungo 45.575 metri.
Nel 1811 si poté istituire il primo servizio pubblico postale con il regolare transito di due carrozze a quattro posti rispettivamente per i tratti Sondrio-Morbegno e Morbegno-Colico.

Chi era Filippo Ferranti? Nato nel 1778, allora era già ingegnere in capo del Dipartimento dell’Adda (il Dipartimento era stato istituito l’8 maggio 1805 dopo l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia). Egli seguì tutta la carriera degli ingegneri pubblici, censore idraulico a Como nel 1804, divenne ingegnere in capo dell’Adda dal 1806 fino all’arrivo degli austriaci sotto il cui governo continuò e concluse la sua carriera con l’incarico di Responsabile per gli affari delle strade presso la Imperial Regia Direzione delle Pubbliche costruzioni, incarico ricoperto fino alla data della sua morte nel 1838.
Amico e prezioso corrispondente di Melchiorre Gioia, era il referente nella ricerca delle moltissime notizie necessarie per le sue indagini statistiche. Riferiva innumerevoli dati spaziando da quelli sulla manifattura della lana o la produzione della vite, a quelli sulla emigrazione. Aveva ad esempio compilato ed inviato un lungo e preciso elenco degli alberi presenti nella valle insieme a intelligenti considerazioni sulla situazione sociale dei contadini, tutti dati che furono integralmente utilizzati  dal Gioia per la stesura della Statistica del Dipartimento dell’Adda.
Tanto Gioia era debitore nei confronti di Ferranti che nella sua Discussione economica lo dichiara coproprietario del testo. Così pure lo ritiene coautore, oltre che compagno illuminato e indefesso,  anche nella stesura della Statistica dell’Adda. E’ stato ben sottolineato nella interessante prefazione al testo di Gioia pubblicato a Roma nel 2000 dall’Istituto di statistica, come i due personaggi avessero un unico identico modo di percepire ed intendere il territorio come “sistema complesso” da indagare in tutti i suoi aspetti: da quelli pratici legati alla terra a quelli morali più elevati o dai bisogni elementari al comportamento sociale degli abitanti, tutti elementi inseriti in un sistema di interrelazioni molto fitte. 
La competenza tecnica insieme alla capacità’ di osservare con intelligente curiosità il territorio gli permisero di svolgere bene il suo lavoro di ingegnere, progettista e costruttore trasformando le idee ed i progetti in risultati concreti  volti al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti della valle.
Il Quadro delle Strade Nazionali, inserito nel testo della Statistica di Gioia, servì da base per lo studio delle necessarie modifiche, in esso è sinteticamente esposto la situazione reale della viabilità fino ad allora utilizzata:
-il tratto Sondrio - Tirano  di  26470 miglia, era largo da 2,5 a 4 metri , era carreggiabile ma in cattivo stato
-il tratto Tirano - Bormio di 36346 miglia,  era largo dai 2 ai 4 metri era carrozzabile ma malandato e spesso pericoloso   per frane e  valanghe
-il tratto Bormio - Monte di Fraele di 25925 miglia  era largo da 1 a 3 metri era percorribile a cavallo o in alcuni tratti   con carrette a due ruote.  (La meta del Monte di Fraele sarà poi sostituita dal passo dello Stelvio).
-il tratto Morbegno -  Bocca d'Adda lungo 17234 metri, era largo tra i 2,5 e i 5 m.ed era carreggiabile,
-il tratto tra Bocca d'Adda e Riva di Mezzola lungo 5316 metri, era largo da 1 m. a 3 m. ed era cavalcabile con grave pericolo.

Il progetto dell’ingegner Ferranti doveva modificare lo stato disastroso appena descritto.
Egli si rese subito conto di quali problemi ponesse il tracciare una nuova linea il più possibile diritta sul fondovalle, linea che spesso correva per ragioni geografiche ineludibili nei pressi del fiume Adda il cui corso doveva essere continuamente tenuto a bada, linea che non doveva inoltrarsi nei centri abitati,  ma mantenersi ai margini dei borghi, così come prevedevano le nuove precise norme di costruzione delle strade.
Testimonianza della cura con cui affrontò forse il maggiore degli ostacoli e cioè la presenza delle paludi – vastissime non solo nella zona di Colico e del piano di Spagna, ma anche nella zona di Ardenno e della Selvetta -  è il Rapporto relativo ai  mali cui soggiace il territorio della Valtellina ed alle cause che li producono  che Ferranti aveva inviato alla Direzione generale delle Acque e Strade  il 24 agosto 1808 e di cui aveva inviato una copia  anche a Melchiorre Gioia. 

Se è vero che nel tratto da Colico a Sondrio non vi sono grandi dislivelli da superare, tuttavia il problema  della bonifica dei vasti tratti paludosi, la regimentazione e gli attraversamenti non solo dell’Adda, ma anche degli altri numerosi corsi d’acqua, la costruzione dei ponti in legno per consentire il passaggio, la deviazione della cosiddetta Adda Vecchia nei pressi di Ardenno, la formazione di tutta la massicciata lievemente sopraelevata, non era cosa da poco.
Così pure  l’attraversamento del Tartano, sempre imprevedibile e pericoloso, risolto tracciando una strada che non salisse a Talamona per poi scendere verso Morbegno, e l’eliminazione dell’erto percorso verso la Madonna della Sassella nei pressi di Sondrio ottenuta grazie alla costruzione di un tratto al piano, obbligato  tra il fiume e la roccia, erano le difficoltà più importanti che l’ingegnere si trovò ad affrontare.
Il risultato fu rapidamente raggiunto: la nuova strada, tutta in elevazione con scarpate discendenti ben pressate o, addirittura sostenuta da muri a secco quando necessario,  era larga m. 7.50, di cui sei metri di colmatura arcuata con una saetta di m. 0.30, accuratamente ricoperta da un buono strato di ghiaia, con le cunette laterali in selciato e con i marciapiedi sui due lati larghi m. 0.75, essa era fiancheggiata da file di paracarri in legno. Quando si trovava nei pressi dell’Adda era difesa da argini e da pennelli o barriere che obbligavano la corrente del fiume a deviare verso l’altra riva.
Non abbiamo il progetto di tutta la strada come proposta da Ferranti, ma dai numerosi documenti che si trovano nel fondo Prefettura dell’Archivio di Stato di Sondrio - relativi anche agli appalti per la sua manutenzione - si possono ricavare preziose e dettagliate notizie sul procedere dei lavori e sul rigoroso modo di operare.   

Melchiorre Gioia afferma che dopo la costruzione della strada fino a Sondrio, la città cominciò a cambiare volto!

Sempre per ottemperare all’incarico di stendere l’intero progetto della strada verso il Tirolo, Ferranti delineò più tardi, nel 1813, un disegno di massima per la tratta Tirano - Bormio e Bormio - Passo dello Stelvio. Egli aveva studiato la possibilità di utilizzare altre vie per raggiungere l’Alto Adige una di queste era la valle di Rezzalo e il Gavia, l’altra che costituiva l’opzione sempre caldeggiata dagli abitanti di Bormio, era quella del passo di Fraele che consentiva di raggiungere Malles attraverso la val Monastero.  Le due ipotesi vennero scartate, la prima perché la strada si sarebbe  portata troppo a sud, la seconda perché si sarebbe resa necessaria, per non essere costretti a passare in territorio elvetico, l’acquisizione della val Monastero in cambio della cessione della valle di Livigno. L’eventualità di questa modifica territoriale (la stessa che si sarebbe prospettata alcuni anni dopo anche agli Austriaci), oltre al superamento della forte opposizione degli abitanti della Val Monastero, necessitava di troppo lunghe e complesse trattative diplomatiche, mentre il tempo stringeva.
   Perciò si decise di utilizzare il passo dello Stelvio; non ignoto ai viandanti fin dall’epoca medievale, esso però presentava tali incertezze e difficoltà di percorso da essere molto poco frequentato rispetto alle altre due vie, regolarmente utilizzate: la “via lunga” attraverso Fraele e la Val Mora, e la “via breve”attraverso la val Forcola e il passo dell’Umbrail.
   Il progetto della “stradella di Stelvio”, disegnato da Ferranti, prevedeva una larghezza di m.2,70 e pendenze piuttosto elevate, tuttavia era un buon progetto che venne apprezzato e utilizzato anche da chi, di fatto, poi realizzò il collegamento: l’ingegner Carlo Donegani, che operò su incarico dell’Imperatore d’Austria.    La prima stesura di Filippo Ferranti del 1812  era accompagnata da un rapporto dettagliato con la  spiegazione delle scelte effettuate.
   Molto frettoloso e davvero inutilizzabile fu invece il progetto sempre steso da Ferranti per sistemare, rifacendone vasti  tratti, la strada tra Bormio e Tirano.
L’ing. Carlo Donegani che la realizzerà tra il 1819 e il 1821 definirà quest’ultimo progetto un insieme di righe tracciate frettolosamente e a casaccio senza tener conto della conformazione del terreno.
   Il 20 aprile 1814, si concluse l’esperienza del Regno d’Italia; tutti i progetti furono interrotti e, dopo un periodo di reggenza, il 7 aprile 1815 si costituì ufficialmente il  Regno Lombardo-Veneto, parte integrante dell’Impero Austriaco.
L’acquisizione di Milano e della Valtellina fu ritenuta dall’Austria di grande rilevanza.
La costruzione di una buona rete viaria che consentisse i collegamenti con Vienna divenne  una primaria necessità  e fu oggetto di un impegno anche economico decisamente fuori dal comune. Nell’ambito della viabilità, in tutto il resto della Lombardia, proporzionalmente al territorio, venne infatti realizzato molto poco.
L’amministrazione austriaca, visto che il tratto fino a Sondrio era compiuto e ben percorribile, doveva provvedere a completare il rinnovamento del tracciato in valle. Affidò la strada  Sondrio – Tirano all’ingegner Giuseppe Cusi il quale,  però, piuttosto inspiegabilmente, presentò soluzioni discutibili tanto che furono rifiutate dall’autorità, e il lavoro fu concluso nel 1819 da Carlo Donegani.
E’ proprio a quest’ultimo ingegnere, scelto e incaricato dalla Amministrazione austriaca,  che Valtellina e Valchiavenna devono i progetti e la realizzazione di tutte le strade sul territorio; strade, da quelle dello Stelvio e dello Spluga – costruite praticamente in contemporanea in soli sette anni - a tutte le altre, che, pur rinnovate, ancora oggi consentono i transiti nella nostra provincia, sulla sponda orientale del Lario, nella valle di Trafoi e nei Grigioni fino a Splügen.

Si ricorda che presso in Centro Documentazione Donegani situato presso il Liceo Scientifico Donegani di Sondrio si trova una ricchissima raccolta di tavole, planimetrie, sezioni e profili originali, firmati dai più importanti progettisti del XIX secolo, oltre a numerosi altri documenti.
Il Centro è visitabile su appuntamento (tel. 0342 212652) e aperto a tutti coloro che vogliano approfondire i temi della viabilità nel nostro territorio.

Note biografiche dell'autrice
Note biografiche Cristina Pedrana Proh Nata a Bormio, ha frequentato il liceo classico "G. Piazzi" di Sondrio e si è laureata in Lettere Classiche presso l'Università degli Studi di Milano. Insegnante di italiano e latino al Liceo Scientifico "Carlo Donegani", è ideatrice e responsabile del Centro di Documentazione Donegani che si propone come centro di raccolta e valorizzazione dei documenti relativi all'opera dell'ing. Carlo Donegani (progettista di quasi tutta la viabilità della Provincia di Sondrio) e dei suoi collaboratori, attraverso l'analisi, lo studio e la pubblicazione dei disegni originali e dei manoscritti inediti acquistati o ricevuti in dono dal liceo, oltre che del materiale depositato in altri archivi. Ha curato la mostra "Carlo Donegani una via da seguire" tenuta a Sondrio presso la sala della Provincia e presso palazzo Sertoli ( aprile 2001), a Bormio (agosto2001), a Madesimo (agosto 2002) . Ha pubblicato il catalogo della mostra e organizzato il convegno su Carlo Donegani (ottobre 2001) oltre a numerosi incontri sul tema delle strade, in collaborazione con la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Nell'ambito del "Progetto Castello Masegra e Palazzi Salis: un circuito culturale dell'area retica alpina" ha scritto il testo "Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni dalla preistoria all'epoca austro-ungarica" nel 2004. Ha progettato e curato con il coinvolgimento degli alunni di due classi del Liceo la traduzione dal latino del testo, mai tradotto in italiano, "Raetiae alpestris topographica descriptio" di Ulrich Campell del 1572 che costituisce la prima descrizione geografica dei territori di Valtellina e Valchiavenna . Il lavoro, che ha vinto il premio " Conoscere il paesaggio", è stato pubblicato dalla Fondazione del Credito Valtellinese nel 2007. Esperta di poesia contemporanea, e responsabile del "Progetto Poesia" ha organizzato conferenze e incontri con i maggiori poeti (Maiorino, Sanguineti, Buffoni, Bertoni, D'Elia, Riccardi ecc.) sia presso gli istituti scolastici sia presso la biblioteca civica Pio Rajna di Sondrio. Fa parte dell'Associazione G. Mascioni, (presieduta da Ernesto Ferrero); ha curato l'edizione del testo "Tanto per dire non è stato invano" lettura commentata da parte degli alunni del liceo della raccolta poetica "Angstbar" di Grytzko Mascioni che è stata pubblicata dalla Associazione amici di G. Mascioni nel 2007. Collabora all'organizzazione del premio di poesia Sertoli Salis presieduto da Giancarlo Majorino. Fino al 2008 è stata responsabile dell'Orientamento alle Facoltà universitarie degli alunni delle ultime classi curando i rapporti con le maggiori Università italiane. Si occupa di ricerca storica.

Nella foto, tavola di proprietà del Liceo Scientifico Donegani, Pin della Selvetta. La Sirta e Tartano. Sondrio 24 giugno 1841. Ing. di Delegazione Pietro Rognoni
La tavola mostra i progetti d’imbrigliamento dell’Adda presso la località in cui il torrente Tartano affluiva al fiume  Adda,  nel pian della Selvetta.  Siccome il corso lento dell’Adda causava frequenti inondazioni nel lungo piano che va da Berbenno ad Ardenno, si ritenne necessario, per controllare  le acque, tracciare un nuovo alveo rettilineo ai piedi del monte. I possibili tracciati sono indicati con colori diversi, in confronto con il vecchio alveo (ora la zona è in parte occupata dall’invaso Enel di Forcola - Ardenno).

Cristina Pedrana Proh
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