PARCO DELLO STELVIO: E’ MEGLIO SENZA PIANO CHE CON UN BRUTTO PIANO

Ho letto con interesse le argomentazioni di Damiano Di Simine sulla questione del Piano del Parco dello Stelvio, in una corretta chiosa della informativa che avevo proposto al riguardo. Al suo riconoscimento del rigore delle mie argomentazioni ricambio con quello alla sua coerenza ed alla sua professionalità nella difesa di quelli che sono, a suo giudizio, i valori non rinunciabili del Parco. Finito qui il minuetto tra due avversari di sempre su questi temi, affondo nella questione nodale sollevata. Se cioè è più importante avere un Piano, a prescindere dai contenuti o se, in mancanza di condivisione e di strumenti veri per gestire le tematiche di tutela e valorizzazione del territorio, non sia meglio soprassedere, evitando inaccettabili compromissioni delle attività e della esistenza quotidiana di chi abita porzioni significative del Parco.

Inutile dire che il meglio sarebbe avere un buon Piano che facesse tutti contenti, pernici bianche comprese.

Cito Di Simine: “purtroppo il Piano del Parco non è un buon piano ... i professionisti hanno prodotto elaborati incompleti ... nessuno ha pensato all’obbligo della valutazione di incidenza ... E’ vero, ci troviamo nella condizione di approvare un piano turandoci il naso, in ossequio al principio che un cattivo piano è meglio dell’assenza di piano”.

E qui, mi dispiace, ma non ci siamo e cercherò di spiegare il perchè in poche righe. Quando venne istituito il Piano dello Stelvio, nel lontano 1935, la legge 740 espressamente prevedeva che, insieme con la tutela della natura e del paesaggio il suo compito era quello “di promuovere lo sviluppo del turismo”. Il regolamento, emanato nel 1951, adottò la legge 1497 per il governo delle bellezze naturali, ma non dimenticò di disciplinate le attività di cava, la costruzione di strade, di impianti per la pratica dello sci, di centrali elettriche, stabilimenti industriali, rifugi alpini, taglio dei boschi, l’esercizio del pascolo e perfino la caccia.

Quindi al centro dei saggi legislatori dell’epoca stavano l’uomo, le sue attività, i suoi interessi, il suo sviluppo in armonia con l’ambiente, ma senza che la sua tutela divenisse sostanziale compromissione delle potenzialità di crescita per gli abitanti.

Dove si è perso questo saggio principio che fa armoniosamente convivere in tutto il mondo parchi straordinari e attività umane che, utilizzando il territorio, generano ricchezza e benessere per le popolazioni insediate?

Perchè mai dovremmo rinunciare a fare del Parco dello Stelvio un’opportunità per i furvesi e gli abitanti degli altri comuni lombardi inseriti nel Parco?

Perchè non la smettiamo con le declamazioni roboanti su presunti interventi semi-abusivi, mastodontici caroselli sciistici, fantasmagorici ecomostri, immaginarie malversazioni dei politici e ci sediamo seriamente ad un tavolo dove analizzare i modelli di sviluppo, pianificare seriamente territorio e risorse, individuare percorsi praticabili che facciano coesistere economia e tutela ambientale?

Non ho alcun problema ad essere esplicito e ad affermare che Regione Lombardia ed il sottoscritto che la rappresenta nel Consiglio del Parco, hanno da tempo sposato la creazione di una ski area di respiro mondiale, che mette insieme Bormio e la Valfurva. Io ci ho speso tanto tempo, altri tanti soldi, la Regione finanziamenti importanti, la Valfurva e Bormio ci contano, visto anche l’andamento climatico: la garanzia dello sci si va attestando sopra i 2000 metri. E’ così osceno lavorare per realizzare questa opportunità?

Arriviamo buoni ultimi dopo la Val d’Aosta, il Trentino, l’Austria, la Francia, la Germania, la Slovenia perfino!

Per non parlare di quanto succede oltre oceano.

In Valfurva, in Valle dell’Alpe, si sciava prima del Parco. Il Parco non può soffocare il necessitato sviluppo di questa attività.

Di Simine si fa prendere spesso la mano dal sacro furore. Ma qui da noi i politici fanno politica, non affari; gli imprenditori non sono ingordi di soldi e neanche speculatori beceri, perchè sanno che se si rovina l’ambiente non ce n’è più per nessuno.

Gli agganci ai palazzi regionali ci sono per tutti, anche per Legambiente. E ci mancherebbe pure!

Quanto al sistema drogato, invito Di Simine a farsi mostrare i bilanci delle società degli impianti; nel loro profondo rosso scoprirebbe probabilmente che quello che spinge politici, imprenditori e cittadini dell’alta valle non è la speculazione, ma la speranza di garantire un futuro migliore ai propri figli.

Senza devastazioni. Senza stragi, senza comportamenti irresponsabili.

Il rispetto per la natura è nel nostro DNA. Ci creda dottor Di Simine. E se turbiamo qualche equilibrio muovendo i sassi per fare le piste di sci è perchè vogliamo continuare a stare nelle nostre belle valli. Con i camosci, le pernici e i biotopi, ma anche con pane e companatico.

Ci perdoni se aggiungiamo quest’ultimo, non per fame ma per qualità della vita!

Giovanni Maria Bordoni

Giovanni Maria Bordoni
Territorio