28 luglio 1987 - 28 luglio 2015 Il pensiero alle vittime

da "La Gazzetta di Sondrio"

28.7.1987. Sono da poco passate le sette e mezza. Cominciano a ronzare i motori degli elicotteri situati nel vicino stadio. Uno dopo l'altro si alzano. Altri arrivano. Si rincorrono le voci: una grande frana in Alta Valle. Di corsa in Prefettura. Arriva, trafelato, il generale Muraro, mi vede e, a valanga, "Morti, ancora. I soldati: tutti salvi!". E poi, mentre Don Carlo e altri su ad Aquilone stanno cercando di valutare l'entità della tragedia - si parla già di una trentina, con parecchi bambini ma anche di sette operai che stavano lavorando al ripristino della strada - mi fa un racconto straordinario, riferendo cosa gli hanno detto i soldati. Dopo una notte insonne, spente le fotoelettriche, i soldati tengono d'occhio quel che appare un versante boscosissimo immobile. Ad un tratto uno di loro richiama l'attenzione degli altri: "gli alberi si muovono!". Vien preso in giro, gli effetti della notte persa. Ma un altro, guarda, e conferma. E mentre tutti prendono atto di quel movimento lentissimo, in discesa, di tutti quegli alberi ad alto fusto all'improvviso in un fiat il movimento lentissimo diventa una scena infernale. Il cielo è oscurato dal polverone. I soldati scappano in su sulla montagna. Piovono sassi di grandi, medie, piccole, minime dimensioni. Volano sopra le testa. A destra, a sinistra. Neppure un sassolino colpisce i soldati, e neppure la chiesa. Nessuno scomoda la parola miracolo ma in tanti ci pensano.

In Prefettura nel giro di un paio d'ore arrivano le foto aeree, i primi dati. I tecnici sono al lavoro. Fin dall'inizio ci si rende conto che l'evento è apocalittico ben oltre le più pessimistiche previsioni.. E' sparito S. Antonio Morignone, la valle è otturata come a suo tempo la Val Poschiavo, la Valchiosa e anche Piuro. I morti sono di Aquilone dove le case sotto alla Statale sono state sbriciolate ad almeno 800 metri di distanza dall'ultimo sassolino della frana per effetto dunque dell'onda d'urto e del successivo risucchio. Il Direttore del Parco dello Stelvio è laconico: "Poteva scendere 10.000 anni fa, poteva scendere fra 10.000 anni. Ha scelto oggi".

Preoccupa la diga che si è formata perché impedisce il naturale deflusso dell'Adda formando quindi un lago destinato ad assumere proporzioni notevoli. Sulla lavagnetta a fogli nello studio del Prefetto i tecnici disegnano uno schema di by-pass. Non si è perso tempo. Facciamo cercare l'ing. Del Felice evocando il caso del Mantaro, Perù - 1974. . Franò una montagna intera, di massa decine di volte superiore alla frana del Coppetto, costituendo uno sbarramento naturale che, nonostante una serie di lavori effettuati per alcuni mesi, fu sfondato dall'acqua con danni per 200 km. E questo nonostante la ridotta portata del fiume (una cinquantina di mc/secondo). L'ing. Eugenio Del Felice di Sondrio, noto esperto del settore, era là e arriva in Prefettura con un'ampia documentazione, anche fotografica, dell'evento, e ne discute con gli esperti.

L'emergenza si è riaperta. Oltre le vittime la nuova tegola per l'Alta Valle, l'inizio della paura per gli abitati a valle del lago per due pericoli: la rottura dell'ostruzione (non ci fu a Poschiavo ove è rimasto il lago, ci fu in Valchiosa con grandi danni in Tirano) e il timore d'un effetto Vaiont qualora la montagna dovesse scaricare ancora altro materiale. E timori anche per l'economia per via dell'isolamento difficile da rompere.

Riunione in Alta Valle con il Ministro, il suo staff, gli amministratori della zona Sindaco Pedrini, anche Presidente della Comunità Montana, in testa. Si delineano le prospettive d'intervento.

Rientro a Sondrio.

La sorpresa.

28 LUGLIO. VIA ZAMBERLETTI

Giovanni Goria costituisce il 45° Governo dalla Liberazione che durerà sino al 13 aprile del 1988. I 29 Ministri, del pentapartito, giurano al Quirinale lo stesso giorno della frana. Si cercano notizie. Il Ministro Zamberletti torna dalla citata riunione operativa in Alta Valle, entra in Prefettura, si siede alla scrivania del Prefetto e chiama Roma. Nella stanza ci saranno almeno 30 persone, chiamo Zamberletti e lo porto, in fondo al corridoio, dove ha insediato il suo ufficio il Prefetto Gomez responsabile al Viminale della Protezione Civile. E' lì che ha la notizia, nel frattempo circolata prima nello staff e poi diffusa dappertutto. Incredibile. Disarmante, peggio, assolutamente deprimente. Mentre infuria la battaglia il generale, l'esperto, come si autodefiniva, "Il Ministro delle disgrazie nazionali" per antonomasia, quello che con il suo operato riconciliava la gente con lo Stato e che a Roma era visto "fuori quota", in un certo senso al di fuori della lotta e delle polemiche politiche, viene mandato a casa e non certo per scarso rendimento. Una mazzata e non solo tra gli addetti ai lavori. La gente protesta per strada, nei bar, ovunque. In prima linea gli Alpini, come lui, gli uomini del Soccorso Alpino e quanti sono abituati all'impegno, talora al rischio, per salvare gli altri. Non ci sono distinzioni politiche, salvo i Verdi per i quali è un bene che Zamberletti non ci sia più. Il mondo è bello perché è vario, certo che pontificare in questo modo da qualche salotto milanese non è lo stesso che commentare in mezzo al fango con le morene squassate lassù dove non arriva l'attività dell'uomo, gli argini superati, e soprattutto molti funerali.

Zamberletti: "obbedisco", e va a Roma a fare le consegne.

Alberto Frizziero
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